Gli Strumenti spirituali della Lotta Eurasiatista: il Colloquio con Motovilov di San Serafino di Sarov [1]
Libera Traduzione dal Russo e abbellimento letterario di René-Henri Manusardi [1]
Introduzione
«Serafino di Sarov (Kursk, Russia, 19 luglio 1754 – Sarov, Russia, 2 gennaio 1833) è il santo più amato e venerato, con san Sergio di Radonez, tra tutti i santi russi; egli è una vera e propria “icona della spiritualità russa” (Pavel Evdokimov), una delle sue espressioni più mature e consapevoli. Serafino è il santo serafico, dolce e mite di cuore, uno dei volti più luminosi di tutta la tradizione ortodossa; ma vi è in lui anche un’eccedenza che trascende questa stessa tradizione che lo ha nutrito. Proprio perché egli ne incarna fino in fondo le radici, il suo messaggio ha una portata universale, per tutte le Chiese e per tutti gli uomini. (…) al giovane Nikolaj Motovilov, che san Serafino guarì da una grave paralisi (...) il santo si mostrò mentre la luce divina gli trasfigurava il volto. Gli appunti di Motovilov purtroppo andarono perduti con la dispersione degli archivi di Diveevo, ma nel 1903, l’anno della canonizzazione di Serafino, il noto pubblicista Sergej Nilus ne aveva pubblicato una parte col titolo di “Dialogo dello starec Serafino con A. N. Motovilov sul fine della vita cristiana”. Grazie a questa pubblicazione, ben presto tradotta in tutte le lingue, nel XX secolo il messaggio di san Serafino ebbe una grandissima diffusione anche in Occidente. Il fine della vita cristiana, rivela Serafino al suo amico, è l’acquisizione dello Spirito Santo, quello spirito di amore che Cristo visse fino all’estremo. (…) ». [2]
Cari Consimili, o meglio cari Lupi Imperiali, permettetemi solo due personali parole a fronte di questo impegnativo lavoro. San Serafino di Sarov, come molti Santi, con la sua vita di tenebre e di luce sotto l’influsso diretto dello Spirito Santo, rappresenta una prefigurazione ante litteram della realtà emergente del Soggetto Radicale. Come ci insegna Aleksandr Dugin in questi giorni:
«Nella cella stretta, piccola, quasi vuota di un monaco si svolge una vita vera, ricca, difficile e luminosa: la vita dell’anima».[3]
San Serafino, con la sua testimonianza ci mostra la realtà dell’anima, con una vita dell’anima colma di Spirito Santo. Egli è diventato per la Cristianità d’Oriente e d’Occidente, per la Santa Madre Russia e per il mondo intero, un importante segno di santità escatologica e profetica che ha saputo incarnare la Resurrezione di Cristo che era, che è e che viene, nonché il suo Ritorno di Re dei re e Signore dei signori alla fine dei Tempi. Enzo Bianchi, sintetizza mirabilmente la vita di questo grande Santo russo in tre mirabili scorci:
«… nel deserto della solitudine e della lotta contro le passioni e i pensieri ispirati dal demonio, Serafino conosce la sua “discesa agli inferi”. Ogni credente sa che prima o poi, nel suo cammino spirituale, interviene un’ora cattiva, di prova, di lotta indicibile e mai raccontabile agli altri. È l’ora in cui Dio sembra consegnare il suo servo alle potenze infernali, a quelle dominanti nascoste che si mostrano coabitanti nell’uomo, così che l’uomo di preghiera si trova gettato in un faccia a faccia spaventoso e disperato con il male. Anche Mosè, servo di Dio, conobbe quest’ora quando «il Signore gli andò incontro e cercò di farlo morire» (Es 4, 24). Ogni cristiano che ha ricevuto un grado di fede elevato e una missione particolare da Dio, prima o poi conosce questa notte oscura, che ci visita nella malattia fisica, o nella malattia psichica, o nell’esperienza del peccato più devastante. È sempre un’ora misteriosa di cui più tardi neanche il protagonista sa riconoscere l’inizio e la fine, come sia avvenuta la discesa e la risalita, la morte e la risurrezione. Battezzato nella morte di Cristo, colui che è impegnato in una reale sequela deve scendere con Lui negli inferi prima di essere nuova creatura. Sovente questa discesa è la garanzia di un’assunzione seria e decisiva della propria vocazione, di una chiara coscienza di sé quale peccatore perdonato, un salvato da Dio…
«Come gli antichi stiliti del deserto, Serafino trascorre tre anni, mille giorni e mille notti in preghiera, inginocchiato di giorno su una pietra nella sua cella, e di notte sopra una roccia della foresta, le mani levate al cielo, gridando incessantemente: «Signore, abbi pietà di me, peccatore!». Serafino conosce la discesa all’inferno attraverso le degradazioni dell’essere creato, dall’umano all’animale al vegetale fino a farsi cosa tra le cose, roccia e vento, ricapitolando così tutto il passato cosmico, assumendo nel suo corpo e nel suo modo di vivere la preghiera e il gemito di ogni creatura, divenendo così voce e invocazione di misericordia non solo per tutti gli uomini peccatori, ma per la creazione intera, che geme e soffre in attesa della propria redenzione…
«La luce ormai ardente non può restare nascosta. Nel 1825, per un’ispirazione della Tutta Santa, la Madre di Dio, Serafino esce dalla sua cella. Inizia qui l’ultima tappa della sua vita, la sua epifania… Nel suo ministero di padre spirituale Serafino opera il discernimento degli spiriti su quanti gli chiedono una parola di consolazione o di illuminazione, cura e guarisce i sofferenti, ascolta a lungo le confessioni di uomini e donne pieni di vergogna per i loro peccati, mostra di comprendere il loro smarrimento con la tenerezza di una madre, e infiamma tutti di quella carità infinita capace di amare tutte le creature, animate e inanimate, coscienti e incoscienti, intelligenti e sceme, buone e malvagie. «Dio è fuoco che brucia e infiamma il cuore e le viscere», scrive nei suoi Insegnamenti. Folle di pellegrini accorrono a lui: il “misero Serafino” resta però umile e gioioso, rifugiandosi sovente nella foresta per conservare la pace e vivere la santa esichia (bezmolvie), la quiete interiore dell’uomo che sa comunicare con Dio e con i fratelli. Non poteva essere altrimenti: chi si è fatto stavroforo (portatore della Croce) con Cristo, è fatto da Dio pneumatoforo (portatore dello Spirito)! «Fin da ora, già adesso e qui», insiste Serafino, «occorre vivere la gioia del Regno, la comunione con il Signore, occorre acquisire il dono dello Spirito Santo», il Consolatore che fa di ciascuno l’abitazione di Dio». [4]
Sicuro, con la libera traduzione dal Russo di questo importante testo di San Serafino di Sarov, di aumentare la tensione spirituale eurasiatista nella lotta per la Quarta Teoria Politica, l’Imperium e la Civiltà Multipolare, vi affido umilmente questo scrigno di Sapienza, affinché ogni guerriero per il “Bene della Causa” ne sappia trarre alimento spirituale e grande giovamento per il corpo, il cuore, la mente e soprattutto per l’anima, nella cui parte più interna ossia nel suo spirito, può finalmente ritrovare Dio nel dialogo d’amore e nel divino silenzio, dopo le devastazioni dell’ateismo moderno e postmoderno.
René-Henri Manusardi
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Preambolo
Un giovedì, cielo grigio, terra coperta di neve, grandi fiocchi volano qua e là di continuo. In questa atmosfera Padre Serafino cominciò a parlare nella radura vicina al suo Piccolo Eremo, in faccia al fiume Sarovka che fluisce ai piedi della collina. Mi fece accomodare sul tronco di un albero che aveva da poco atterrato, accosciandosi di fronte a me.
Il grande staretz debuttò dicendo: ― Il Signore mi ha rivelato che Tu, dalla più tenera età hai sete di conoscere quale sia il fine della vita cristiana. In tal senso e in più occasioni hai interpellato anche persone autorevoli della gerarchia ecclesiale ―. Confesso che questa idea mi tormentava dai dodici anni d’età: avevo veramente interrogato molte autorità nella Chiesa ma no ottenni mai da loro risposte appaganti, e lo staretz ne era all’oscuro.
― Però neppure uno ― proseguì Padre Serafino ― ti ha mai saputo dire nulla in modo chiaro. Ti hanno suggerito di frequentare la Chiesa, di pregare, di vivere rispettando i comandamenti di Dio, di operare il bene, perché per loro era questo il fine della vita cristiana. Certuni criticarono perfino la tua curiosità, considerandola empia e fuori luogo; ma si sbagliavano. Mentre io adesso, povero Serafino, ti chiarirò realmente quale sia questo fine ―.
Il vero fine della vita cristiana
― Preghiera, digiuno, veglie, tutte le pratiche cristiane, per quanto siano da considerarsi in sé buone non sono di per sé il fine della vita cristiana, anche se favoriscono il suo raggiungimento. II vero fine della vita cristiana è conseguire lo Spirito Santo di Dio. Mentre preghiera, digiuno, veglie, elemosina e tutte le buone azioni compiute nel nome di Cristo, sono solamente dei mezzi per conseguire lo Spirito Santo ―.
Nel nome di Cristo
― Tieni per certo che solo la buona azione fatta nel nome di Cristo ci ottiene i frutti dello Spirito. Tutto quello che non è fatto nel suo nome, compreso il bene, non ci ottiene nessun guadagno futuro, né ci può donare la grazia divina in questa vita. Ecco perché il Signore Gesù Cristo diceva: «Chi non raccoglie con me, disperde» (Lc 11,23). Nondimeno va chiamata “raccolto” ogni buona azione, in quanto anche se non viene fatta in nome di Cristo, rimane buona. La Scrittura ci dice che: «Chi teme Dio e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto» (At 10,35).
― II centurione Cornelio, temendo Dio e comportandosi secondo giustizia, mentre stava in preghiera venne visitato da un angelo del Signore che gli disse: «Manda degli uomini a Giaffa da Simone il conciatore, troverai presso di lui un certo Pietro che ti farà udire parole di vita eterna grazie alle quali sarai salvato, assieme a tutta la tua casa» (At 10,5). Qui possiamo vedere il Signore che usa dei mezzi divini per far sì che un uomo simile non venga privato della ricompensa che gli è dovuta nell’eternità. Ma per conseguirla diviene necessario che fin da questa vita terrena egli cominci a credere nel nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio disceso sulla terra per salvare i peccatori e per ottenerci la grazia dello Spirito Santo che immette nei nostri cuori il Regno di Dio e ci apre la via della beatitudine nei secoli futuri ―.
― Qui si compie la gioia procurata a Dio dalle buone azioni che non sono fatte nel nome di Cristo. Il Signore ci dona i mezzi per compierle, ma all’uomo sta la decisione di servirsene o meno. Ecco perché il Signore ha detto ai Giudei: «Se foste ciechi sareste senza peccato; ma voi dite: Noi vediamo! e così il vostro peccato rimane» (Gv 9, 41). Quando un uomo come Cornelio, le cui opere non sono compiute nel nome di Cristo ma che sono state gradite a Dio, comincia a credere nel Figlio di Dio, queste opere vengono considerate come compiute nel nome di Cristo, a motivo della sua fede in Lui (Ebr 11,6). Al contrario, l’uomo non ha diritto di lamentarsi per il fatto che il bene compiuto non gli giovi nulla. La tal cosa non si verifica mai se la buona azione viene compiuta nel nome di Cristo, perché il bene fatto nel suo Nome procura non solamente una corona di gloria nel mondo futuro, ma fin da questa vita colma l’uomo della grazia dello Spirito Santo, come detto: «Dio dà lo Spirito senza misura. Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa» (Gv 3,34-35) ―.
L’acquisizione dello Spirito Santo
― La vera finalità della vita cristiana è data quindi dal conseguire lo Spirito di Dio, mentre preghiera, veglie, digiuno, elemosina e altre azioni virtuose fatte nel nome di Cristo sono solo mezzi per conseguirlo ―.
― Come “il conseguire”? ― chiesi a Padre Serafino. ― Non capisco perfettamente ―.
― Il conseguire è la stessa cosa dell’ottenere. Tu sai cosa vuol dire ottenere del denaro? Lo stesso avviene per lo Spirito Santo. Per la gente comune il fine della vita consiste nell’acquisizione del denaro, nel guadagno. I nobili per di più desiderano ottenere onori, medaglie ed altre retribuzioni per i servizi resi allo Stato. Anche il conseguimento dello Spirito Santo è un capitale, ma un capitale eterno, dispensatore di grazie, similare ai capitali temporali e che si consegue con gli stessi metodi. Nostro Signore Gesù Cristo, Dio-Uomo, paragona la nostra vita ad un mercato e la nostra attività sulla terra ad un commercio. Raccomanda a noi tutti: «Datevi da fare fino al mio ritorno, tenendo da conto il tempo perché i giorni sono incerti» (cfr. Lc 19,12-13; Ef 5, 15-16), il che vuol dire: affrettatevi ad ottenere beni celesti trafficando merci terrene. Queste merci non sono nient’altro che le buone azioni compiute nel nome di Cristo le quali ci fanno conseguire la grazia dello Spirito Santo ―.
La parabola delle vergini
― Nella parabola delle vergini sagge e delle vergini stolte (Mt 25,1-13), quando queste ultime furono prive dell’olio venne detto loro: «Andate a comprarne dai venditori». Al loro ritorno trovarono la porta della stanza nuziale chiusa e fu loro impedito di entrare. Alcuni pensano che l’assenza di olio da parte delle vergini stolte significhi un’insufficienza di opere virtuose realizzate nel corso della vita. Questa spiegazione non è del tutto rigorosa. Qual era la mancanza di azioni virtuose dal momento che sono chiamate vergini, seppure stolte? La verginità è una grande virtù, uno stato quasi angelico che può sostituire tutte le altre virtù. Io, miserabile, credo che in loro fosse assente proprio lo Spirito Santo di Dio. Pur praticando le virtù, quelle vergini, spiritualmente incolte, erano convinte che la vita cristiana coincidesse con quelle pratiche. Abbiamo agito con virtù, abbiamo fatto buone opere: pensavano, senza preoccuparsene se avevano ricevuto o meno la grazia dello Spirito Santo. Questo genere di vita, basato unicamente sulla pratica delle virtù morali, senza un diligente esame, per sapere se esse assicurano e in che misura la grazia dello Spirito di Dio, è già descritto nella Bibbia: «Ci sono vie che all’inizio sembrano diritte, ma che sboccano nell'abisso infernale» (Pr 14,12) ―.
― Nelle sue Lettere ai Monaci, Sant’Antonio il Grande riferendosi a queste vergini, scrive: «Molti monaci e vergini ignorano completamente la differenza esistente tra le tre volontà che agiscono nell’uomo. La prima è la volontà di Dio, perfetta e salvifica; la seconda è la nostra volontà umana che di per sé non è né nefasta né salvifica; la terza invece, quella diabolica, è assolutamente dannosa. È questa terza volontà nemica dell’uomo che lo obbliga a non praticare per nulla la virtù, oppure a praticarla per vanità, o unicamente in vista del “bene” e non per Cristo. La seconda, la nostra propria volontà, ci incita a soddisfare i nostri istinti malvagi, oppure, come quella del nemico, ci insegna a fare il bene in nome del bene, senza preoccuparci della grazia che si potrebbe acquisire. Quanto alla prima volontà, quella di Dio, salvifica, consiste nell’insegnarci a fare il bene unicamente allo scopo di acquisire lo Spirito Santo, tesoro eterno, inesauribile, che nulla al mondo è degno di eguagliare» ―.
― Alle vergini stolte mancava proprio la grazia dello Spirito Santo, simboleggiata dall’olio. Vengono chiamate stolte, in quanto non si preoccupano del frutto imprescindibile della virtù che è la grazia dello Spirito Santo, senza la quale nessuno può salvarsi; infatti «ogni anima è vivificata dallo Spirito Santo per essere illuminata dal sacro mistero dell’Unità Trinitaria» [5] Lo stesso Spirito Santo abita in noi e questa dimora in noi dell’Onnipotente, la coabitazione della sua Unità Trinitaria con il nostro spirito, non ci è donata se non a condizione che ci obblighiamo con tutti i mezzi a nostra disposizione indispensabili per conseguire lo Spirito Santo, il quale prepara dentro di noi un luogo degno di questo incontro, secondo la parola immutabile di Dio: «lo verrò e abiterò in loro, io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo» (2 Cor 6,16). Questo è l’olio che le vergini sagge tenevano nelle loro lampade, un olio in grado di bruciare a lungo, con una vampa alta e luminosa, un olio che consente di attendere l’arrivo dello Sposo a mezzanotte e di entrare con lui nella camera nuziale della gioia eterna ―.
― Mentre le vergini stolte andarono al mercato, ma non fecero in tempo a tornare indietro prima della chiusura della porta. Il mercato rappresenta la nostra vita; la porta della camera nuziale chiusa che impedisce l’accesso allo Sposo, è la nostra morte corporale; le vergini sagge e stolte, sono le anime dei cristiani. L’olio non simboleggia le nostre azioni, ma la stessa grazia con la quale lo Spirito Santo riempie il nostro essere trasformando il corruttibile nell’incorruttibile, la morte psichica nella vita spirituale, le tenebre nella luce, la stalla, dove sono legate come animali le nostre passioni, nel tempio di Dio, nella camera nuziale dove incontriamo nostro Signore, Creatore e Salvatore, lo Sposo delle nostre anime. Vasta è la compassione che Dio ha per la nostra disgrazia, per la nostra negligenza nei confronti del suo zelo per noi. Egli dichiara: «Io sto alla porta e busso...» (Ap. 3,20), intendendo per “porta” il percorso della nostra vita non ancora interrotto dalla morte ―.
La preghiera
― Amico di Dio, come vorrei che in questa vita tu fossi sempre colmo di Spirito Santo! «Vi giudicherò nella condizione in cui vi troverò», dice il Signore (cfr. Mt 24,42; Mc 13,33-37; Lc 19,12 ss). Guai, guai a noi se Egli ci trova sovraccarichi di preoccupazioni e di opere terrestri: chi può sopportare la sua ira e chi può resistergli? Ecco perché è stato proferito: «Vegliate e pregate per non cadere in tentazione» (Mt 26,41), cioè per non venire privati dello Spirito di Dio: le veglie e la preghiera infatti ci donano la sua grazia ―.
― Certamente ogni buona azione compiuta nel nome di Cristo ci dona la grazia dello Spirito Santo, ma la preghiera ce la dona più di ogni altra cosa, essendo sempre possibile pregare. Per esempio, potresti aver voglia di andare alla chiesa, ma la chiesa è lontana o invece sono finite le funzioni; potresti aver voglia di praticare l’elemosina, ma non incontri nessun povero oppure non hai moneta nelle tasche; vorresti restare vergine, ma non avendone le forze a causa della tua costituzione o degli inganni dell’avversario, la debolezza della tua carne non è capace di opporre resistenza; probabilmente vorresti trovare qualche altra buona azione da fare nel nome di Cristo ma non sei abbastanza forte, oppure non te se ne presenta l’occasione. Nulla di tutto questo invece raggiunge la preghiera. Ognuno ha sempre possibilità di pregare, il ricco come il povero, il nobile come la persona comune, il forte come il debole, il sano come il malato, l’integerrimo come il peccatore. L’efficacia della preghiera, anche se fatta da un peccatore che abbia un cuore sincero, si valuta da questo esempio riportatoci dalla Santa Tradizione: alle suppliche di una madre sventurata che aveva appena perso il suo unico figlio, una prostituta incrociata per strada, commossa per la disperazione di quella madre, ardì gridare verso il Signore, quantunque fosse ancora macchiata del proprio peccato: «Non per causa mia, ignobile peccatrice, ma a causa delle lacrime di questa madre che piange suo figlio pur seguitando a credere fermamente nella tua misericordia e nella tua onnipotenza, risuscitalo, Signore! » E il Signore lo risuscitò ―.
― Amico di Dio, questo è il potere della preghiera, più di ogni altra cosa essa ci dona la grazia dello Spirito di Dio e più di ogni altra cosa essa è sempre a nostra disposizione. Beati noi se Dio ci troverà vigili nella pienezza dei doni dello Spirito Santo. Allora, potremo sperare di essere rapiti sulle nubi per andare incontro a nostro Signore, il quale verrà dal cielo ammantato di potenza e di gloria per giudicare i vivi e i morti e dare a ciascuno il dovuto ―.
Quando la preghiera lascia il posto allo Spirito Santo
― Amico di Dio, tu reputi una grande fortuna la conversazione con il miserabile Serafino, perché sei convinto che egli non è privo di grazia. Che cosa dovremo dire allora del colloquio con Dio stesso, inesauribile sorgente di grazie celesti e terrene? Per mezzo della preghiera diveniamo degni di conversare con lui, il nostro Salvatore vivificante e misericordioso. Bisogna tuttavia pregare solo fino al momento in cui lo Spirito Santo scende su di noi e ci accorda in una certa misura, nota solo a lui, la sua grazia celeste. Visitati da lui, dobbiamo smettere di pregare ―.
― Infatti a cosa serve supplicare: «Vieni, poni la tua dimora in noi, purificaci da ogni macchia e salva le nostre anime, tu che sei bontà» [6] se è già venuto, in risposta alle nostre umili e amorevoli istanze, nel tempio delle nostre anime assetate della sua venuta? Chiarirò per mezzo di un esempio. Immaginiamo che tu mi abbia invitato nella tua a casa, che io sia venuto con il proposito di dialogare con te e che tu, malgrado la mia presenza, seguitassi a ridire: “Per favore, vieni da me!”. Indubbiamente io penserei: «Cos’ha? Non sa quello che proferisce. Sono da lui e continua ad invitarmi». La medesima cosa succede con lo Spirito Santo. Ecco perché vien detto: «Allontanatevi e sappiate che io sono Dio, eccelso tra le genti, eccelso sulla terra» (Sal 46,11). Che significa: mi rivelerò e continuerò a rivelarmi ad ogni credente e dialogherò con lui, così come avvenne con Adamo nel paradiso, con Abramo e Giacobbe e con gli altri miei servitori, Mosè, Giobbe e molti altri. Molti credono che questo allontanamento si deva comprendere come se riguardi le vicende di questo mondo, cioè che per parlare con Dio nella preghiera sia indispensabile prendere le distanze da tutto ciò che è terrestre. È una verità, ma io in verità ti dico che, sebbene sia indispensabile prendere le distanze durante la preghiera, quando il Signore Dio, lo Spirito Santo, ci visita e viene in noi nella pienezza della sua inesprimibile bontà, risulta necessario distaccarsi anche dalla preghiera, dobbiamo farne a meno ―.
― L’anima che prega parla e proferisci parole. Ma quando lo Spirito Santo discende è buona cosa essere assolutamente silenziosi, in modo che l’anima possa sentire distintamente e comprendere bene le rivelazioni di vita eterna che lo Spirito si degna di generare in noi. L’anima e lo spirito devono essere in uno stato di perfetta sobrietà e il corpo casto e puro. Cosi avvenne sul Monte Horeb, quando Mosè diede ordine agli israeliti di astenersi per tre giorni dalle mogli prima della discesa di Dio sul Sinai. Dio infatti è «un fuoco divorante» (Ebr 12,29) e nulla di impuro, fisicamente o spiritualmente, può entrare in contatto con Lui ―.
Commercio spirituale
― Padre, come si possono praticare nel nome di Cristo altre virtù che consentirebbero di conseguire lo Spirito Santo? Lei si riferisce solo alla preghiera ―. ― Cerca di conseguire la grazia dello Spirito Santo facendo fruttare nel nome di Cristo tutte le virtù attuabili, realizzando un commercio spirituale, mercanteggiando con quelle che danno il maggior numero di frutti. Investi il capitale, frutto di guadagni benedetti donati dalla divina misericordia, nella eterna cassa di risparmio di Dio con tassi di interesse immateriali, non solo del 4 % o del 6 %, ma del 100 % ed anche infinitamente di più. Esempio: se le preghiere e le veglie ti procurano molte grazie, veglia e prega. Se il digiuno te ne assicura maggiormente, digiuna. Se l’elemosina te ne offre ancora di più, pratica l’elemosina. Valuta in questo modo ogni buona azione fatta nel nome di Cristo ―.
― Voglio parlarti di me, miserabile Serafino. Sono nato in una famiglia di commercianti della città di Kursk. Prima del mio ingresso in monastero, mio fratello ed io commerciavamo diversi generi e prodotti, soprattutto quelli che ci assicuravano maggiori guadagni. Anche tu cerca di fare la stessa cosa. Come nel commercio il fine è quello di assicurarsi il maggior guadagno possibile, cosi nella vita cristiana il fine consiste non solo nel pregare e nel fare il bene, ma nel conseguire il maggior numero di grazie possibili ―.
― L’Apostolo dichiara: «Pregate incessantemente» (1 Ts 5,17), però aggiunge: «Meglio pronunciare cinque parole con la mia intelligenza che non mille soltanto con la lingua» (1 Cor 14,19). Il Signore ci avverte: «Non chi dice Signore! Signore! sarà salvato, ma colui che fa la volontà del Padre mio» (Mt 7,21), cioè chi compie l’opera di Dio con abnegazione (Ger 48,10). Ma qual è quest’opera, se non «credere in Dio e in colui che egli ha mandato, Gesù Cristo» (Gv 6,29)? Se riflettiamo con attenzione sui comandamenti di Cristo e su quelli degli Apostoli, avvertiamo che la nostra attività di cristiani non deve consistere unicamente nell’accumulo di buone azioni, che sono solo mezzi per arrivare al fine, ma nel ricavare il massimo profitto, cioè nel conseguire i doni sovrabbondanti dello Spirito Santo ―.
― Amico di Dio, come vorrei che tu trovassi la sorgente inestinguibile della grazia e che ti chiedessi ininterrottamente: “Lo Spirito Santo è in me? Se dimora in me, benedetto sia Dio, non mi devo preoccupare: anche se il giudizio finale fosse domani, sono pronto a comparire”. Infatti è stato detto: «Vi giudicherò nella condizione in cui vi troverò». Se invece non possediamo più la certezza di vivere nello Spirito Santo, è necessario scoprire il motivo per cui ci ha abbandonato e ricercarlo senza sosta, fino a quando non avremo ritrovato lo Spirito e la sua grazia. Necessita dar la caccia ai nemici che ci ostacolano ad andare verso di lui, fino al loro annientamento totale. Il profeta Davide ha detto: «Inseguo gli avversari e li raggiungo, e non torno senza averli vinti; li colpisco, non possono rialzarsi, cadono a terra sotto i miei piedi» (Sal 18,38-39) ―.
― Sì è proprio così! Pratica il commercio spirituale con la virtù. Distribuisci i doni della grazia a chi te li domanda. Sii ispirato da questo esempio: il cero acceso, pur ardendo di un fuoco terreno, può accendere, senza perdere la propria lucentezza, altri ceri che illumineranno a loro volta altri luoghi. Se questa è la caratteristica del fuoco terreno, cosa dobbiamo affermare del fuoco della grazia dello Spirito Santo? La ricchezza materiale, quando viene distribuita si riduce. La ricchezza celeste della grazia, invece, non può che aumentare in colui che la diffonde. Così ha dichiarato il Signore alla Samaritana: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete, ma chi beve dell’acqua che io gli darò non avrà mai più sete, anzi, essa diventerà in lui una sorgente che zampilla per la vita eterna» (Gv 4,13-14) ―.
Vedere Dio
― Padre, lei continua a parlare di conseguire la grazia dello Spirito Santo come fine della vita cristiana. Ma come posso riconoscerla? Le buone azioni si vedono, è possibile vedere lo Spirito Santo? Come posso sapere se è in me oppure no? ―. ― Nell’epoca in cui viviamo, siamo pervenuti ad una tale freddezza nella fede, ad un livello di insensibilità nei confronti della comunione con Dio che ci siamo separati quasi del tutto dalla vita cristiana autentica. Diversi brani della Scrittura oggi ci sembrano bizzarri, come ad esempio quando lo Spirito Santo afferma per bocca di Mosè: «Adamo vedeva Dio che passeggiava nel paradiso» (Gen 3,8), oppure quando leggiamo dall’Apostolo Paolo che lo Spirito Santo gli ha reso impossibile l’annuncio della Parola in Asia, ma che lo stesso Spirito lo ha affiancato nel suo viaggio in Macedonia (At 16,6-9). In molti altri brani della Bibbia si parla continuamente dell’apparizione di Dio agli uomini ―.
― Allora alcuni dicono: “Questi passaggi risultano indecifrabili. Come si può pensare che gli uomini vedano Dio in modo così tangibile?”. Tale incomprensione avviene in quanto con la scusante della cultura e della scienza, ci siamo immersi in una così grande e ignorante oscurità, che troviamo assurde tutte quelle cose di cui i nostri padri avevano una cognizione chiara quanto basta, da poter discutere tra loro delle manifestazioni di Dio agli uomini come di avvenimenti noti a tutti e per nulla strambi astrusi. Per questo motivo Giobbe rispondeva così ai suoi amici che lo accusavano di bestemmiare Dio: «Come è possibile questo, dato che sento il soffio dell’Onnipotente nelle mie narici?» (Gb 27,3). Che vuol dire: come posso bestemmiare Dio se lo Spirito Santo è con me? Se imprecassi Dio, lo Spirito Santo mi abbandonerebbe, io invece sento il suo alito nelle mie narici. Abramo e Giacobbe dialogavano con Dio. Giacobbe ha perfino lottato con lui. Mosè, e insieme con lui tutto il popolo, ha visto Dio quando gli vennero consegnate le Tavole della Legge sul Sinai. Una colonna di nube e di fuoco, la grazia visibile dello Spirito Santo, guidava il popolo ebreo nel deserto. Gli uomini vedevano Dio e il suo Spirito non in sogno, in estasi, o come frutto di una fantasia morbosa, ma nella realtà. Diventati distratti, intendiamo le parole della Scrittura in modo diverso da come dovremmo fare. Questo avviene in quanto, al posto di cercare la grazia, con il nostro orgoglio intellettuale impediamo ad essa di venire ad inabitare nelle nostre anime e di illuminarci come tutti quelli che cercano la verità con tutto il cuore ―.
La creazione
― Molti, ad esempio, interpretano le parole della Bibbia: «Dio plasmò l’uomo con la polvere del suolo e soffiò nelle narici un alito di vita» (Gen 2,7) come se il significato fosse che fino a quel momento non ci sia stato in Adamo né anima né spirito umano, ma ci fosse soltanto una carne creata dalla polvere del suolo. Questa interpretazione non è giusta perché il Signore Dio ha creato Adamo dalla polvere del suolo in quella condizione di cui parla l’Apostolo Paolo quando dichiara: «Che il vostro spirito, la vostra anima e il vostro corpo si conservino irreprensibili per la venuta del Signore Gesù Cristo» (1 Ts 5,23) ―. Tutte queste tre componenti del nostro essere vennero create dalla polvere del suolo. Adamo non è stato creato morto, bensì come un essere animato che agiva come le altre creature che vivevano sulla terra animate da Dio. Ma, ecco il punto fondamentale: se Dio non avesse poi infuso nel volto di Adamo l’alito di vita, ossia la grazia dello Spirito Santo che procede dal Padre e riposa sul Figlio ed è inviato nel mondo per mezzo di Lui, Adamo, per quanto perfetto e superiore alle altre creature, sarebbe rimasto senza lo Spirito Deificante restando simile a tutte le altre creature aventi corpo, anima e spirito secondo la loro specie, ma prive nel loro intimo dello Spirito Santo che apparenta con Dio ―.
― Dal momento in cui Dio gli ha dato l’alito di vita, Adamo è diventato, secondo Mosè, “un’anima vivente”, cioè in tutto simile a Dio, eternamente immortale. Adamo è stato creato invulnerabile, nessun elemento aveva potere su di lui, l’acqua non poteva annegarlo, il fuoco non poteva bruciarlo, la terra non poteva inghiottirlo, l’aria non poteva nuocergli. Come prediletto di Dio, padrone e re delle creature, tutto gli era stato sottomesso. Adamo era la stessa perfezione, il coronamento delle opere di Dio ed era ammirato come tale. L’alito di vita che Adamo ha ricevuto dal Creatore lo ha riempito di sapienza a tal punto che non ci fu mai, né mai verosimilmente ci sarà un uomo così ricco di conoscenza e di sapienza. Quando Dio gli ordinò di imporre il nome a tutte le creature, egli le chiamò secondo qualità, forza e proprietà conferite da Dio a ognuna di esse. Questo dono della grazia divina soprannaturale, discendente dall’alito di vita che Adamo aveva ricevuto, consentiva ad Adamo di vedere Dio che passeggiava nel Paradiso e di comprendere le sue parole, come anche il colloquio dei santi angeli e il linguaggio di tutte le creature, degli uccelli, dei rettili che vivono sulla terra, tutte cose eclissate a noi peccatori dopo la caduta, ma che, prima della caduta, erano assolutamente chiare ad Adamo. La medesima sapienza, la stessa forza e l’uguale potere, cosi come ogni altra santa e buona qualità, erano state donate da Dio ad Eva nel momento della sua creazione, non dalla polvere del suolo, ma da una costola di Adamo nell’Eden delle delizie, nel Paradiso custodito nel cuore della Terra ―.
L’albero della vita e il peccato originale
― In modo che Adamo ed Eva potessero sempre custodire serenamente dentro di sé le loro proprietà immortali, perfette e divine, provenienti dall’alito di vita, Dio piantò in mezzo al Paradiso l’Albero della Vita nei cui frutti custodì tutta la sostanza e la pienezza dei doni del suo soffio divino. Se Adamo ed Eva non avessero peccato, essi e i loro discendenti avrebbero potuto mangiare i frutti di quell’albero e serbare quella forza vivificante della grazia divina, assieme ad una pienezza immortale ed eternamente rigenerata delle energie fisiche, psichiche e spirituali, senza invecchiare mai, in uno stato di beatitudine che adesso la nostra fantasia non riesce ad immaginare ―.
― Invece, assaggiando il frutto dell’Albero della Conoscenza del bene e del male prima del tempo e in contrasto con la proibizione di Dio, essi vennero a conoscenza della differenza tra il bene e il male e caddero vittime delle disgrazie che si rovesciarono su di loro per aver infranto il comandamento divino. Persero così il dono prezioso della grazia dello Spirito Santo e fino alla venuta sulla terra di Gesù Cristo, Dio Uomo «lo Spirito non era nel mondo, perché Gesù non era ancora stato glorificato» (Gv 7,39) ―.
[1] L’iniziale Traduzione grezza è stata effettuata con l’ausilio della tecnologia web. Le Note del Testo sono tratte dal volume Serafino di Sarov, di Irina Goraïnoff, Gribaudi Editore, Torino anno 1981, pp. 155-185.
[2] Estratto da un Articolo di Padre Enzo Bianchi da 30giorni.it. su https://www.santiebeati.it/dettaglio/57900.
[3] Aleksandr Dugin, 13 ottobre 2023, Canale AGD di Telegram.
[4] Ibidem Nota 2.
[5] Antifona del Vangelo di Mattutino.
[6] Tropario recitato all’inizio degli Uffici.
Termine parte prima.