Soggetto Radicale e fenomenologia della Trascendenza
La percezione della Trascendenza
Nel precedente articolo Soggetto Radicale e fenomenologia dell’Immanenza, abbiamo delineato l’Immanenza come prima forma di presenza diretta del Divino, all’interno della Via della Mano Vuota, che si manifesta antropologicamente come pratica abituale della Consapevolezza, la quale col tempo e la tenacia si trasforma in habitus esistenziale vissuto anche al di fuori dei limiti dello stesso evento meditativo. Abbiamo anche affermato che la Consapevolezza, superato l’humus della fase negativa di percezione di Assenza del Divino, di a-teismo spirituale e di finitezza di ogni relazione umana, fiorisce e si trasforma in positiva Presenza del Divino non differenziata, dove l’anima cosciente in modo diretto e immediato intuisce spiritualmente e percepisce sensorialmente come esperienza dell’Essere, uno stato di non separazione, di unità e di identità con ciò che lo circonda, un’energia invisibile che tutto lega ed unisce.
Ossia, un’esperienza dell’Essere in radice, un vivo esperire fenomenologico del non-altro-da-sé che coincide con la presenza dell’Essere in tutte le cose come loro fondamento, ma che essendo appunto immanente ad esse non può essere ancora percepito come Altro-da-sé. Abbiamo infine denotato i limiti di questa esperienza attraverso una crisi, un corto circuito che predispone l’anima cosciente alla maturazione finale della sua Consapevolezza immanente che consiste nello schiudersi all’Altro-da-sé, ossia l’apertura al Totalmente Altro, nel tentativo antropologico di superare i limiti della propria condizione spirituale, l’arido e asciutto limite dell’Immanenza, in quanto la stessa anima cosciente non può vivere la condizione incessante di identità simbiotica con il reale circostante, ma alterna momenti di quieta beatitudine a momenti di totale Assenza con questa identità. (Link dell’Articolo).
Il passaggio dalla Consapevolezza immanente ossia dal non-altro-da-sé, alla percezione della Trascendenza nell’Immanenza, ovvero alla conoscenza dell’Altro-da sé, con tutto ciò che tale passaggio comporta nella sua sofferta frase di transizione, quando la siccità dell’Immanenza con il suo arido e asciutto limite si rivela in tutta la sua sostanza, viene ben rappresentato dalla dinamica esistenziale di ricerca del Divino (desiderium Dei) espressa dal salmista nella tematica dell’avere sete (sitio), unita al ricordo di Dio (memento) e al Suo abbandono (solitudo):
«Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio? Le lacrime sono il mio pane giorno e notte, mentre mi dicono sempre: “Dov’è il tuo Dio?”. Questo io ricordo e l’anima mia si strugge: avanzavo tra la folla, la precedevo fino alla casa di Dio, fra canti di gioia e di lode di una moltitudine in festa. Perché ti rattristi, anima mia, perché ti agiti in me? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio. In me si rattrista l’anima mia; perciò di te mi ricordo dalla terra del Giordano e dell’Ermon, dal monte Misar. Un abisso chiama l’abisso al fragore delle tue cascate; tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati. Di giorno il Signore mi dona il suo amore e di notte il suo canto è con me, preghiera al Dio della mia vita. Dirò a Dio: “Mia roccia! Perché mi hai dimenticato? Perché triste me ne vado, oppresso dal nemico?”. Mi insultano i miei avversari quando rompono le mie ossa, mentre mi dicono sempre: “Dov’è il tuo Dio?”. Perché ti rattristi, anima mia, perché ti agiti in me? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio». (Salmo 42[41], 2-12)
La Trascendenza, quindi, nel contesto peculiare della Via della Mano Vuota, è la seconda forma di presenza diretta del Divino nell’anima cosciente, dopo l’Immanenza, dopo che la Consapevolezza immanente raggiunge la sua piena maturità come apertura al Divino. Il tema della Trascendenza, nella antropologia mistica e nella sua esposizione fenomenologica, non è un tema trattato in-sé come nella metafisica che si addentra nella conoscenza speculativa dell’Essere e della sua aseità. Ma, diversamente, è una conoscenza della Trascendenza per quello che essa vuole manifestarsi nel contatto con l’anima cosciente, nei contorni di una Immanenza antropologica che si apre alla Trascendenza del Divino, rendendosi ricettiva ad essa e permettendo la sua manifestazione.
Chiarifichiamo qui che per Trascendenza del Divino, intendiamo quale manifestazione dell’Altro-da-sé solo ed esclusivamente il Totalmente Altro, origine di tutta la creazione. Inteso sia in modalità teistica sia in modalità non teistica ovvero in modo personale oppure impersonale – a seconda della propria formazione spirituale –, in ogni caso vogliamo affermare solamente e assolutamente la realtà del Primo Principio e non presenze di altro genere, siano esse soprannaturali di natura angelica oppure preternaturali di origine diabolica. Questa distinzione è importante per evitare quella manipolazione del Divino, di cui abbiamo parlato in un articolo precedente, in quanto il Soggetto Radicale nella sua lotta metapolitica e nella sua certezza di vittoria deve essere guidato dal Divino, dallo Spirito Santo per una nuova edificazione dell’Ordine Divino, per l’instaurazione appunto della Tradizione che di questo Ordine Divino è piena espressione, e non deve invece lasciarsi divorare dalla pericolosa scia dell’occultismo, ponendosi come demiurgo e ricettacolo di possessione da parte di spiriti ed energie in realtà incontrollabili, surrogati preternaturali dello stesso Divino e manifestazioni di origine infernale. Come ci insegna infatti il magistero di Aleksandr Dugin: «Quando l’uomo perde la relazione con la trascendenza, perde sé stesso». (Aleksandr Dugin, Il Sole di Mezzanotte. Aurora del Soggetto Radicale, AGA Editrice, Milano 2019, pag. 16)
Fenomenologia del Totalmente Altro
Nella manifestazione della Trascendenza, dell’Altro-da-sé, l’anima cosciente impara a poco a poco a fidarsi del Divino che si rivela a lei attraverso un percorso spirituale unico e irreplicabile. Ogni anima cosciente e, a maggior ragione, ogni Soggetto Radicale che si dischiude al Divino ha un percorso proprio, inimitabile, dato dalla sua particolare ed irripetibile storia individuale, la quale mette in condizione il Divino stesso ad approntare un opus interiore peculiare ed esclusivo. All’interno di questa unicità, possiamo tuttavia stabilire più che un percorso, diciamo, una dinamica comune che si palesa nel rivelarsi della Trascendenza, del Totalmente Altro all’anima cosciente, una manifestazione d’amore perché d’Amore Divino si tratta:
«E noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi. Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui». (Prima Lettera di Giovanni Apostolo 4,16).
Questa dinamica d’Amore del Divino, che si manifesta come Trascendenza nell’Immanenza dell’anima cosciente, può essere espressa fenomenologicamente con alcune fasi temporali in successione, capaci di coinvolgere l’integralità della natura umana corpo-mente-anima cosciente, fino alla maturità di una Presenza stabile del Divino nell’anima. Queste fasi di rivelazione del Totalmente Altro, in progressione, sono le seguenti: Stupore, Tenerezza, Abbandono, che cercheremo di descrivere da un punto di vista fenomenologico con la povertà del nostro linguaggio, consci della loro non esaustività e della diversità di percezione in ogni singola anima cosciente che si apre alla ricezione della manifestazione del Divino in lei.
Tuttavia, come nella Consapevolezza immanente la percezione indifferenziata del Divino da parte dell’anima cosciente si alterna temporalmente a periodi di aridità spirituale e di Assenza del Divino, il medesimo problema si rende noto e si presenta anche nella manifestazione della Trascendenza, del Totalmente altro. Ma tale Assenza Divina, ora – tranne che nel tempo successivo della fase di Abbandono – è meno turbante, più sopportabile e identificabile fenomenologicamente come solitudine dell’Attesa, dove l’anima cosciente già consolata dalla Tenerezza del Divino, resta aperta e ricettiva ad accogliere in sé successive manifestazioni del Totalmente Altro.
Stupore. La prima fase temporale dello svelamento della Trascendenza è data dalla percezione e dalla sensazione dello stupore. L’anima cosciente, la quale durante la Consapevolezza immanente s’era abituata a percepire il Divino in modo indifferenziato, non-altro-da-sè, resta ora meravigliata e sinceramente sbalordita dalla presenza dell’Altro-da-sé, del Totalmente Altro, che comunica la sua alterità in modo così netto, in modo differenziato anche se fortemente unitivo. Questa manifestazione di Trascendenza nella prossimità, assume i caratteri di una piena manifestazione di Amore Divino, nel quale l’anima cosciente dopo il turbamento e lo stupore iniziali si sente invasa, riempita e colmata dalle radici all’apice della sua forma spirituale. Giunge quindi in un successivo momento temporale dell’Esser-ci, un secondo grado della fase di stupore molto più intenso ed intimo del primo, in cui la stessa anima cosciente così gratificata e sazia dell’Amor Divino, per la prima volta nella vita percepisce di essere veramente e totalmente amata dal Totalmente Altro, cogliendo in pienezza la paternità del Divino che la ama qual vero figlio. Questo infinito Amore, spinge l’anima cosciente creata nel desiderium Dei, ad un’intima adesione a questa volontà Divina d’Amore attraverso una sua personale volontà di totale appartenenza al Divino, da noi descritta in articoli precedenti come fase di superamento, nel Soggetto Radicale, della volontà di potenza dello Zarathustra nietzschiano e la conseguente acquisizione della filiazione angelologica come messaggero del desiderio di Dio:
«O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora io ti cerco, ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz’acqua. Così nel santuario ti ho contemplato, guardando la tua potenza e la tua gloria. Poiché il tuo amore vale più della vita, le mie labbra canteranno la tua lode. Così ti benedirò per tutta la vita: nel tuo nome alzerò le mie mani. Come saziato dai cibi migliori, con labbra gioiose ti loderà la mia bocca. Quando nel mio letto di te mi ricordo e penso a te nelle veglie notturne, a te che sei stato il mio aiuto, esulto di gioia all’ombra delle tue ali. A te si stringe l’anima mia: la tua destra mi sostiene. Ma quelli che cercano di rovinarmi sprofondino sotto terra, siano consegnati in mano alla spada, divengano preda di sciacalli. Il re troverà in Dio la sua gioia; si glorierà chi giura per lui, perché ai mentitori verrà chiusa la bocca». (Salmo 63[62], 2-12).
Tenerezza. La seconda fase, in ordine temporale, di manifestazione della Trascendenza nell’anima cosciente consiste nella percezione e nella fruizione della tenerezza del Divino. Il Divino, qual sommo pedagogo, usa nei confronti dell’anima una tenerezza virile, forte, agli antipodi di qualsiasi tipo di lascivo diletto. Il cui effetto è simile a quello di un padre che per far crescere sani e robusti i propri figli li alimenta con un affetto sincero che dà loro sicurezza. La certezza di essere amati dai propri genitori e il sentire anche sensibilmente il loro amore, rappresentano infatti la base sicura di una crescita equilibrata, forte, priva di quegli scompensi affettivi che portano i figli in fase adolescenziale a perdersi nella violenza, nella droga, nell’inedia, nella pornografia e nel sesso esasperato. La percezione di questa tenerezza trascendente e la sua fruizione avvengono principalmente su base emotiva in due direzioni: il senso dell’essere figlio del Divino, il senso della crescita interiore. Sentire il Divino come proprio vero Padre, racchiude il senso dell’essere figlio del Divino come coscienza di appartenenza irrevocabile, circondato dal suo affetto e dalla sua tenerezza che curano le ferite dell’anima e danno forza nelle asperità della lotta interiore ed esteriore, nella Grande Guerra Santa e nella Piccola Guerra Santa, come viene bene espresso nel Salmo per mezzo del Re Davide:
«Ti amo, Signore, mia forza, Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore, mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio; mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo. Invoco il Signore, degno di lode, e sarò salvato dai miei nemici. Mi circondavano flutti di morte, mi travolgevano torrenti infernali; già mi avvolgevano i lacci degli inferi, già mi stringevano agguati mortali. Nell’angoscia invocai il Signore, nell’angoscia gridai al mio Dio: dal suo tempio ascoltò la mia voce, a lui, ai suoi orecchi, giunse il mio grido. La terra tremò e si scosse; vacillarono le fondamenta dei monti, si scossero perché egli era adirato. Dalle sue narici saliva fumo, dalla sua bocca un fuoco divorante; da lui sprizzavano carboni ardenti. Abbassò i cieli e discese, una nube oscura sotto i suoi piedi. Cavalcava un cherubino e volava, si librava sulle ali del vento. Si avvolgeva di tenebre come di un velo, di acque oscure e di nubi come di una tenda. Davanti al suo fulgore passarono le nubi, con grandine e carboni ardenti. Il Signore tuonò dal cielo, l’Altissimo fece udire la sua voce: grandine e carboni ardenti. Scagliò saette e li disperse, fulminò con folgori e li sconfisse. Allora apparve il fondo del mare, si scoprirono le fondamenta del mondo, per la tua minaccia, Signore, per lo spirare del tuo furore. Stese la mano dall’alto e mi prese, mi sollevò dalle grandi acque, mi liberò da nemici potenti, da coloro che mi odiavano ed erano più forti di me. Mi assalirono nel giorno della mia sventura, ma il Signore fu il mio sostegno; mi portò al largo, mi liberò perché mi vuol bene. Il Signore mi tratta secondo la mia giustizia, mi ripaga secondo l’innocenza delle mie mani, perché ho custodito le vie del Signore, non ho abbandonato come un empio il mio Dio. I suoi giudizi mi stanno tutti davanti, non ho respinto da me la sua legge; ma integro sono stato con lui e mi sono guardato dalla colpa. Il Signore mi ha ripagato secondo la mia giustizia, secondo l’innocenza delle mie mani davanti ai suoi occhi. Con l’uomo buono tu sei buono, con l’uomo integro tu sei integro, con l’uomo puro tu sei puro e dal perverso non ti fai ingannare. Perché tu salvi il popolo dei poveri, ma abbassi gli occhi dei superbi. Signore, tu dai luce alla mia lampada; il mio Dio rischiara le mie tenebre. Con te mi getterò nella mischia, con il mio Dio scavalcherò le mura. La via di Dio è perfetta, la parola del Signore è purificata nel fuoco; egli è scudo per chi in lui si rifugia. Infatti, chi è Dio, se non il Signore? O chi è roccia, se non il nostro Dio? Il Dio che mi ha cinto di vigore e ha reso integro il mio cammino, mi ha dato agilità come di cerve e sulle alture mi ha fatto stare saldo, ha addestrato le mie mani alla battaglia, le mie braccia a tendere l’arco di bronzo. Tu mi hai dato il tuo scudo di salvezza, la tua destra mi ha sostenuto, mi hai esaudito e mi hai fatto crescere. Hai spianato la via ai miei passi, i miei piedi non hanno vacillato. Ho inseguito i miei nemici e li ho raggiunti, non sono tornato senza averli annientati. Li ho colpiti e non si sono rialzati, sono caduti sotto i miei piedi. Tu mi hai cinto di forza per la guerra, hai piegato sotto di me gli avversari. Dei nemici mi hai mostrato le spalle: quelli che mi odiavano, li ho distrutti. Hanno gridato e nessuno li ha salvati, hanno gridato al Signore, ma non ha risposto. Come polvere al vento li ho dispersi, calpestati come fango delle strade. Mi hai scampato dal popolo in rivolta, mi hai posto a capo di nazioni. Un popolo che non conoscevo mi ha servito; all’udirmi, subito mi obbedivano, stranieri cercavano il mio favore, impallidivano uomini stranieri e uscivano tremanti dai loro nascondigli. Viva il Signore e benedetta la mia roccia, sia esaltato il Dio della mia salvezza. Dio, tu mi accordi la rivincita e sottometti i popoli al mio giogo, mi salvi dai nemici furenti, dei miei avversari mi fai trionfare e mi liberi dall’uomo violento. Per questo, Signore, ti loderò tra le genti e canterò inni al tuo nome. Egli concede al suo re grandi vittorie, si mostra fedele al suo consacrato, a Davide e alla sua discendenza per sempre». (Salmo 18 [17] 1-51)
Questo stesso Salmo permette di descrivere anche la seconda direzione della tenerezza trascendente ossia il senso della crescita interiore. L’anima cosciente del Soggetto Radicale, prova infatti la consolazione del sentire la crescita interiore del Totalmente Altro in sé stessa nel crisma dell’amicizia, della vicinanza, di una manifestazione della Trascendenza sempre più frequente e profonda. Questa crescita interiore rappresenta un primo irrobustimento dell’anima cosciente e una sua conferma nella sequela del Divino, che presto dovrà entrare con maggiore intensità rispetto al passato nelle asperità della purificazione (katharsis) e dello svuotamento di sé (kenosis), proprie della fase di Abbandono che andiamo testé a descrivere, in quanto i vizi capitali e l’egocentrismo narcisista non solo avviluppano corpo e mente, ma hanno le loro radici nell’anima cosciente che per divenire imago Dei deve entrare in una condizione di nemesi totale.
Abbandono. La manifestazione della terza fase della Trascendenza, in realtà è una nuova fase di Assenza del Divino detta fase di Abbandono. Abbiamo già molte volte descritto che il lavoro di purificazione e di svuotamento di sé è terribilmente duro e molte anime coscienti sono fortemente tentate di arretrare, cedere e ritirarsi da questa immane lotta spirituale. Nella rivelazione negativa della Trascendenza come Assenza, il gioco si fa più duro e la pena maggiore che l’anima cosciente deve subire, l’essenza di questa prova consiste nella sua morte spirituale per infine rinascere a vita nuova. Abbiamo già parlato diffusamente in un precedente articolo Dall’Arcangelo Michele al Soggetto Radicale: la filiazione del desiderio, di questa morte spirituale, delineando tre tappe di manifestazione tanatologica conseguenti ma non necessariamente esperibili da parte di ogni Soggetto Radicale, il quale ha una esperienza di purificazione e di svuotamento di sé singolare, legata alla sua storia personale e ai disegni del Divino che non sono identici per tutti. Queste tappe sono: il senso crepuscolare della vita, la presenza oscura, la presenza manifesta. (Link dell’Articolo). Qui, ci limitiamo soltanto ad aggiungere che il senso ultimo di questa morte spirituale, è un’azione di influenza diretta del Totalmente Altro, tesa a far uscire completamente l’anima cosciente dal suo “io” corrotto per risvegliarla alla terza forma di presenza diretta del Divino che è la Presenza. Il Re Davide ci può descrivere la terribile crudità di questa esperienza di morte, nella profezia che egli preannuncia circa le sofferenze del Cristo, insite nel presente componimento:
«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Lontane dalla mia salvezza le parole del mio grido! Mio Dio, grido di giorno e non rispondi; di notte, e non c’è tregua per me. Eppure tu sei il Santo, tu siedi in trono fra le lodi d’Israele. In te confidarono i nostri padri, confidarono e tu li liberasti; a te gridarono e furono salvati, in te confidarono e non rimasero delusi. Ma io sono un verme e non un uomo, rifiuto degli uomini, disprezzato dalla gente. Si fanno beffe di me quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo: “Si rivolga al Signore; lui lo liberi, lo porti in salvo, se davvero lo ama!”. Sei proprio tu che mi hai tratto dal grembo, mi hai affidato al seno di mia madre. Al mio nascere, a te fui consegnato; dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio. Non stare lontano da me, perché l’angoscia è vicina e non c’è chi mi aiuti. Mi circondano tori numerosi, mi accerchiano grossi tori di Basan. Spalancano contro di me le loro fauci: un leone che sbrana e ruggisce. Io sono come acqua versata, sono slogate tutte le mie ossa. Il mio cuore è come cera, si scioglie in mezzo alle mie viscere. Arido come un coccio è il mio vigore, la mia lingua si è incollata al palato, mi deponi su polvere di morte. Un branco di cani mi circonda, mi accerchia una banda di malfattori; hanno scavato le mie mani e i miei piedi. Posso contare tutte le mie ossa. Essi stanno a guardare e mi osservano: si dividono le mie vesti, sulla mia tunica gettano la sorte. Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, vieni presto in mio aiuto. Libera dalla spada la mia vita, dalle zampe del cane l’unico mio bene. Salvami dalle fauci del leone e dalle corna dei bufali. Tu mi hai risposto! Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea. Lodate il Signore, voi suoi fedeli, gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe, lo tema tutta la discendenza d’Israele; perché egli non ha disprezzato né disdegnato l’afflizione del povero, il proprio volto non gli ha nascosto ma ha ascoltato il suo grido di aiuto. Da te la mia lode nella grande assemblea; scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli. I poveri mangeranno e saranno saziati, loderanno il Signore quanti lo cercano; il vostro cuore viva per sempre! Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra; davanti a te si prostreranno tutte le famiglie dei popoli. Perché del Signore è il regno: è lui che domina sui popoli! A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra, davanti a lui si curveranno quanti discendono nella polvere; ma io vivrò per lui, lo servirà la mia discendenza. Si parlerà del Signore alla generazione che viene; annunceranno la sua giustizia; al popolo che nascerà diranno: “Ecco l’opera del Signore!”». (Salmo 22[21], 2-32).
Nella fase di Abbandono, inoltre l’anima cosciente impara ad abbandonarsi all’azione del Divino, il quale attraverso la sua apparente Assenza, la rende forte nella fede e pronta ad essere docile alle mozioni del suo Spirito.
«Quando Dio vive nell’anima, essa non ha più niente che le venga da sé stessa. Non ha che quello che le dà, in ogni momento, il principio che la sorregge: nessuna provvista, non più vie tracciate; è come un bambino che viene condotto dove si vuole e che ha solo il sentimento per distinguere le cose che gli si presentano. Non ci sono più libri indicati per quest’anima; molto spesso essa è priva di un direttore fisso (guida spirituale N.d.R.) e Dio la lascia senz’altro appoggio che Lui solo. La sua dimora è nelle tenebre, nell’oblio, nell’abbandono, nella morte e nel nulla. Sente i suoi bisogni e le sue miserie senza sapere da dove né quando le verrà il soccorso. Attende in pace e senza inquietudine che venga chi l’assisterà, i suoi occhi guardano soltanto il cielo. E Dio, che non potrebbe trovare nella sua sposa disposizioni più pure di questa totale rinuncia a tutto quello che essa è, per non essere che per grazia e per operazione divina, le fornisce al momento opportuno i libri, i pensieri, la conoscenza di sé stessa, gli avvertimenti, i consigli, gli esempi dei giusti. Tutto quello che le altre anime trovano con la loro iniziativa, quest’anima lo riceve nel suo abbandono, e ciò che le altre conservano con precauzione per ritrovarlo al momento opportuno, quest’anima lo riceve al momento del bisogno e poi lo abbandona, non volendo possedere se non quello che Dio vuol concederle, per non vivere che per mezzo di Lui». (Jean-Pierre de Caussade, L’Abbandono alla Divina Provvidenza, Cap. II, Web edition).
Così la pratica costante dell’Abbandono nell’Assenza, conduce l’anima cosciente in cammino sulla Via della Mano Vuota, alla terza forma di presenza diretta del Divino che è la Presenza, la Shekina e che sarà il tema del prossimo articolo:
«Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita. Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi: la mia eredità è stupenda. Benedico il Signore che mi ha dato consiglio; anche di notte il mio animo mi istruisce. Io pongo sempre davanti a me il Signore, sta alla mia destra, non potrò vacillare. Per questo gioisce il mio cuore ed esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra». (Salmo 16,5-11).
Fonte: Idee&Azione