Stati canaglia, nazioni sovrane
12.02.2020
La differenza tra una nazione sovrana ed una colonia sottomessa risiede nel modo in cui la prima reagisce a minacce e soprusi laddove la seconda, invece, li accetta sottomessa a testa bassa. Allo stesso modo, la differenza tra uno Stato canaglia ed uno onorevole risiede anche nel modo in cui il primo rifiuta le responsabilità dei propri errori ed il secondo invece li riconosce assumendosene tutti gli oneri.
L’eliminazione da parte americana del generale iraniano Soleimani, avvenuta oramai quaranta giorni fa, è stato un evidente omicidio politico, il causus belli fin troppo aperto per un conflitto risolutivo tra Teheran e Washington. Non è né una novità né un mistero che l’élite americana cerchi con bramosia lussuriosa la capitolazione degli Ayatollah sciiti: non solo per completare il ridisegnamento del medio oriente e aprirsi la strada fino a Mosca e Pechino dopo essere dilagati nell’heartland della Terra, ma anche per una sostanziale ed insanabile differenza tra due opposte visioni della vita.
Il secolarismo della decadente società americana (ma anche occidentale) [1], con la sua ricerca ossessiva del piacere, con il suo culto della libertà assoluta e ad ogni costo, con la sua idolatria per il denaro così socialmente accettata e radicata, non può che percepire come aliena ed irriducibilmente nemica una società che dice di rifarsi agli insegnamenti più puri del profeta dell’Islam ed innalza Karbala a martirio senza tempo per ogni suo vero credente.
L’Iran, centro di antichi imperi i cui respiri si estendono lungo secoli di Storia e i cui splendori sono ancora oggi facilmente visibili e percepibili, ha sempre manifestato la volontà ferrea di decidere da sé la propria politica e quella, altrettanto ferrea, di non subire i diktat di potenze straniere che fanno di inganno e menzogna le colonne della propria diplomazia.
La Repubblica Islamica dell’Iran si è comportata da nazione sovrana nel momento in cui ha deciso di rispondere all’assassinio dell’umile eroe Soleimani con salve di missili contro le basi americane in Iraq, Paese che non fa parte della federazione americana ma che Washington, nel suo continuo delirio di onnipotenza mondiale, continua ad occupare, stritolare, sfruttare e svilire in ogni modo possibile.
Purtroppo l’abbattimento del Boeing ucraino da parte della difesa aerea iraniana è stato un errore che ha causato la morte dei molti passeggeri innocenti presenti a bordo.
“Un giorno triste. Conclusioni preliminari delle indagini interne delle forze armate: l'errore umano al momento della crisi causato dall'avventurismo americano ha portato al disastro” ha scritto il ministro degli esteri iraniano Zarif sulla sua pagina Twitter.
“I nostri profondi rimpianti, scuse e condoglianze al nostro popolo, alle famiglie di tutte le vittime e alle altre nazioni colpite” ha poi aggiunto [2].
Il comportamento del governo americano fu molto diverso quando, il 3 aprile 1988, il cacciatorpediniere Vincennes abbatté per “errore” il volo iraniano 655, non molto lontano da Bandar Abbas e quindi ancora in territorio iraniano [3]. Fu solo alcuni anni dopo e con un certo sforzo che la nazione iraniana ottenne una parvenza di giustizia ed un risarcimento di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia. Ma ancora ai giorni nostri, le vittime iraniane sembrano valere di meno, sembrano essere vittime di serie B.
La morte del buon generale Soleimani è uno spartiacque di cui non sono perfettamente noti né i retroscena né le conseguenze. Chi comanda a Washington? Perché se è vero che Trump ha pubblicamente gioito della morte del generale, è anche vero che la salva di missili sparati per vendetta dagli iraniani ha causato più danni di quelli che sono stati dichiarati inizialmente dal Pentagono. Perché Washington non ha reagito a sua volta? In fondo, gli americani hanno sempre sganciato missili e bombe per molto meno. Questa volta sono rimasti fermi e non c’è stata nessuna ulteriore escalation, nessuna guerra manifesta come molti temevano.
C’è poi la questione dell’aereo relais andato perso in Afghanistan e a bordo del quale sembra ci fosse il temutissimo Michael D’Andrea, capo della CIA per il Medio Oriente e responsabile riconosciuto della morte del generale Soleimani. Ayatollah Mike è davvero morto nell’aereo precipitato? E l’aereo è stato davvero abbattuto dai talebani, come hanno detto gli americani, o si è trattato invece di qualcosa d’altro?
Si tratta di domande a cui non è possibile dare una risposta, ma è quanto meno strano che un personaggio importante come D’Andrea sia morto senza che, apparentemente, nessuno tra i suoi gridi vendetta.
Azzardo una possibile ipotesi. Forse la morte di Soleimani non era prevista e chi l’ha organizzata ha ecceduto i limiti della propria pur ampia discrezionalità, con l’intento di forzare la mano a Trump e costringerlo ad una guerra aperta con Teheran. Due parti contrapposte, un precario equilibrio di forze nella nomenklatura americana, magari un terzo incomodo (Israele) che persegue solo i propri interessi. L’eliminazione di D’Andrea (se è davvero morto…) potrebbe allora essere un regolamento di conti interno all’apparato statunitense, volto a placare gli iraniani e a ricondurre il conflitto contro di loro ad una più gestibile e tradizionale guerra a bassa intensità, in atto fino all’omicidio del generale Soleimani. Gli americani potrebbero quindi essere rimasti vittime del loro tanto sbandierato approccio “pugno sul muso”. Ancora una volta, però: chi comanda a Washington?
Ipotesi.
Quello che è certo è che la morte del generale Soleimani ha privato il mondo, anche questo scellerato Occidente, di un eroe generoso, che in Siria ed Iraq ha difeso quei cristiani che l’Occidente, invece, ha abbandonato al loro destino, prede per i jihadisti che Washington e le grandi Cancellerie dell’Europa “civile” hanno usato per combattere la loro guerra per procura in Siria ed Iraq.
Quarantuno anni dopo la rivoluzione khomeinista e, per volontà del destino, quaranta giorni dopo la morte del generale Soleimani, l’Iran continua a rivendicare il suo diritto alla propria indipendenza ed alla propria sovranità nazionale.