Morte dell'ordine mondiale liberale?
09.04.2018
Il Presidente del Consiglio per le relazioni internazionali Richard Haas ha pubblicato un articolo dal titolo: "Riposa in pace, ordine mondiale internazionale". All'inizio dell'articolo parafrasa Voltaire dicendo che lo spaventoso ordine mondiale non e' piu' ne' liberale, ne' mondiale, e, addirittura, non e' ordine.
Cio' che gli USA hanno iniziato a costruire insieme alla Gran Bretagna dopo la seconda guerra mondiale e hanno definitivamente confermato dopo la dissoluzione dell'URSS (il Nuovo Ordine Mondiale, di cui parlo' George Bush senior), con l'aiuto della potenza economica e militare degli USA (comprese le armi nucleari) e di reti di alleanze in Europa ed Asia, ora e' in discussione.
Haas constata il fatto che ora il pericolo per l'ordine mondiale liberale non viene dagli stati-canaglia, regimi totalitari, fanatici religiosi e stati oscurantisti (termini specifici, usati dai liberali verso altri popoli e paesi che non seguivano il percorso di sviluppo capitalista), ma dal suo architetto principale: gli Stati Unti d'America.
Va notato che questa non e' l'opinione di un ordinario articolista del New York Times o del Wall Street Journal.
Richard Haas gia' da 15 anni ricopre la carica di presidente del Consiglio per le Relazioni Internazionali, e' stato direttore della pianificazione politica del Dipartimento di Stato degli USA (2001-2003, e prima in servizio negli anni dal 1981 al 1985), dipendente del Ministero della Difesa (1979-1980), inviato speciale degli USA per la composizione della situazione in Irlanda del Nord e coordinatore per l'Afganistan, aiutante speciale di George Bush senior e direttore senior per il Medio Oriente e l'Asia meridionale nel Consiglio per la Sicurezza Nazionale, consulente per la realizzazione della politica americana al tempo delle operazioni in Irak "Tempesta nel deserto" e "Scudo del deserto".
Autore di numerosi libri sulla politica estera e la gestione, professore, ex vice presidente e direttore delle ricerche sulla politica estera della Bruukings Institution, collaboratore senior del Fondo Carnegie e dell'International Institute for Strategic Studies.
"Il liberalismo si trova in fase di ritirata. La democrazia percepisce le conseguenze di un populismo in crescita. I partiti degli estremismi politici hanno guadagnato posizioni in Europa. Il voto nel Regno Unito a favore dell'uscita dalla UE testimonia la perdita di influenza dell'elite. Addirittura gli USA hanno esperimentato attacchi senza precedenti da parte del loro proprio presidente contro i mezzi di informazione di massa, i tribunali e le forze dell'ordine del paese. Paesi come l'Ungheria e la Polonia non sono interessate al destino delle loro giovani democrazie. Noi osserviamo l'emergere di ordini regionali", scrive Haas, "i tentativi di instaurare una cornice globale sono falliti".
In particolare indica come colpevoli la Russia e la Corea del Nord.
Haas anche in passato aveva fatto annunci allarmistici, ma questa volta tra le righe si legge un senso di disperazione, che prende uno dei principali intellettuali del campo dei neoliberali-globalisti.
"Oggi altre grandi potenze, compresa la UE, la Russia, la Cina, l'India e il Giappone possono essere criticati per quello che fanno, non fanno, e anche altro" scrive.
Realisticamente questo elenco avrebbe potuto essere ampliato aggiungendo una quantita' di paesi latinoamericani, l'Egitto, che stipula contratti di armamenti con la Corea del Nord e respinge qualunque violazione delle sanzioni dell'ONU, l'asse sciita Iran-Irak-Siria-Libano che si sta rafforzando.
Ma cio' che affonda nello sconforto Haas e' il fatto che direttamente Washington modifica le regole del gioco, senza interessarsi di cio' che faranno i suoi alleati, partner e clienti nei vari angoli del mondo.
"La decisione dell'America di rinunciare al ruolo che ha ricoperto per piu' di sette decenni e' stata un momento di svolta. L'ordine mondiale liberale non puo' vivere da solo, perche' gli altri non hanno ne' l'interesse, ne' i mezzi per sostenerlo. Come risultato si ha un mondo meno libero, meno prospero e meno sicuro sia per gli americani sia per gli altri".
Il collega del CFR di Richard Haas, Stewart M. Patrick, e' pienamente d'accordo con l'affermazione che gli stessi USA seppelliscono l'ordine liberale internazionale. Ma lo fanno non da soli, sebbene insieme alla Cina. Se prima negli USA speravano che i processi di globalizzazione gradualmente avrebbero trasformato la Cina (e, magari, la avrebbero distrutta, come era avvenuto in precedenza con l'URSS), non e' andata assolutamente come si aspettavano in America. Si e' verificata una modernizzazione senza occidentalizzazione, come diceva il leader della rivoluzione islamica in Iran, l'ayatollah Khomeini.
Ora la Cina espande la sua influenza sull'Eurasia in maniera particolare, in modo tale che nella maggioranza dei casi questo viene ben accolto dai paesi partner.
Ma per gli USA questi processi sono dolorosi, dato che progressivamente ed irreversibilmente scalzano la loro egemonia.
"La sua (della Cina) ambizione a lungo termine consiste nello smontare il sistema di alleanze degli USA in Asia, sostituendolo con il suo piu' morbido (dal punto di vista di Pekino) ordine regionale di sicurezza, dove (Pekino) viene rispettato, e, idealmente, questa sfera di influenza e' paragonabile col suo potere. L'iniziativa della Nuova via della Seta (OBOR (one belt, one road) e' parte integrante di questi sforzi, offrendo non solo (cosi' indispensabili) investimenti nelle infrastrutture dei paesi vicini, ma anche la promessa di una maggiore influenza politica nel sud-est, sud e Asia Centrale.
Piu' aggressivamente la Cina prosegue nelle sue scandalose pretese giuridiche in quasi tutto il Mar Cinese Meridionale, dove continua la sua attivita' per la cstituzione di isole e partecipa ad attivita' provocatorie nei confronti del Giappone nel Mar Cinese Orientale", scrive Patrick.
Per quanto riguarda gli USA, gli "Stati Uniti da parte loro, sono un titano esausto, che non desidera piu' di portare il peso della leadership mondiale, sia economica sia geopolitica. Trump considera le alleanza come una racchetta protettiva, e l'economia mondiale come un'arena di concorrenza a somma nulla. Il risultato di quanto sopra e' uno squallido ordine internazionale senza un campione che voglia investire nel sistema stesso".
Si puo' concordare con entrambi gli autori nelle valutazioni dei cambiamenti nel comportamento di parte dell' establishment degli USA, anche se cio' non e' solo in Donald Trump, (il quale e' talmente imprevedibile, da aver ammesso nella sua squadra il rappresentante della palude che si apprestava a bonificare) e nel populismo nordamericano. Bisogna guardare molto piu' in profondita'.
L'uomo di stato norvegese con esperienza di lavoro nelle organizzazioni internazionali Stein Ringen nel libro "Nation of Devils: Democratic Leadership and the Problem of Obedience" osservava come "oggi l'esclusivita' della democrazia americana viene determinata da un sistema, che e' disfunzionale in tutto cio' che e' necessario per garantire l'accordo e la lealta' sociali.....
L'orgia dell'assenza di controllo ha portato a far si' che il capitalismo sia sprofondato nella crisi. I soldi si immischiano nella politica e sconvolgono le basi della stessa democrazia....
La politica americana non dipende piu' dal potere dell'elettore medio, ammesso che cio' sia mai avvenuto. Al suo posto in America governa il capitalista medio dato che sia i democratici, sia i repubblicani correggono la propria politica, quando serve di attirare l'attenzione di persone facoltose.
I politici americani percepiscono che sono impantanati nella palude della corruzione morale, ma che non possono farci niente".
Trump semplicemente riflette questa disfunzionalita' e le contraddizioni interiori del populismo americano.
E' un Gorbachev americano, che ha avviato la Perestrojka nel momento non adatto.
Anche se va riconosciuto che se Hillary Clinton fosse divenuta presidente, il collasso degli USA sarebbe stato piu' doloroso, in primo luogo per gli stessi cittadini americani. Ci sarebbero state altre riforme fallimentari che avrebbero aumentato il numero dei migranti, una prosecuzione della caduta del sistema produttivo nazionale e sarebbero stati provocati nuovi conflitti.
Con metodi simili alla medicina palliativa Trump cerca di sostenere il corpo nazionale, anche se la malattia e' talmente seria, da non permettere di evitare l'utilizzo di misure radicali.
Questa situazione si estende anche su una parte dell'Europa, che a causa del suo coinvolgimento transatlantico si e' trovata ad essere vulnerabile e soggetta alla corrente turbolenza geopolitica. A proposito, per molta parte, grazie proprio al neoliberalismo.
Stein Ringen in relazione a questo prosegue: "Le organizzazioni finanziarie transnazionali hanno monopolizzato l'ordine del giorno politico di vari paesi in assenza di qualsivoglia forza politica globale, sono in grado di controllarlo. L'Unione Europea, il maggior esperimento per la costituzione di un'unione democratica sovrastatale, sta fallendo...."
Interessante il fatto che il terror panico ha avvolto l'Europa Occidentale e gli USA, zona del transatlantismo, anche se le ricette del liberalismo in differenti variazioni sono state applicate anche in altre regioni – e' sufficiente ricordare l'esperienza di Singapore o del Brasile. Anche se ivi non si sono verificati stati d'animo come in Occidente. Probabilmente la causa e' nelle differenze radicali dei tipi culturali delle societa'.
In relazione a questo , Lucien Goldmann, nel suo lavoro " Il Dio nascosto" trae conclusioni non prive di interesse, secondo le quali la cultura occidentale nelle sue fondamenta ha un inizio razionalistico e tragico, e, essendo immersa in questa concezione, " l'individuo non trova ne' nello spazio, ne' nella collettivita' nessuna norma, nessuna direzione, che potrebbero diventare le linee guida per la sua azione".
E poiche' per sua natura il liberalismo deve meccanicamente "liberare" l'individuo da qualunque struttura (le classi, la chiesa, la famiglia, la societa', il sesso, e alla fine, liberare l'uomo da se stesso) in assenza di qualunque normativa deterrente e' pienamente logico che la crisi del mondo Occidentale dovesse prima o poi verificarsi.
Ed il sorgere di movimenti populisti, misure protezionistiche e politica conservatrice, di cui parla Haas e gli altri liberal-globalisti - questo e' solo l'istinto di sopravvivenza dei popoli.
Non bisogna sviluppare teorie complottistiche sull'interferenza della Russia e di Putin nelle elezioni degli USA (cosa che ha negato anche Donald Trump, notando solo che si era verificato un appoggio a Hillary Clinton, ed e' vero, dato che parte dei denari per il suo sostegno sono arrivati dalla Russia da parte di oligarchi liberali).
Le decisioni politiche fondamentali in Occidente avvengono nel solco della corrente crisi multilivello. Solo, come sempre, le elite occidentali hanno bisogno di un rituale capro espiatorio (anche se e' piu' vero parlare di capro sacrificale). Lo sconvolgimento geopolitico e' iniziato in Occidente in forza del carattere implicito del progetto stesso dell'Occidente.
Ma poiche' vi sono anche scenari di sviluppo alternativi, il sistema attuale e' sottoposto ad erosione. E il vuoto ideologico che si e' venuto a formare comincia ad essere riempito da altri progetti politici, altri sia per forma sia per contenuto.
Per questo la probabilita' che la crisi attuale del liberalismo seppellisca definitivamente il sistema unipolare occidentale di egemonia e' abbastanza alta.
E i germogli di movimenti populisti e di protezionismo regionale, possono costituire le basi per un nuovo ordine mondiale multipolare.