Le donne che fecero la Marcia su Roma
La partecipazione di alcune donne alla Marcia su Roma è un aspetto ancora poco conosciuto di questo cruciale evento della storia italiana.
Quando si pensa al rapporto tra il Fascismo, inteso come movimento politico, e le donne generalmente si immagina un rapporto incentrato solo sul tentativo di sottomissione da parte dei fascisti nei confronti delle donne, a cui era riconosciuto un ruolo sociale solo all’interno del focolare domestico.
In realtà questa visione delle donne apparteneva al lato nazionalista e conservatore del fascismo non a quello movimentista e sansepolcrista.
Il 23 marzo 1919, all’assemblea di Piazza San Sepolcro, parteciparono nove donne quasi dimenticate dalla Storia Ufficiale: Giselda Brebbia, Luisa Rosalia Dentici, Maria Bianchi, Fernanda Ghelfi Pejrani (o Peyrani), Paolina Piolti De’ Bianchi, Cornelia Mastrangelo Stefanini, Ines Norsa Tedeschi, Regina Teruzzi e Gina Tinozzi.
Provenivano da tutti i ceti sociali e tutte erano di età abbastanza matura. Tra queste le più note furono Regina Teruzzi e Giselda Brebbia che, come Benito Mussolini, provenivano dalle file del Socialismo. Luisa Rosalia Dentici aveva precedentemente partecipato al Sindacalismo Rivoluzionario, così come diversi fascisti della prima ora. Le altre sei avevano iniziato la loro militanza politica come irredentiste nel movimento interventista che spinse l’Italia verso la Prima Guerra Mondiale. L’irredentismo fu una passione che accumunò molte di coloro che entrarono nel movimento fascista, dalle donne dei confini nord-orientali alle crocerossine della prima linea del fronte di guerra.
Nel programma che fu approvato a Piazza San Sepolcro era presente anche il diritto di voto alle donne.
Tutte le nove partecipanti facevano parte del Fascio di Combattimento di Milano, allora molto a sinistra nel programma politico: tanto da richiedere il divorzio e l’equiparazione di trattamento giuridico tra figli legittimi e figli illegittimi (come avrebbe desiderato Regina Teruzzi). Molte di queste militanti parteciparono al fianco del marito o dei figli all’attività politica fascista.
Il 12 marzo 1920 fu fondato da Elisa Savoia, a Monza, il primo Fascio Femminile d’Italia. Alcune attiviste parteciparono alle attività squadristiche: come successe a Cesarina Bresciani, sorella di Italo Bresciani, che assaltò con altri squadristi il Municipio di Verona il 4 novembre 1920. Spesso le azioni delle squadriste erano volte a colpire le appartenenti agli altri partiti politici ma, o perché la polizia le considerava semplici liti tra donne o perché non c'erano denuncie, furono pochissime le fasciste arrestate e ancor meno quelle detenute o condannate.
Le donne squadriste erano la minoranza di una minoranza, in più il loro atteggiamento non era accettato dalla componente più tradizionalista del Movimento Fascista.
Di molte donne che hanno partecipato alla Marcia si sono perse le tracce, così come per molti uomini, ma di alcune sono rimaste le memorie come per Ines Donati, Piera Gatteschi Fondelli, Giulia Mattavelli, Elisa Mayer Rizzioli. Oltre alle squadriste, alle legionarie fiumane, vi parteciparono madri e vedove di guerra e le donne che parteciparono all’evento come personale di servizio nei centri di raccolta e mobilitazione. Esse costituirono uno spaccato variegato della società italiana e con molte altre di tutti gli schieramenti politici che presero parte attiva sia al dibattito sulla posizione dell’Italia nella I Guerra Mondiale sia al dibattito sul diritto di voto alle donne, fecero parte di quel piccolo gruppo che proprio attraverso la politica si erano già emancipate negli Anni Venti rispetto alla maggioranza delle donne rimasta in attesa degli eventi.
In quegli anni così difficili del primo dopoguerra alcune donne presero parte attiva alla lotta politica che stava dilaniando l’Italia, intrecciando questo confronto con la lotta per l’emancipazione femminile che infatti si intesseva, per alcune, con le rivendicazioni sociali, per altre, con il desiderio di un rinnovamento nazionale tanto atteso da tutti.
Ines Donati nacque a San Severino Marche, vicino Metelica , l’8 giugno del 1900 da un calzolaio, David Donati e da una orologiaia, Ludmilla Bertolli. Verso i 18 anni fuggì da casa e trovò ospitalità nella Casa famiglia di Santa Rufina a Roma. Nella capitale iniziò a frequentare una scuola d’arte. Partecipò da subito a diversi gruppi nazionalistici tra cui l’Unione Popolare Antibolscevica, l’associazione scoutistica del Corpo Nazionale Giovani Esploratrici, l’Associazione Nazionalista Italiana e risultò essere l’unica donna, nel 1919, ad essere iscritta alla squadra nazionalista italiana romana dei Sempre Pronti. Durante i grandi scioperi del pubblico impiego del 1919 – 1920, passato alla Storia come Biennio Rosso, prese parte alle azioni volte alla ripresa delle attività: fu impiegata come spazzina , postina e presso l’Azienda Elettrica municipale romana. Durante una sfilata dei nazionalisti svoltasi a Ravenna, partecipò alla difesa del corteo preso d'assalto dai repubblicani. Affascinata dal fascismo fu la più strenua sostenitrice del movimento nella capitale “non disdegnando dall’agire risolutamente contro coloro che offendevano la patria” tanto da essere chiamata dagli squadristi la Capitana. Divenne famosa in tutta Italia a causa dell’aggressione da lei eseguita ai danni del deputato socialista Alceste Della Seta, il 18 febbraio 1921, il quale fu prima preso a schiaffi da lei e poi bastonato da alcuni squadristi . Per questo gesto fu arrestata per un mese e fu a sua volta schiaffeggiata da appartenenti agli arditi del popolo del quartiere di Trastevere, il 21 luglio dello stesso anno e ricoverata per venti giorni in ospedale. Nel 1922 si trasferì nelle Marche e ad Ancona dove continuò la sua lotta contro socialisti e comunisti sia prendendo parte attivamente agli scontri di Borgo San Lazzaro sia aiutando i feriti. Nello stesso anno prese parte alla Marcia su Roma partendo da Ancona, munita di due pistole. Nella capitale si incontrò con Benito Mussolini ma si ammalò di tubercolosi. Ciò nonostante, dopo che furono sciolte le squadre d’azione ed ebbe luogo la fusione tra nazionalisti e fascisti nel febbraio del 1923, chiese di poter fare parte della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Ormai stroncata da un male terribile morì a Matelica il 3 novembre del 1924 alle 8 e 20. Fu sepolta inizialmente a Matelica e le venne intitolata una colonia elioterapica. Nel 1933 per volontà di Achille Starace il suo corpo venne riesumato il 23 marzo, e dopo funerali solenni fu inumata nel sacrario dei caduti fascisti al Verano a Roma. Inoltre in suo onore venne commissionato un monumento bronzeo, opera dell’architetto Rutilio Ceccolini e dello scultore Luigi Gabrielli, nei pressi della piazza principale di San Severino Marche. Il discorso inaugurale fu tenuto dalla giornalista ed ispettrice fascista Wanda Bruschi. Per tutto il Ventennio e durante la Repubblica di Salò la Donati fu una figura importante per i Fasci Femminili prima e il Servizio Ausiliare Femminile poi. Dopo la guerra il suo monumento fu rimosso dai partigiani e successivamente ne fu intitolato uno alla memoria dei caduti di tutte le guerre.
Giulia Mattavelli nacque a Lanzo d’Intelvi, provincia di Como, il 17 dicembre 1891, e suo padre era un portalettere . Durante la I Guerra Mondiale prese parte alle attività degli interventisti animando diversi comitati di propaganda patriottica, trasferendosi nel frattempo a Milano per aiutare la sorella nella gestione di un atelier di moda. Nella città meneghina incontrò il conte Cesare Carminati Brambilla, divenendone presto l’amante. Insieme andarono a vivere nel Castello di Semiana, Provincia di Pavia, dove il conte era stato costretto a stabilirsi per sfuggire al potere del ras della Lunigiana, Cesare Forni che da Mortara dirigeva lo squadrismo agrario del Padovano e di cui era rivale. In questo castello erano insediati anche altri squadristi locali e sembra che Mattavelli partecipasse alla lotta contro i cosiddetti sovversivi delle leghe bracciantili utilizzando uno scudiscio. Si innamorarono di lei sia Francesco Giunta, Segretario del Partito Nazionale Fascista nel 1923 – 1924, sia lo stesso Cesare Forni che per lei si batteranno a duello. Quando il Duce visitò Mortara, nel 1921, incontrò Giulia e ovviamente divennero amanti e tra alti e bassi la loro relazione durerà molti anni. Siamo a conoscenza di questo legame dai diari di Clara Petacci che la ricorda perché Mussolini era solito ricordare alle sue nuove amanti le relazioni avute in precedenza. Il Duce, pur avendo un certo interesse per Giulia, nel corso del tempo cercò di liberarsi di lei non nutrendo più alcun interesse. Nenni, nelle sue Memorie, ricorda che la Mattavelli partecipò alla Marcia su Roma, sfilando con il suo cavallo alla testa delle squadre provenienti dalla Lomellina . Nel 1923 prese parte attivamente allo scontro di potere che contrappose il conte Brambilla a Cesare Forni. Renato Ricci, che doveva giudicare sul comportamento di Forni, inizialmente era favorevole a quest’ultimo ma dopo aver avuto un incontro con Giulia prese pesanti provvedimenti contro Forni. Non essendo convinto del giudizio di Ricci, Forni richiese un giurì d’onore a Roma. A questo punto, sempre nel 1923, la Mattavelli si trasferì nella capitale, all’Hotel Regina, in via Vittorio Veneto, per schiacciare definitivamente il nemico dell’amante. Pur mettendo in campo tutto il suo fascino e la sua abilità non riuscì a prevalere, anzi il conte Brambilla, nell’estate 1923, fu costretto a dare le dimissioni da sindaco di Semiana a causa dei troppi scandali e delle sopraffazioni di cui la sua amministrazione si era resa colpevole. Il 23 dicembre 1926, a Milano, Brambilla e Giulia si sposarono e si trasferirono nella tenuta di Cà Vendramin nel comune di Taglio del Po. Nella primavera del 1928, l’ormai contessa Brambilla, fu la Presidentessa di un comitato di beneficienza che organizzò una festa denominata Convegno Etico – Popolare allo scopo di riprendere un’antica celebrazione popolare locale, il Festival della Beneficienza, in cui, il giorno dell’evento, c’era una sfilata di carri allegorici. Il marito proseguì anche nella nuova residenza i soprusi ai subalterni tanto che il questore di Rovigo, nel 1940, descrisse Cesare Carminati Brambilla come un “signorotto da Medio Evo, sfacciato e millantatore [che] ha sempre terrorizzato la zona, sicuro di ogni impunità per le sue prepotenze ”. Nel 1944 Giorgio Pini, ispettore del Partito Repubblicano Fascista, si riferì alla contessa come a “donna energica e intrigante, che non dava respiro alle autorità rodigine, vantando protezioni e altissime aderenze ”. Nel 1946 la famiglia Brambilla lasciò la direzione della tenuta di Cà Vendramin ad una società per azioni con sede a Milano. La contessa morì a Como nel 1975 senza aver avuto figli.
Elisa Mayer Rizzioli nacque il 27 novembre 1880 a Venezia da Angelo Mayer e Maria Marini entrambi di famiglia aristocratica. Sposò nel 1905, a 25 anni, il notaio Nicola Rizzioli appartenente anch’egli ad una nota famiglia di professionisti veneziani. Pur vivendo una vita agiata decise comunque di imbarcarsi, il 20 ottobre 1911, sulla motonave Memfi come infermiera della Croce Rossa Italiana per dare assistenza ai soldati italiani partiti per la Libia. Nel suo diario africano scrisse “Non l’ho mai lasciato mio marito; non sono andata sola in nessun posto. Ora si tratta di un dovere e Nicola capisce questo e mi approva ”. Dopo la guerra italo - turca partecipò al movimento interventista del 1915 e quando l’Italia entrò in guerra contro l’Impero Austro-ungarico, la Mayer organizzò un comitato di soccorso per le famiglie dei soldati partiti per il fronte. Prima di partire lei stessa come infermiera fu segretaria di un comitato di assistenza civile a Venezia . Durante la guerra operò sui treni-ospedali in condizioni spesso precarie condividendo la dura vita dei soldati. Gli ideali per lei più importati in quel periodo, e che continuò ad avere anche successivamente, furono: la certezza nella vittoria italiana; dare tutta se stessa per la patria anche a costo della vita. La sua esperienza da crocerossina nel periodo della Grande Guerra è ricordata nel suo libro Fratelli e sorelle. Libro di guerra 1915 – 1918, pubblicato a Milano nel 1920. In questo libro Elisa analizzò acutamente le situazioni con cui il fante italiano si trovò a confrontarsi durante la guerra. Pertanto denunciò il fatto che erano più i soldati italiani a morire a causa della malaria che quelli colpiti dalle pallottole austriache, situazione resa ancora più grave dal fatto che nessuno cercasse di debellare la malattia. Era anche evidente l’accusa fatta alla classe politica dell’epoca, che per lei e per molti in quell’epoca travagliata, non faceva abbastanza per promuovere il bene del Paese . Nel 1919 la Mayer sostenne attivamente la spedizione fiumana di D’Annunzio. Fondò con diverse fasciste milanesi e in accordo con il Popolo d’Italia, il 13 giugno 1920, l’Associazione Nazionale delle Sorelle dei Legionari di Fiume e Dalmazia. Tra le fondatrici ci furono la sansepolcrista Ines Norsa Tedeschi e la professoressa Laura Mottura, una fascista della prima ora. Inizialmente un Fascismo Femminile, autonomo organizzativamente da quello maschile, potrà esistere solo in questa Associazione. Vennero create sezioni a Verona, Treviso, Savona, Roma, Genova, Bergamo, Pola, Torino e Ravenna. La sua attività venne rivolta sia nel campo propagandistico sia nella beneficenz . Con il secondo Congresso dei Fasci di Combattimento, Milano 24-25 maggio 1920, ebbe luogo un netto cambiamento generale che ebbe ripercussioni anche sull’atteggiamento verso le donne. Nuovi aderenti, più conservatori, entrarono nei Fasci il che portò il movimento e lo stesso Mussolini a spostarsi verso destra: il programma sansepolcrista venne dimenticato. Questo cambiamento e l’abbandono di D’Annunzio, da parte di Mussolini, durante il Natale di Sangue del dicembre 1920, portò ad una perdita di voti da parte di ambo i sessi. A seguito di ciò molti Fasci Femminili, come quello di Monza o Trieste, si svuotarono e ciò rese ancora più importante, politicamente, il ruolo dell’Associazione della Mayer Rizzioli. Le elezioni politiche erano previste per il 15 maggio 1921 e Mussolini aveva bisogno del sostegno dell’Associazione in tutta Italia ma particolarmente a Milano, dove non c’era unità di intenti con gli alleati del Blocco Nazionale. Anche quando la contrapposizione fu risolta, c’erano le rivolte squadriste che potevano far perdere voti . Il 10 maggio 1921 fu concluso un accordo tra Benito Mussolini ed Elisa Mayer Rizzioli: la nobildonna veneziana promise di appoggiare il Fascismo mentre Mussolini, se l’Associazione lo avesse sostenuto, avrebbe rivisto il trattato di Rapallo . Dopo le elezioni, in cui i fascisti ottennero 35 deputati, i Fasci Femminili si ripresero, ne sorsero anche di nuovi. Personalmente Mayer Rizzioli era iscritta ai Fasci di Combattimento già dal 1920, collaborando al Popolo d’Italia e partecipando alla campagna elettorale del 1921. Durante i drammatici giorni della Marcia su Roma la Mayer svolse il ruolo fi infermiera dei legionari, ricevendo una medaglia per questo motivo due anni dopo. Nel 1924 fondò e diresse i primi Gruppi Femminili Fascisti in Lombardia e alla fine dello stesso anno divenne Ispettrice Generale dei Fasci Femminili. Con questa carica si occupò, unica donna, della redazione degli Statuti dei Fasci Femminili, i quali, nonostante lei si fosse battuta per mantenerne l’autonomia, sancirono la smilitarizzazione della componete femminile del PNF, la fine dei cortei e dei gradi femminili. Oltre a questo ruolo di guida del fascismo femminile, nel 1925 fondò e diresse il quindicinale La Rassegna Femminile Italiana che ebbe come scopo, sin dal primo numero, di essere la guida e la voce delle donne fasciste. Il primo numero del quindicinale uscì il 15 gennaio 1925 e la nobildonna si occupò della rubrica Vita dei fasci femminili, in cui erano riportate le notizie riguardanti i vari Fasci Femminili sparsi per il paese. La redazione era composta soprattutto da donne borghesi e tutte si riconoscevano nel pensiero della fondatrice. La Mayer Rizzioli voleva coinvolgere attivamente le donne fasciste affidando loro dei compiti ben precisi ma senza subentrare agli uomini nell’attività politica perché oltre all’italiano nuovo si desiderava creare anche un’italiana nuova. Il giornale sopravisse fino al 1930 , quando fu chiuso, ma nel tempo in cui sopravisse Mussolini appoggiò questa partecipazione di carattere femminile alla vita del paese. Da subito la Mayer si scontrò con i vertici del PNF che non vedevano di buon occhio questa situazione. Il problema era costituito dal fatto che la direttrice riteneva che, con i tempi e la mentalità nuovi, la donna moderna dovesse prendere il suo posto accanto all’uomo nella vita del paese ma senza dimenticare “il suo posto di regina della casa”. La Rassegna si occupò moltissimo della maternità insistendo soprattutto sulla educazione igienica delle madri, sulla creazione di ambulatori femminili per le gestanti e i neonati, sulla realizzazione di colonie montane e marine per i bambini bisognosi. Inoltre si sostenevano miglioramenti sulle leggi sulla maternità, migliori condizioni di lavoro per le operaie madri, l’emanazione di una legge sul lavoro a domicilio e il diritto al voto amministrativo per le donne di cui si era fatto garante lo stesso Mussolini durante la sua partecipazione al IX Congresso della Federazione Internazionale Pro Suffragio, svoltosi a Roma nel maggio 1923 . Nel 1926 Roberto Farinacci soppresse la carica di Ispettrice Generale dei Fasci Femminili, dando così un primo colpo a Elisa Mayer Rizzioli poi, poiché quest’ultima non volle cedere sull’autonomia decisionale dei Fasci Femminili, il giornale fu chiuso una prima volta nel 1926. Quando il giornale riaprì, nel gennaio 1927, non era più il bollettino ufficiale dei Fasci Femminili ma solo un foglio dedicato alle fasciste. Con la tipica politica del promoveatur ut amoveatur la Mayer Rizzioli, dopo aver perso il posto al giornale, fu nominata Delegata Generale del Consorzio Femminile Italiano per la valorizzazione dei prodotti nazionali che non aveva alcun potere reale. Comunque la Mayer, nel 1929, organizzò la prima esposizione italiana dedicata unicamente alle donne, la Mostra femminile d’arte pura, decorativa e di lavoro, che fu inaugurata al Castello Sforzesco di Milano il 10 marzo. Elisa Mayer Rizzioli morì il 2 giugno 1930, amareggiata e delusa per il trattamento subito.
Piera Gatteschi Fondelli nacque a Greve in Chianti il 22 agosto 1902. Suo padre morì prima della sua nascita ma ebbe sempre un ottimo rapporto con la madre. Si trasferirono a Roma prima del 1914. Nel 1921 si iscrisse al Fascio di Combattimento di Roma, il 19 ottobre partecipò attivamente al Congresso Fascista di Napoli e il 28 ottobre fu a capo di un gruppo di venti donne che formarono la “squadra d’onore di scorta al gagliardetto” e con esso partecipò alla Marcia su Roma. Ben presto, grazie alla sua fede fascista e alle sue doti organizzative, divenne Ispettrice della Federazione dell’Urbe occupandosi così anche dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, della Croce Rossa Italiana e delle colonie estive per i bambini poveri. Nel 1936 lasciò tutto e seguì il marito, l’ingegner Mario Gatteschi, nell’Africa Orientale Italiana, il quale aveva ricevuto l’incarico di dirigere i lavori della strada Assab – Addis Abeba. Al suo rientro in patria, nel 1939, Mussolini la nominò Fiduciaria dei Fasci Femminili dell’Urbe, che all’epoca contavano circa 150.000 iscritte. Nel 1940, allo scoppio della guerra, divenne Ispettrice Nazionale del Partito Nazionale Fascista. Il marito, intanto, era tenuto prigioniero dagli inglesi in Kenia e dopo il 25 luglio 1943 la Gatteschi trovò ospitalità nella casa dei suoceri nel Casentino, in Provincia di Arezzo. Saputo della liberazione di Mussolini e della costituzione della Repubblica Sociale Italiana si trasferì a Brescia dove iniziò una intensa collaborazione con Alessandro Pavolini, Segretario del Partito Fascista Repubblicano. In un incontro, risalente alla fine del 1943, con Mussolini la Gatteschi Fondelli fece presente la volontà di molte donne di incidere di più nella guerra che si stava ormai combattendo sul suolo italiano. Questa idea era sostenuta anche da Pavolini e dal Maresciallo Rodolfo Graziani perché a causa del tracollo militare dell’8 settembre era necessario sostituire i tanti uomini che partivano per il fronte nei ruoli non di prima linea. Il Servizio Ausiliario Femminile fu istituito dal Duce con decreto legislativo n. 447, il 18 aprile 1944. Come suo leader fu scelta Piera Gatteschi Fondelli con il grado di Generale di Brigata. Al SAF vennero assegnati compiti ausiliari nei lavori di ufficio presso le diverse strutture militari che componevano l’esercito repubblicano, oltre che nella difesa contraerea, nei posti di ristoro e l’assistenza ai feriti negli ospedali militari. Parte di questi compiti dal 1940 al 1943 erano stati svolti dai Fasci Femminili. Il dato nuovo era che questa volta le donne avrebbero svolto attività nelle immediate retrovie: erano richieste, per i posti mobili di ristoro, ragazze senza onerosi impegni familiari, con una buona conoscenza del tedesco. Molte di queste donne dovevano anche guidare gli automezzi, necessari per spostarsi più celermente .
Fecero parte del SAF donne di ogni estrazione sociale e da tutta Italia poiché oltre alle donne del Nord Italia, vi parteciparono le sfollate dalle zone occupate dagli anglo-americani. Per molte di loro l’adesione ad uno sforzo maggiore era iniziato già a partire dall’entrata in guerra. Per chi voleva partecipare allo sforzo bellico c’erano tre possibilità: 1) entrare nella Croce Rossa Italiana; 2) iscriversi ai Gruppi Femminili Fascisti Fepubblicani, nuova denominazione dei Fasci Femminili del Ventennio; 3) arruolarsi nel SAF. In un memoriale, scritto dalla stessa Gatteschi Fondelli nel 1984, il comandate generale ricorda le caratteristiche salienti del suo corpo: impegno assiduo e totale verso i compiti assegnati, disciplina di ferro, intensa vita religiosa. Viene anche ricordato l’aspetto secondario dei sentimenti fascisti nelle motivazioni delle ausiliarie e il desiderio di non permettere la trasformazione del SAF in corpo combattente, come invece era accaduto in Unione Sovietica. Tra il 1944 e il 1945 seimila donne passarono attraverso i sei corsi di addestramento che si svolsero prima a Venezia e poi a Como, suddivisi in ventidue corsi provinciali, per poi essere assegnate ai singoli Comandi regionali. Il SAF era alle dipendenze della Direzione del Partito Fascista Repubblicano per tramite del Comando Generale del servizio Ausiliario e al termine del corso di addestramento le ausiliarie prestavano giuramento alle Forze Armate Repubblicane, venendo considerate a tutti gli effetti personale militarizzato. Prestarono servizio nell’Esercito, nella Marina, nell’Aviazione, nelle Brigate Nere e nella X MAS. Alla data del 18 aprile 1945 il SAF contava venticinque ausiliarie morte, otto ferite e sette disperse (non esistono dati attendibili per il dopoguerra). Piera Gatteschi Fondelli fece di tutto per mettere in salvo le ausiliarie, di cui si sentiva responsabile, e se stessa, vivendo per circa un anno in clandestinità, rifugiandosi prima in un convento poi in un manicomio. Successivamente si trasferì con il marito in Abruzzo. Non ebbe figli propri ma considerò come una figlia la nipote Teresa Tirinnanzi, che aveva perduto entrambi i genitori. Si iscrisse al Movimento Sociale Italiana partecipando attivamente alla vita del partito, per esempio occupandosi dei viaggi dei giovani militanti.