Mosca aspetta di capire cosa succederà dopo l'elezione di Trump
“Credete che noi siamo così innocenti?”. La risposta che il nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dato al giornalista di Fox News che gli chiedeva se davvero intendeva cooperare con un “assassino” come Putin, non può che aver prodotto un vivo entusiasmo a Mosca. L’affermazione del presidente USA è per certi versi senza precedenti e da sola giustifica le grandi aspettative che The Donald ha suscitato, tanto in una larga fetta delle élites, quanto nella maggioranza del popolo russo.
Ufficialmente Mosca, tuttavia, aspetta con prudenza. Accoglie positivamente non solo le dichiarazioni del leader americano, ma anche alcune timide aperture giunte d’oltreoceano, come il via libera accordato dal Dipartimento del Tesoro di Washington alla vendita di tecnologie per la sicurezza informatica ai servizi segreti russi, l'Fsb. Il problema resta capire quali reali margini di manovra riuscirà ad ottenere Trump per dare il via al “nuovo corso” nei confronti del Cremlino. Le problematiche sul tappeto e le variabili sono infatti numerose e non facilmente gestibili. Lo ha dimostrato l’improvvisa escalation verificatasi in Ucraina, dove, subito dopo l’insediamento del nuovo inquilino della Casa Bianca, sono ripresi con nuovo vigore, pur non essendosi mai completamente interrotti, i combattimenti nel Donbass. La guerra infuria nei pressi della città di Avdiyvka, dove nell’ultima settimana si sono contate decine di morti, mentre sabato un’autobomba ha provocato la morte di Oleg Anashchenko, “ministro della Difesa” della regione di Luhansk, l’altra provincia dell’Ucraina orientale autoproclamatasi indipendente dopo i fatti di Piazza Maidan.
Era prevedibile che quanti, dentro e fuori gli Stati Uniti, fossero dissenzienti rispetto ad una politica di pacificazione con Mosca avrebbero guardato all’Ucraina come il detonatore utile a far saltare sin dall’inizio la possibile “distensione”. Le parti in causa, tanto a Kiev quanto a Donetsk sono tutt’altro che favorevoli alla piena entrata in vigore degli accordi stipulati a Minsk dal cosiddetto “Quartetto Normandia”. Troppo sangue è corso tra le due parti e troppe rendite di posizione si sono accumulate in entrambi i campi perché sia possibile una ricomposizione. Una frattura che pesa soprattutto sulla Federazione russa che preferirebbe un ritorno alla normalità, ma che non può abbandonare a se stesse le autoproclamate repubbliche filorusse dell’Ucraina orientale.
Mosca è delusa soprattutto dall’Europa: sa che in questa fase il Vecchio Continente può svolgere un ruolo decisivo per ridurre Kiev a più miti consigli. E gioca le sue carte. La scorsa settimana Putin si è recato a Budapest, da Viktor Orban, il più filorusso tra i leader dell’Unione Europea. Non è un caso che Orban sia stato il primo Capo di governo incontrato dal presidente russo dopo la vittoria di Trump.
Putin ha annunciato di essere disponibile a finanziare al 100% la nuova centrale nucleare di Paks, ha dato ampie rassicurazioni sulle forniture di gas allo stato magiaro e ha incassato la dura requisitoria di Orban contro il regime di sanzioni ai danni di Mosca. Da grande giocatore di scacchi quale è, Putin cerca di incunearsi nelle contraddizioni in seno all’UE, sapendo di poter trovare numerose sponde. Soprattutto in Italia, il paese che più di tutti sta pagando a caro prezzo il regime sanzionatorio, a causa del quale ha perso il South Stream, milioni di euro di esportazioni verso la Russia di prodotti agroalimentari ed il possibile aiuto di Mosca nel rompicapo libico.
Non a caso ad intervenire per chiedere di porre termine alle sanzioni è stato domenica, in un intervista al Messaggero, Romano Prodi che, sottilmente, ha proposto di giocare d’anticipo, bruciando sul tempo Trump.
L’ex presidente del consiglio mostra di conoscere il carattere fondamentalmente “reazionario” dei russi: Mosca attende, sta a vedere, valuterà le azioni dei suoi interlocutori e reagirà di conseguenza. Lo ha detto il capo della diplomazia Sergey Lavrov in modo esplicito al settimanale austriaco “Profil”: "Non abbiamo imposto le sanzioni. Quindi non sta a noi revocarle".
E la proposta dell’europeista Prodi è arguta e rimanda all’ipotesi ventilata da alcuni analisti, secondo cui il mondo che ha in mente Trump è qualcosa di molto simile ad una nuova “Jalta”, che difatti considera negativamente la Germania e la Cina. Anche riguardo all’ostilità trumpiana nei confronti dell’Iran, il Wall Street Journal ha messo in evidenza come essa non sia priva di una logica sagace, in base alla quale la nuova amministrazione americana mirerebbe a spezzare l’asse russo-iraniano cementatosi nel corso del conflitto siriano e non sarebbe dunque in contraddizione con gli ammiccamenti nei confronti di Putin.
Ma Mosca non ha fretta. Aspetta di vederci chiaro. Nonostante la crisi si faccia sentire ed abbia portato recentemente ad una ulteriore svalutazione del 10% del rublo, vuole vedere concretamente cosa c’è nel piatto. Difende Teheran e si appresta a proseguire i colloqui triangolari Iran-Russia-Turchia che per il momento garantiscono una tregua in Siria e a ricevere il prossimo mese, con tutti gli onori, il presidente della Repubblica Islamica Rohani.