Un eroe in meno
06.01.2020
La morte del generale Qassem Soleimani per mano americana è stata un omicidio politico compiuto in maniera codarda al solo scopo di far saltare il tavolo e sprofondare il Medioriente in un caos da cui solo gli Stati Uniti e i loro sparuti alleati regionali, Israele in primis, possono emergere vincitori. Benché da un punto di vista strettamente militare cose di questo tipo siano sempre accadute, è bene ricordare che nel corso dei secoli si sono viste anche altre prospettive e che sono esistiti uomini valorosi che in guerra si sono rifiutati di seguire certe strade ritenute disonorevoli.
Il presidente Trump, in cui io stesso avevo riposto grandi speranze per una pacificazione dei conflitti tutt’ora in corso, tweetta la sua soddisfazione per la morte di Soleimani e promette ulteriori terribili azioni militari qualora l’Iran cercasse di realizzare i propri propositi di vendetta. The Donald minaccia di colpire anche luoghi di grande valore storico e culturale per la nazione iraniana, in questo differenziandosi dai nazisti che salvavano opere d’arte pur rubandole alle nazioni invase e rendendosi uguale all’ISIS (di cui gli americani sono stati creatori e difensori) che si è impegnato a fondo per distruggere Palmira, fortunatamente bloccato in tempo da russi ed iraniani.
Russia e Cina non parlano molto. Forse si sono dati ad una diplomazia sotterranea che sperano più efficace ma chi comanda davvero a Washington? In ogni caso farebbero bene a ricordare che dopo l’Iran toccherà a loro. Il ridisegnamento del Medioriente perseguito dagli americani serve sia a realizzare in grande stile la dottrina Brzezinski per la spartizione della Russia che il confinamento preventivo della Cina.
Se la situazione peggiorasse, i collegamenti Internet con l’Iran potrebbero essere interrotti. Mi sono quindi affrettato a porre qualche domanda a Davood Abbasi di ParsToday, di cui riporto riconoscente le risposte.
1) Può ricordarci brevemente chi è stato Qassem Soleimani?
R) Un ragazzo di una famiglia di contadini del Kerman, zona dell'est dell'Iran, che nello spazio tra il 1980 ed il 1988 era andato al fronte per difendere il proprio Paese. Inizialmente lavorava nella sezione dei rifornimenti del fronte ma mostrando le sue doti concluse la guerra come comandante dell'esercito della città di Kerman. Diventato comandante delle forze Quds dei Pasdaran, ossia la divisione che svolge operazioni oltrefrontiera, venne incaricato delle operazioni contro l'Isis. La sconfitta dell'Isis è la sua opera più grande. Sicuramente, è al mondo colui a cui dobbiamo maggiormente la fine dell'Isis. Credo che la notizia della sua morte abbia rallegrato più di ogni altro i terroristi della regione del Medio Oriente. Ricordiamo che lui, sconfiggendo l'Isis in Siria e Iraq, ha probabilmente salvato pure la vita di migliaia di europei ed americani. Purtroppo, non è stato premiato dall'Occidente per i servigi che aveva reso anche alle popolazioni occidentali. Si è spento da martire, come i discendenti di Maometto a cui lui si ispirava, come Ali e Hussein. È morto tra l'altro non lontano da dove sono morti questi Imam sciiti, ossia proprio in Iraq. Andava lì per esaminare con gli iracheni le vie per fronteggiare le sfide poste dalle ultime sacche di resistenza dell'Isis.
2) È vero che il comando americano in Iraq era stato avvisato dell'arrivo del generale perché Soleimani era in missione diplomatica?
R) È vero che ha condotto il volo completamente alla luce del sole perché arrivava in Iraq come autorità ufficiale del governo iraniano. Sarebbe potuto arrivare anche in Italia, per esempio, se l'Italia avesse chiesto la cooperazione o l'aiuto dell'Iran in materia anti-terrorismo. Ucciderlo, al contrario di quanto hanno sostenuto gli americani, non aveva bisogno di complicate informazioni di intelligence o di grandi capacità organizzative. È un'azione codarda e vigliacca.
3) Cosa risponde a coloro che in Occidente affermano che il generale Soleimani è morto anche per un regolamento di conti interno alla politica iraniana?
R) Pura fantasia.
4) La situazione che si è venuta a creare ricorda con angoscia l'incidente di Sarajevo, che portò alla Prima Guerra Mondiale. Quanto dobbiamo temere il futuro?
R) L'Iran risponderà; lo farà sicuramente; ma lo farà come è degno della sua cultura millenaria. È vero, gli americani sono molto più forti, ma credo che sia chiaro che gli iraniani sono molto più astuti. La risposta si articolerà in due settori.
a) Strategica: questa risposta sarà la più importante. Trump non sa' di aver servito su un piatto d'argento all'Iran, la giusta causa per poter buttare fuori da tutto il Medio Oriente gli americani. L'Iraq butterà fuori dal suo territorio gli americani, con le buone o con le cattive. Perdere l'Iraq una volta per sempre, sarà il pegno più pesante che gli Usa pagheranno per l'assassinio di Soleimani e di Abu Mahdi Al Muhandis.
b) Militare: questa risposta arriverà ma non immediatamente. È difficile capire come e quando. Se come penso la parte strategica andrà bene, probabilmente gli iraniani, rimanderanno ad un tempo remoto l'azione e potrebbero limitarla nelle dimensioni.
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Fin qui Abbasi. Voglio però riportare anche il pensiero del senatore Richard Black che, fin dall’inizio del carnaio siriano, è stato l’unico politico americano a prendere con vigore le distanze dalla politica ufficiale americana e ad ammetterne la deriva disastrosa. In una sua dichiarazione di questo 3 gennaio, il senatore Black afferma:
“La morte del generale Soleimani è una grande tragedia. Abbiamo ucciso uno dei due generali maggiormente responsabili della sconfitta dell'ISIS e di Al Qaeda.
Non stiamo veramente combattendo una guerra al terrore. Temo che in un certo senso stiamo diventando il terrore.
La sua uccisione, associate a movimenti di truppe in rapida crescita, possono presagire una nuova guerra di aggressione, questa volta contro il popolo iraniano. Prego che ci allontaniamo dalla vasta guerra che incombe.
Ora abbiamo iniziato il trentesimo anno di guerra contro l'Iraq. Abbiamo lanciato un quarto di milione di bombe sul Paese e sulla sua gente. Abbiamo speso un trilione di dollari lì, ma non ci siamo mai presi la briga di ricostruire efficacemente la rete elettrica che abbiamo distrutto nei bombardamenti "shock and awe" di una generazione fa. La guerra ha mai riguardato la democrazia? Penso di no.
Il generale Wesley Clark, ex comandante supremo alleato, in Europa, ci ha raccontato in che modo il segretario alla Difesa, nel 2002, ha ordinato la preparazione di piani per rovesciare sette nazioni nei prossimi cinque anni. L'Iran era l'obiettivo finale. Il programma è cambiato, ma il nostro obiettivo no. Né i nostri soldati né il nostro popolo hanno voce per fermarlo.”
È una dichiarazione dal sapore disperato, di un uomo che ha combattuto per il proprio Paese in terra straniera, il Vietnam, e il cui valore, lealtà, patriottismo non possono essere messi in discussione.
Molti commentatori di questi giorni dimenticano, o ignorano per comodità, che il generale Soleimani era un ufficiale di alto rango di un esercito legittimo, non un rivoltoso straccione e male in arnese. Secondo alcune fonti, era in Iraq per negoziare una nuova stagione con l’Arabia Saudita. Come potranno ora i negoziatori iraniani, ma anche quelli russi e cinesi, fidarsi di un invito americano?
L’Iran, nazione coesa e vecchia di tremila anni, non ha molte scelte. L’eliminazione di Soleimani, figura già mitica e consegnata ora alla nobiltà del martirio sciita, avviene poco dopo il fallimento dell’ennesimo Maidan in chiave iraniana: insurrezione soppressa, insorti fermati, rete spionistica straniera compromessa. Ciò significa che se anche l’Iran non rispondesse a questa provocazione, gli americani ne farebbero un’altra fra qualche settimana, in un crescendo impossibile da accettare.
I prossimi giorni sono fondamentali: se cade Teheran, poi toccherà a Mosca e Pechino.