La Grande Guerra Santa del Soggetto Radicale
Incipit
Le riflessioni contenute in questo e in altri nostri scritti già pubblicati sul tema del Soggetto radicale, non hanno una priorità didattica di approfondimento intellettuale né tanto meno una funzione strettamente educativa che, pur risultando presenti, non rappresentano il fine degli stessi scritti. Per questo motivo non ci si sofferma volutamente sull’origine storica o sull’etimologia di alcuni concetti che vengono dati per scontati o richiedono un approfondimento da parte del lettore, come ad esempio quello di guerra santa o quello di ascesi.
Risulta altresì chiaro che il canone di stesura di queste riflessioni è prevalentemente antropologico nonché fenomenologico per quanto riguarda l’evidenza soggettiva dell’esperienza umana vissuta dal Soggetto radicale. Un canone legato alla globalità dell’Antropologia come scienza umanistica che si esprime nelle sue varie forme intellettualmente consolidate: etnica-razziale, filosofica, teologica, culturale, mistica, fenomenologica e che, rispetto ad altre discipline umanistiche, è rimasta più al riparo dalla perversione ideologica darwiniana, marxiana e freudiana.
Proprio per queste sue caratteristiche, l‘Antropologia nella molteplicità delle sue branche, risulta essere un terreno neutrale di comprensione e una sicura base oggettiva di conoscenza circa la Verità dell’essere umano situato nel cosmo, nel tempo e nello spazio. Un terreno neutrale su cui poter fare convergere qualsiasi visione filosofica, spirituale, religiosa o confessionale appartenenti alla specificità di ogni singolo Soggetto radicale, senza considerare tali weltanschauung come sovrastrutture hegeliane della conoscenza naturale di ordine antropologico, bensì come integrazione e completamento metafisico e spirituale nell’ordine dell’Essere e del Divino.
Le presenti riflessioni, si realizzano invece e principalmente come articoli stesi “per il bene della Causa”, come idee meta-riflessive costituite da una doppia finalità evocativa ed esortativa. Evocare gli archetipi simbolici della Tradizione sempre presenti anche nel nostro DNA postmoderno, per viverli in un’esperienza viva di Dasein, di esser-ci nel mondo; esortare e spronare con veemenza metapolitica la lotta per il Grande Risveglio, per la costruzione di un nuovo ordine del mondo fondato sulla Civiltà multipolare.
Parlando di idee meta-riflessive scaturite dalla contemplazione intuitiva dei simboli della Tradizione, parliamo quindi di idee androgine “al di là del bene e del male” ossia al di sopra di una percezione puramente etica, nonché di idee apofatiche, quindi a volte sfuggenti il principio di non contraddizione su cui comunque appoggiano per via induttiva, non essendo idee irrazionali ma idee soprarazionali. Per questo sarà inutile da parte di eventuali censori, cercare in tali idee meta-riflessive eventuali aporie o antinomie sicuramente presenti, perché il mysterium supera verticalmente l’estensione logica orizzontale del pensiero, come ebbe anche a dire San Tommaso d’Aquino al suo segretario Reginaldo che lo esortava a scrivere ancora, dopo aver avuto una visione di Dio che stravolse la sua vita e lo portò alla decisione irrevocabile di posare per sempre penna e calamaio: “Reginaldo non posso, perché tutto ciò che ho scritto è come paglia per me […] è come paglia in confronto a ciò che mi è stato rivelato”. (Guglielmo di Tocco, Storia di San Tommaso, 47)
La Grande Guerra Santa
“Affermo dunque che il Cavaliere di Cristo con sicurezza dà la morte ma con sicurezza ancora maggiore cade. Morendo vince per sé stesso, dando la morte vince per Cristo. Non è infatti senza ragione che porta la spada: è ministro di Dio per la punizione dei malvagi e la lode dei giusti. (Rm, 13,4; I Pt, 2, 14). Quando uccide un malfattore giustamente non viene considerato un omicida, ma, oserei dire, un «malicida» e vendicatore da parte di Cristo nei confronti di coloro che operano il male, difensore del popolo cristiano E quando invece viene ucciso si sa che non perisce ma perviene al suo scopo”. (San Bernardo di Clairvaux, De Laude Novae Militiae, III Dei Cavalieri di Cristo)
San Bernardo di Clairvaux, così scrive ai Cavalieri del Tempio, circa lo spirito che deve animare la loro Crociata, la Piccola Guerra Santa e, in questo modo, va a enucleare un principio di verità universale che, al di là della sua forma prettamente confessionale, rappresenta il modo con cui l’Uomo della Tradizione deve affrontare la sua lotta contro il male esteriore e che può essere assunto a modello da qualsiasi Soggetto radicale, indipendentemente dalla sua specifica weltanschauung.
Se questo è il modo corretto d’intendere la Piccola Guerra Santa, allora la Grande Guerra Santa, nella sua sostanza più profonda non è altro che l’applicazione pratica del concetto di “malicidio” bernardiano alla propria interiorità, necessario per far morire il proprio ego e far nascere il Sé, è la condizione incontrovertibile per uccidere il proprio egoismo ed essere trasferiti nell’alterità del Divino.
Tra le innumerevoli forme di ascesi proprie della spiritualità universale, la forma propria dell’ascesi guerriera è appunto rappresentata dalla Via della Spada che, nel Soggetto radicale assume la drammaticità di un nichilismo interiore dai toni apocalittici e di un nichilismo esteriore nei confronti della fase finale del Kali Yuga postmoderno, atto a superare la definizione stessa di guerriero in quella di angelo distruttore, terrificante e di freddo assassino, almeno per la risolutezza delle sue modalità di azione:
“L’ipostasi dell’assassino che restituisce all’uomo il gusto della vita è una funzione fondamentale del Soggetto Radicale. Egli non è un guerriero – concetto, ai suoi occhi, troppo plebeo – ma un assassino privo di scopi, freddo, spersonalizzato, al soldo di nessuno. È un angelo distruttore, un angelo terrificante”. (Aleksandr Dugin, Ibid. pag. 27)
La Via della Spada nasce dal silenzio e diventa Parola di verità e di accusa nei confronti dell’Antitradizione presente nel mondo e in noi stessi: “Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo rapido corso, la tua parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale, guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio, portando, come spada affilata, il tuo decreto irrevocabile e, fermatasi, riempì tutto di morte; toccava il cielo e aveva i piedi sulla terra”. (Sap. 18, 14-16)
Questa stessa Spada della Parola di verità, entra poi all’interno di noi stessi per compiere l’opus magnum della deificazione del Soggetto radicale. Realizzando attraverso l’alternanza di sofferenza e di totale rivolgimento cosmico interiore ad un rigenerante e assoluto silenzio mistico, la distruzione progressiva dell’egoismo personale cristallizzato nei sette vizi capitali: “Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore. Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto”. (Eb. 4, 12-13).
La distruzione del proprio ego, la lotta contro i vizi capitali equivalgono alla morte dell’anima in attesa del risveglio, della sua resurrezione, della piena manifestazione del Sé, nonché del Divino nel proprio “Sé radicale”, termine con il quale Aleksandr Dugin preferisce definire correttamente in senso metafisico il Soggetto radicale. Nello HAGAKURE, il libro segreto degli antichi Samurai, i cavalieri del Sol Levante, si afferma:
“Ho scoperto che la Via del samurai è la morte… L’essenza del Bushido è prepararsi alla morte, mattina e sera, in ogni momento della giornata. Quando un samurai è sempre pronto a morire, padroneggia la Via”. (Yamamoto Tsunetomo, HAGAKURE, Mondadori 2001, pag. 24)
Fenomenologia delle qualità ultraguerriere nella Grande Guerra Santa
La dichiarazione metaforica ultraguerriera di Dugin, riguardo l’identità fenomenologica del Soggetto radicale quale angelo distruttore, terrificante e freddo assassino, riporta alla mente dello scrivente il rude insegnamento tramandatogli nel 1985 dal compianto Maestro Zen don Johannes Baptista Ishii, giapponese, nato a Tokyo, sacerdote cattolico ed eremita camaldolese, il quale per fargli comprendere la realtà della neutralità tecnica propria dello Zen, disse in modo molto determinato una cruda verità che ai tempi lo lasciò per molti giorni sbalordito:
“Guardato esclusivamente dal punto di vista della tecnologia, lo Zen è una tecnica di per sé neutra, neutrale, senza agganci morali o religiosi di alcun genere. Non si spaventi se le dico che in Giappone la meditazione zen è usata tra l’altro dai membri della Yakuza, la mafia giapponese, per essere sempre più impassibili, freddi e determinati quando uccidono i loro nemici o le loro vittime”. (René Manusardi, Visiologia. Un contributo socioclinico alla neuroscienza della meditazione, pag. 125, Primiceri Editore, 2018)
D’altra parte, siamo consapevoli che l’alternanza tra il totale rivolgimento cosmico interiore e il rigenerante e assoluto silenzio mistico, provocati dal nichilismo interiore a cui viene sottoposto il Soggetto radicale nella Grande Guerra Santa, determinato in primis dalla chiamata del Divino in concomitanza con l’ascesi contro i vizi capitali e con la pratica della preghiera profonda o di pratiche meditative apofatiche, ossia basate sul silenzio interiore e sul vuoto mentale, possano determinare una serie di qualità interiori e di azioni in grado di giustificare la visione ultraguerriera duginiana.
Con la pratica costante dell’ascesi, della preghiera profonda e/o delle pratiche meditative apofatiche, vengono sviluppate nel Soggetto radicale qualità interiori e d’azione singolari, che per via ordinaria potrebbero essere raggiunte solamente dopo decenni di maturazione personale. Tali qualità chiave (detti anche effetti fenomenologici primari), possono essere racchiuse in due macroaree o quadranti: quello “esistenziale” e quello “dell’azione”.
coraggio, determinazione, imperturbabilità, qualità necessarie per l’acquisizione del benessere interiore, del dominio di sé e solido fondamento psicofisico nonché di relazione sociale. Nel quadrante dell’azione, gli effetti primari sono il radicamento di una nuova personalità dotata di profonda intuizione, intensa empatia, acuta penetrazione, nitida consapevolezza, qualità intrinseche necessarie per le infinite necessità della guerra totale.
I due quadranti non sono assolutamente separati e sviluppano qualità interiori e qualità d’azione in modalità reticolare e interdipendente. Cosicché la crescita di una qualità specifica favorisce anche lo sviluppo delle altre in modo graduale e quasi simultaneo, man mano che l’impegno nei confronti dell’ascesi e delle tecniche meditative diventa abituale e quotidiano. Andiamo ora ad analizzare in sintesi le qualità che si sviluppano in primis nel quadrante esistenziale e poi nel quadrante dell’azione.
Qualità per il benessere psicofisico e il dominio di sé:
Calma interiore
Aspetti antropologici e fenomenologici: la calma interiore o quiete è il primo effetto palpabile della pratica ascetica e meditativa, che si ottiene attraverso un riequilibrio energetico e un progressivo sereno dominio dell’anima/coscienza sulla mente e sul corpo. L’essere umano ritrova il suo centro antropologico gravitazionale e si apre progressivamente alla relazione interpersonale e sociale, amplificando la capacità di mediazione e quella di costruire legami di collaborazione e di dialogo. Effetto neurofisiologico primario: scarica endorfinica e serotoninica.
Coraggio
Aspetti antropologici e fenomenologici: la pratica dell’ascesi e della meditazione genera coraggio. L’osservazione del proprio caos mentale in modo distaccato, porta gradualmente ad una profonda conoscenza di sé stessi e dei meccanismi del governo psicofisico. L’emotività si acquieta, i fantasmi della mente vengono localizzati e quindi progressivamente espulsi. Da questo costante lavoro interiore emerge il coraggio di lottare contro le proprie tendenze sregolate, coraggio il quale poi emana all’esterno della persona e coinvolge i suoi rapporti sociali e le relazioni interpersonali. Il senso di paura nei confronti degli altri e delle incertezze della vita va sempre più scemando. Si afferma un contenuto di relazione sociale basato su sincerità, umile fierezza, senso della dignità personale, rispetto dell’altro e dei suoi diritti. Effetto neurofisiologico primario: scarica adrenalinica con risposta positiva allo stimolo primario lotta/fuga.
Determinazione
Aspetti antropologici e fenomenologici: l’ascesi e le tecniche meditative sviluppano la qualità di una forte determinazione. Il lavoro interiore su sé stessi e il desiderio di migliorare uscendo dai propri traumi e dai propri deficit, innescano in modo elevato volontà, costanza, tenacia, caparbietà, le quali formano il contenuto antropologico e fenomenologico della determinazione intesa come resilienza e capacità di rinnovamento personale, comunitario e sociale. Effetto neurofisiologico primario: perfetto equilibrio dei sottosistemi simpatico e parasimpatico del sistema nervoso autonomo.
Imperturbabilità
Aspetti antropologici e fenomenologici: un approdo interessante ascetico-meditativo, sotto molti punti di vista ‒ a partire dallo stoicismo greco-classico sino alla letteratura orientale più recente sui Samurai ‒, è l’acquisizione della imperturbabilità detta anche impassibilità. La pratica della meditazione, che da un punto di vista fenomenologico crea persone in cerca di pace, dedite alla pace e in grado di edificare la pace, non può essere disgiunta dalla audacia spinta oltre ogni limite, necessaria, come ad esempio nel caso di Gandhi, ad operare una lotta non violenta ed efficace. Infatti, dal punto di vista antropologico, l’acquisizione della imperturbabilità genera sopportazione sovrumana del dolore, indifferenza nei confronti della propria sorte, distacco totale dal proprio ego, apatheia o freddezza rispetto alla componente sensitiva, emotiva e sentimentale che viene ridimensionata dai suoi eccessi percettivi e passionali. Effetto neurofisiologico primario: anestesia neuromuscolare provocata da innalzamento della soglia di resistenza al dolore e diminuzione controllata dello stato di eccitazione psicomotoria.
Qualità per il successo nell’azione:
Intuizione
Aspetti antropologici e fenomenologici: l’intuizione è la qualità principe con cui la coscienza manifesta sé stessa attraverso l’istantanea percezione di realtà non ancora manifeste, per mezzo dell’illuminazione e della visione interiore e questo processo è potenziato con la pratica meditativa. Il rilievo fenomenologico più percettibile dell’intuizione è la capacità di comprensione non giudicante riguardo tutto ciò che è ad extra e la valorizzazione, il rispetto, l’integrazione delle diversità sociali nella visione epistemologica di corpo sociale articolato. Effetto neurosociale primario: acuta percezione di verità, accadimenti e fatti non ancora manifesti.
Empatia
Aspetti antropologici e fenomenologici: intensificata fortemente dalla pratica meditativa, l’empatia è antropologicamente conoscenza degli altri quale conseguenza della conoscenza di sé stessi e, quindi, carica di comprensione, tolleranza, generosità, amore gratuito, compassione. Dal punto di vista fenomenologico l’istanza maggiore dell’empatia è quella di essere considerata una virtù sociale, capace di creare legami profondi e duraturi nella società, nei corpi intermedi e nelle relazioni familiari e interpersonali. Effetto neurosociale primario: conoscenza progressivamente integrale della personalità altrui.
Penetrazione
Aspetti antropologici e fenomenologici: la qualità della penetrazione (paññã nella dizione buddhista theravada della lingua pali), sviluppata con le tecniche meditative, da un punto di vista antropologico può essere definita come l’unificazione completa dell’intuizione e dell’empatia proiettata verso l’analisi ad extra. Fenomenologicamente rappresenta una qualità capace di generare atti di osservazione sostanziali, i quali ci permettono di cogliere per mezzo di un profondo screening situazioni e realtà personali, ambientali e sociali. Effetto neurosociale primario: visione profonda e completa delle cose.
Consapevolezza
Aspetti antropologici e fenomenologici: la qualità della consapevolezza meditativa non è altro che la pratica antropologica del hic et nunc, del qui e ora, in grado di collegare per mezzo di un filo aureo la comune cultura filosofica sperimentale e metastorica, che partendo dalla metafisica greca classica approda nella tradizione arya hindu e buddhista delle origini. I risvolti fenomenologici della consapevolezza vertono sul fatto che l’abituale distacco da sé stessi e l’immersione totale nella realtà presente, rendono le persone proiettate fuori dall’asse del proprio “Io” per vivere pienamente la nuova dimensione del “noi”, dell’“altro”, della “comunità”, andando a perfezionare in modo pieno quella “compassione”, quella scelta di altruismo già edificata dalla qualità dell’empatia. Effetto neurosociale primario: vacuum state ossia stato di vuoto mentale.
Concludiamo queste riflessioni, tenendo conto che le qualità ultraguerriere che va acquisendo il Soggetto radicale durante la purificazione della Grande Guerra Santa, non rappresentano la nascita dell’Uomo Nuovo, così come concepito dalle tre teorie politiche del XX secolo ossia liberalismo, comunismo, fascismo. Ma, come invece ci insegna la quarta teoria politica del multipolarismo, ci raccontano l’eterno ritorno dell’Uomo ancestrale immagine del Divino, dell’Uomo della Tradizione, del Custode dell’Ordine Divino e del fuoco sacro della Tradizione, l’Uomo che non cambia mai, che come Soggetto radicale sa riposizionarsi per superare indenne le epoche storiche, trovando rifugio nelle profondità del Chàos primordiale per infine raggiungere le vette del Kosmos, come ci insegna con questa stupenda riflessione il nostro Aleksandr Dugin:
“Le cose cambiano, tutto cambia, ma non il Soggetto Radicale, che si mantiene uguale a sé stesso, attraversando come un’ombra i tre paradigmi (Tradizione, modernità e postmodernità). Non si perde in questi spazi, né cambia la propria natura. Rimane in tutto e per tutto sempre sé stesso, transitando attraverso le tre fasi. Cambia posizione, si sposta dal centro alla periferia, ma rimane esattamente lo stesso, comportandosi sempre come se si trovasse nello spazio della Tradizione. È un re mendicante, che nasconde la propria origine regale sotto i miserabili stracci di un servo”. (Aleksandr Dugin, Ibid. pag. 26)
Foto: Alexey Guintovt per Idee&Azione