L'irredentismo corso

27.02.2017

Con il Trattato di Versailles, firmato dai rispettivi plenipotenziari il 15 maggio 1768, la Repubblica di Genova offrì la riottosa e fiera isola di Corsica al Regno di Francia, come garanzia per i debiti contratti con Parigi pari a due milioni di lire genovesi. La situazione politica dell’isola, al momento del passaggio di consegne, era in piena ribellione contro l’occupazione genovese,  che continuò anche contro i francesi guidati dal grande patriota Pasquale Paoli.

L’anelito indipendista fu schiacciato con la battaglia di Ponte Nuovo, tra l’8 e il 9 maggio 1769, dai francesi, che in seguito alla vittoria occuparono tutta la Corsica, ma ciononostante non riuscirono a troncare i radicati e plurisecolari rapporti commerciali e culturali con la Penisola italiana.

Il decreto di riunione della Corsica alla Francia, ultimo atto dell’annessione francese verso l’isola del Mediterraneo, avvenne il 30 novembre 1789. L’italianità era però molto forte, tanto che il filologo e storico Niccolò Tommaseo, in collaborazione con il magistrato e poeta di Bastia Salvatore Viale, tra gli anni 30 e 40 dell’800 studiò il vernacolo corso, influenzato dalla Toscana, definendolo come il più puro dei dialetti italiani. Per tutto il resto del secolo vi fu una sorta di divisione degli ambiti linguistici: il vernacolo corso venne considerato adatto solo a soggetti giocondi, farseschi, popolareschi, mentre per i soggetti più seri la scelta ricadeva sull'italiano.

Il cambiamento di rotta francese avvenne con Napoleone III e la sua francesizzazione che comportò l’imposizione della lingua, delle leggi e dei costumi francesi. Si arrivò addirittura al mancato riconoscimento dei titoli di studio rilasciati dalle Università italiane. Diversi garibaldini e patrioti italiani erano di provenienza corsa, come per esempio Leonetto Cipriani di Centuri che terminò la sua folgorante carriera politica e militare diventando senatore del Regno d’Italia. Dopo la prima guerra mondiale, l’ambito dell’italianità isolana andò peggiorando a causa della politica sciovinistica francese che pretendeva di annullare ogni riferimento culturale italiano della Corsica, scardinando di pari passo anche i legami politici e commerciali. Fu in questo contesto che nacque, per reazione, in Corsica un appassionato movimento irredentista che si diffuse in tutta la popolazione ed in tutti gli strati sociali.

La situazione economica, già precaria, era diventata disastrosa: molti corsi furono costretti ad emigrare, a fare delle scelte di campo. Chi si appoggiò alla Francia riuscì a trovare un lavoro nell’amministrazione e nell’esercito coloniale francese, chi vedeva un futuro, per l’isola, nell’Italia, come molti intellettuali, si recarono a studiare e a lavorare in Italia. In Corsica, nel frattempo si verificarono continui, meschini scontri tra clans, tra “parrocchie” autonomiste e gruppetti codini di vecchi pensionati dell’impero coloniale francese, per la spartizione di quote locali di potere.

Con l’avvento di Mussolini al potere crebbe, in Italia, l’interesse per i territori di cultura e lingua italiane ancora non riuniti a Roma, come per esempio Corsica e Malta. In contemporanea crebbe in Corsica e nelle altre zone irredente un sentimento fortissimo favorevole a Roma, avvantaggiato peraltro dalle conquiste sociali del Regime.

Quotidiani come  Il Telegrafo di Livorno e L’Isola di Sassari, tra gli altri, che pubblicavano settimanalmente una pagina riguardante la vita corsa. Contemporaneamente fiorirono riviste a carattere spiccatamente  còrso e irredentista, come: Corsica antica e moderna, di Francesco Guerri,  nome di battaglia, “Mimmo Grosso”, e  L’idea còrsa, diretta da Anton Francesco Filippini. Uno tra i primi intellettuali corsi favorevoli all’Italia fu Petru Rocca, nato a Vico il 28 settembre 1887. Dopo aver partecipato alla Prima Guerra Mondiale, fondò, nel 1920, la rivista A Muvra, organo di informazione del Partitu Corsu d’Azzione (PCdA).

Questo partito nel 1927 fu rinominato Partitu Corsu Autonimistu la cui costituzione voleva scrivere Rocca con l’obiettivo di una resistenza corsa verso la Francia. Avendo preso una forte impronta antifrancese nel 1939 il partito fu bandito nel 1939 con l’accusa di aver collaborato con Mussolini. La già ricordata rivista A Muvra esponeva in continuazione l’obiettivo fisso dei suoi redattori: l’unione della Corsica all’Italia. Altri patrioti furono Petru Giovacchini, Marco Angeli e Bertino Poli, i quali fondarono nei primi anni Trenta i Gruppi di Azione Corsa, allo scopo di svolgere attività culturale e politica per l'annessione della Corsica al Regno. Mentre i primi due trattavano argomenti vari e letterari, Poli espresse un contenuto più politico con opere come Il pensiero irredentista còrso e le sue polemiche, pubblicato a Firenze nel 1940, e A Corsica di dumani, pubblicata a Livorno nel 1943. Quello che però aderì  più concretamente e fattivamente al fascismo e che riscosse quindi maggiore apprezzamento presso le autorità italiane fu Petru Giovacchini.

Questi nacque a Canale Verde il primo gennaio 1910 da un’antica nobile famiglia, italiana per cultura, sentimenti, tradizioni. I suoi antenati si erano sempre battuti per l’italianità della Corsica. Simeone Giovacchini, fatto prigioniero durante i primi moti antifrancesi, morì nella fortezza di Tolone senza mai aver rinnegato i suoi ideali di libertà dallo straniero. Un altro antenato, Anghieluvisu, partecipò attivamente al Risorgimento italiano come capo dei Pennuti, i Carbonari corsi. Petru Giovacchini si trasferì a Bastia per studiare al Liceo Nazionale, e si dice che già da adolescente collaborasse a periodici riguardanti l’autonomismo corso. Nel 1927, avendo deciso di dover scrivere su un settimanale risolutamente irredentista, fondò il Primavera, che però venne presto sequestrato comportando per Giovacchini l’espulsione dal  liceo. Nei due anni successivi pubblicò due raccolte di canti patriottici dialettali: Musa casalinga e  Rime notturne. Nel 1930 si iscrisse alla Facoltà di Medicina presso l’Università di Pisa, ma, essendo poi tornato in Corsica per assistere il padre gravemente ammalato, fu costretto a prestare il servizio militare di leva, subendo persecuzioni e violenze durante la ferma, finita la quale gli venne negata la possibilità di concludere gli studi  in Italia. Si trasferì all’Università di Pavia dove fondò, nel 1933, i Gruppi di Cultura Còrsa nel novembre dello stesso anno. Ben presto questi gruppi si trasformarono nei già ricordati Gruppi d’Azione Corsa. Petru Giovacchini fu volontario in Africa  Orientale, arruolato nel 147° battaglione CC.NN. Fu volontario anche in Spagna, come ufficiale medico della Milizia, distinguendosi per valore, ottenendo decorazioni ed il trasferimento in servizio permanente per meriti di guerra. Quando l’Italia entrò in guerra, 10 giugno 1940, Petru chiese di combattere in prima linea per la liberazione della Corsica dal giogo francese, ma il Comando Generale della Milizia ritenne che sarebbe stato molto più producente sfruttare le sue abilità dialettiche nel campo della propaganda. La dichiarazione di guerra alla Francia e la conquista della Corsica da parte delle truppe italiane, dettero speranza agli irredentisti, ma Mussolini rinviò la formalizzazione dell’annessione alla fine della guerra, per non inimicarsi la Francia di Vichy. Nel 1942 fu proposto come Governatore della Corsica non appena fosse terminato l’immane conflitto bellico.

Nel febbraio 1943, in Sardegna, fu costituito un Battaglione Corso, inquadrato nella 73° Legione Camice Nere. Questo episodio rappresentò il culmine della collaborazione tra corsi e italiani. Dopo l’8 settembre, ancor prima della rioccupazione della Corsica da parte delle truppe golliste, fu sequestrato dai partigiani locali e in seguito condannato a morte il colonnello Petru Simone Cristofini, con l’accusa di aver collaborato con le autorità italiane e tedesche presenti sull’isola e per aver fornito informazioni sulla resistenza locale. Venne fucilato ad Algeri nel novembre 1943, dopo che il colonnello ebbe tentato il suicidio lanciandosi da una finestra del tribunale al quarto piano. Sua moglie, Marta Renucci, prima donna in Corsica a fare la giornalista, fu condannata a cinque anni di reclusione, che dovette scontare nelle carceri di Algeri, i beni dei coniugi vennero confiscati. Con le stesse accuse furono condannati a morte il colonnello Pantalacci ed il figlio Antoine, che però riuscirono a fuggire in tempo in Italia. Un altro colonnello, Pascal Mondielli, fu condannato all’ergastolo per collaborazionismo. Dopo l’otto settembre, Petru Giovacchini affidò l’organizzazione irredentista a Giuseppe Mastroserio e si trasferì al Nord per arruolarsi nella Rsi insieme agli amici Angeli e Poli. Non tornarono più in Francia, pendendo sulla loro testa la pena di morte.

La Corte di Giustizia di Bastia, nell’autunno del 1946, condannò a morte in contumacia Giovanni Luccarotti, un lontano discendente di Pasquale Paoli, Pietro Luigi Marchetti, giornalista, Bertino Poli, Marco Angeli e Petru Giovacchini, tutti latitanti, rifugiati in Italia, dove vivevano in semiclandestinità per evitare la giustizia francese. A pesanti pene detentive furono condannati altri imputati: Petru Rocca a quindici anni di lavori forzati, deportato alla Guiana; Yvis Croce, conservatore degli archivi di Stato della Corsica a cinque anni di lavori forzati; don Domenico Parlotti, canonico della cattedrale di Bastia e scrittore dialettale a dieci anni di reclusione, morì in carcere; don Giuseppe Damiani, direttore didattico a cinque anni di lavori forzati. Risultarono condannate anche due donne: Margherita Ambrosi, vedova del poeta Piazzoli che aveva esaltato l’Italia a cinque anni di reclusione e Maria Rosa Alfonsi, giovane parrucchiera di Ajaccio, in contumacia a cinque anni di lavori forzati. Fu condannato a due anni di reclusione Angelo Giovacchini, fratello di Petru. Tutti furono ritenuti colpevoli di aver attentato alla sicurezza nazionale. I loro beni vennero confiscati, eccezion fatta per Angelo Giovacchini. Mentre il sindaco di Pastricciola, Marco Leca, venne condannato alla  degradazione nazionale.

La repressione francese, seguita alla vittoria degli eserciti alleati, fu durissima; ogni movimento autonomista fu soppresso. Si volle  proibire e annullare ogni ricorso alla lingua italiana e perfino al dialetto còrso. Gli alunni delle varie scuole, quando  venivano sorpresi a parlare in dialetto, venivano espulsi e finanche percossi. Fu una repressione feroce. Persino la Chiesa cattolica, che aveva fino allora sempre adoperato l’italiano nelle omelie, nelle prediche, nelle comunicazioni ufficiali, fu costretta ad usare il francese sotto la minaccia di arresti e di persecuzioni. Gli irredentisti, poi, vennero perseguitati accanitamente, braccati, arrestati, processati, condannati, deportati. La francesizzazione dell’isola venne perseguita con una vera e propria colonizzazione imposta con  l’insediamento di coltivatori francesi profughi dall’Algeria,e non solo, i famosi Pieds Noirs ai quali furono concessi i migliori terreni demaniali dell’isola. Venne favorita anche la speculazione turistica straniera ed infine, per coronare l’opera, fu trasferita la Legione Straniera a Corte. Queste manovre di carattere neocoloniale hanno, credo, snaturato completamente il quadro etnico della Corsica.