Le armi spirituali del Soggetto Radicale [3]: L’immersione nel Sole di Mezzanotte e il Silenzio della mente
L’immersione nel Silenzio
Nel precedente secondo articolo riguardo le armi spirituali del Soggetto radicale, attraverso i criteri della Antropologia mistica, abbiamo descritto come il silenzio sia la porta, il vettore, nonché la Via maestra che introduce nella realtà sostanziale dell’anima/coscienza, consentendo così di poterla auto-sperimentare in modo progressivo e di fruirne come centro dell’essere umano, che deve stendere necessariamente il suo Imperium per sedare il perenne conflitto corpo/mente e raggiungere così la pace interiore.
Ci siamo poi soffermati sull’importanza dell’immersione nel silenzio della natura, quale scuola fondamentale e propedeutica all’acquisizione dello stato di silenzio interiore, che in tali condizioni può realizzarsi in modo spontaneo attraverso il canale del corpo (rilasciamento neuromuscolare), quello della mente (vuoto mentale) o quello dell’anima/coscienza (respirazione deconcentrativa), che sono strutturalmente correlati in modo reticolare, cosicché raggiunto lo stato di silenzio interiore attraverso uno dei tre canali, esso si propaga spontaneamente agli altri due, inglobandone tutta l’individualità umana e la sua esistenza.
Infine, si è verificato attraverso la comune tradizione apofatica meditativa zen, carmelitana ed esicastica, come lo stato di silenzio interiore crescendo d’intensità durante la pratica meditativa, proceda attraverso una discesa energetica verso lo HARA e uno sprofondamento antropologico verso il fondo dell’individualità umana, ossia della sua anima/coscienza, denominato discesa nel profondo, che si caratterizza attraverso esperienze di luce e tenebre interiori. (Cfr. https://www.ideeazione.com/le-armi-spirituali-del-soggetto-radicale-la-porta-del-silenzio-e-la-discesa-nel-profondo/ ).
La discesa nel profondo, in quanto immersione sempre più abissale nello stato di silenzio, che è il primo stato di coscienza auto-sperimentale dell’anima, arriva successivamente a generare – con il costante impegno nella auto-sperimentazione meditativa – un secondo stato di coscienza detto stato di immersione. Esso è uno stato di cecità spirituale totale: luce Divina consolante che acceca, unito a tenebre profonde generate dalla visione della propria sporcizia interiore: peccati, vizi capitali, narcisismo auto-adorante.
Nello stato di immersione, si trova sicuro rifugio spirituale se si cerca la santità della propria liberazione interiore. Diversamente, lo stato di immersione può tramutarsi in una protezione ingannevole se si vuol usare esso come un ripiego intimistico, funzionale ad un sottrarsi agli eventi traumatici esistenziali del nichilismo postmoderno e della propria condizione interiore negativa, senza volerli affrontare né superare. Infatti, nello stato di immersione, tali eventi traumatici subiscono la kàtharsi (purificazione) ossia si acutizzano in tutta la loro drammaticità consolatoria e desolatoria. Fino a portare in tempi più o meno lunghi il praticante meditativo – solo colui che dimostra tenacia, non fugge, non torna indietro e non si arrende – in uno stato di anestesia totale riguardo i sensi, nonché di elisione delle turbe mentali, ossia in una condizione visibile e temporanea di apatheia ossia di impassibilità.
Lo stato di immersione, come già evidenziato nel precedente articolo, rappresenta la frazione contemplativa della realtà esistenziale del Soggetto radicale nel Sole di Mezzanotte, affermata in modo eccellente dal pensiero di Aleksandr Dugin, dove il magistero di Meister Eckhart, la filosofia di Heidegger e le intuizioni filosofiche e metapolitiche duginiane, si mescolano in un fiume carsico capace di descrivere sapientemente il dramma ultraumano e nichilistico dell’esser-ci (Dasein), ossia dell’esistenza eroica vissuta dal Soggetto Radicale:
«Passo dopo passo, ci avviciniamo al momento ultimo, al culmine assoluto, quando perderemo l’identità, la sola distinzione che ancora ci resta. Nel post-umanesimo non ci saranno più culture, civiltà, uomini o donne, ma regnerà solo un nichilismo trionfante. Se nella modernità l’uomo si libera da Dio, dalla Chiesa, dallo Stato o dalla nazione, nel postmoderno si libera da sé stesso: ecco il programma del liberalismo contemporaneo. Quando questo processo raggiunge l’apice, appare il Soggetto Radicale, sola forma di opposizione possibile. Non intende salvare la modernità, la sera – ossia il preludio della Mezzanotte –, ma sottoporsi a un’esperienza più fondamentale, mettendosi alla prova. È la sua volontà trascendente ad ambire all’abisso ontologico più profondo. Privo di ogni appoggio formale, l’uomo vuole provare a sé stesso di essere diverso da quest’abisso. Il Soggetto Radicale – nel quale risiedono il Sole, la luce e la Tradizione – è questa prova estrema la fine della discesa ciclica e, forse, il bagliore di un Nuovo Inizio. È una realtà che va creata, tramite una mente attiva, radicale, che appare solo nel momento più critico del ciclo cosmico.
«Il Soggetto Radicale è immortale, attraversa la morte e costituisce la radice del soggetto normale — è un Sole Nero situato nell’abisso più profondo e interiore. È un soggetto apofatico (termine che indica il non-ancora-manifestato) situato all’interno del soggetto positivo, di cui costituisce la radice immortale, invisibile e indistruttibile. Aristotele parla di due tipi di mente, una passiva e l’altra attiva (nous poietikos). La prima – corrispondente al soggetto cartesiano riflette la realtà esteriore e opera entro i suoi stretti confini. Il nous poietikos, invece, non percepisce la realtà, ma la crea. È un demiurgo interiore, che plasma sia il mondo esterno sia i nostri stessi organi percettivi. Ebbene, il Soggetto Radicale è quella forza che fa sorgere il soggetto – come il Sole di Mezzanotte, che contiene l’essenza della luce del giorno, nella sua totalità, e perciò è più importante e fondamentale del Sole diurno, avendolo in sé stesso, allo stato non-manifestato. Nel contempo, il Sole di Mezzanotte non coincide con la notte. Essa, infatti, è incapace di produrre alcunché, così come la Terra, che genera dal suo ventre solo Titani e mostri. Per fare nascere il divino, occorre avere in sé il seme del Sole di Mezzanotte, il Soggetto Radicale. Il Sole di Mezzanotte è il cielo che entra nella terra, il processo che dà vita al limpido cielo diurno. È la base, il fondamento (Grund) dell’Essere. Non l’Essere in sé stesso, ma quella dimensione che lo rende possibile. È l’abisso più abissale (Urgrund) di cui parla Heidegger: per trovarlo, occorre spingersi sempre più in profondità, di fondamento in fondamento, fino a raggiungere ciò che è privo di fondamento». (Aleksandr Dugin, Il Sole di Mezzanotte. Aurora del Soggetto Radicale, AGA Editrice, Milano 2019, pp. 17, 11-12).
Genesi e fenomenologia dello Stato di Vuoto mentale o Vacuum State
Lo stato di immersione, è l’ancoraggio fondamentale per vivere ed inoltre agire costantemente al livello dell’anima/coscienza e, come direbbe Edith Stein, far sì che l’individuo possa vivere una vita compiutamente umana. Nel corso di alcuni prossimi articoli, a Dio piacendo, descriveremo la progressione auto-sperimentale dell’anima, attraverso ulteriori stati di coscienza, i quali sorgeranno come stati di coscienza temporanei ossia come strumenti che l’anima/coscienza mette in atto nella sua relazione con gli altri e col mondo, oppure si manifesteranno come stati più interni di relazione e unità con il Divino.
Questi stati di coscienza superiori, sia che sorgano come stati temporanei sia che si manifestino come stati più interni di unione col Divino, tuttavia rappresentano sempre un’emersione energetica verso l’alto che procede dal fondamentale stato di immersione in cui vive abitualmente l’anima/coscienza. Questa emersione energetica verso l’alto, che dall’immersione nello HARA (Kikai tanden), secondo la dottrina Zen si dirige in modo spontaneo e non forzato verso altri due centri energetici – quello mentale (Chudan tanden) e quello spirituale (Jodan tanden), caratterizza il percorso dell’energia attraverso il corpo umano. Un percorso energetico ordinato, il quale dopo l’iniziale e fondamentale discesa energetica e l’ancoraggio nello stato di immersione, risale sempre più in modo spontaneo e naturale trasformandosi nella condizione di armonia energetica, poi di espansione energetica ed infine di assorbimento energetico.
La permanenza prolungata nello stato di immersione, come abbiamo detto provoca l’apatheia, l’impassibilità, ossia uno stato di anestesia riguardo gli eccessi della sensibilità e, inoltre, una scomparsa dei tormenti mentali e delle sofferenze indotti dalle tenebre interiori. Nella condizione di apatheia, l’anima/coscienza ritrova una pace interiore ed una quiete fino a quel momento sconosciute, qualità spirituali che provocano col tempo e con la costante pratica meditativa, un’emersione verso un terzo stato di coscienza denominato stato di vuoto mentale, meglio conosciuto come vacuum state. Nel vacuum state si realizza e si manifesta anche una condizione iniziale e poi sempre più duratura di armonia energetica, in cui l’anima/coscienza emersa dalle sue profondità si ritrova sulla superficie di questo mare interiore fino ad approdare sulla terra ferma in una condizione di perfetto equilibrio Yin Yang, di perenne equinozio, immersa nell’orizzonte del confine tra mare, terra e cielo. Al di là di queste ultime espressioni che rasentano l’espressione poetica, ma che sono indubbiamente pregnanti circa l’esperienza che avviene nello stato di vuoto o vacuum state, vediamo ora di approfondire alcune importanti qualità che caratterizzano questo terzo stato di coscienza.
L’essenza dello stato di vuoto mentale è l’assenza totale di pensieri intesi come continua elaborazione armonica o conflittuale del tessuto emotivo/razionale. In questo vuoto radicale della mente, si concretizza così la caratteristica principale del vacuum state: l’apertura dell’occhio spirituale dell’anima/coscienza, il Terzo Occhio. L’approccio dell’anima col Divino e con il creato si invera quindi nella visione attraverso gli occhi, così come l’orientamento della mente col Divino e con il creato si realizza nell’ascolto attraverso le orecchie, così come il contatto del corpo col Divino e con il creato consiste nella sensazione attraverso il tatto.
Nel vacuum state, con l’apertura dell’occhio spirituale, a causa dell’assenza di pensieri, l’anima comincia a vedere la profondità delle cose, al di là delle loro apparenze, in modo distaccato o meglio disidentificato – come ci insegna la psicologia transpersonale – e inizia anche ad auto-comprendersi come realtà essenziale e vitale. Ne consegue, quindi, un’amplificazione interiore della auto-coscienza, oltre che della attenzione e della osservazione che sono parti strutturali e dinamiche dell’anima/coscienza, le quali vengono progressivamente attivate dall’apertura dell’occhio spirituale. Accennando sinteticamente il tema dell’attenzione nel prossimo paragrafo, qui, invece, vediamo come Aleksandr Dugin interpreta i temi del distacco e dell’osservazione, o meglio dell’osservatore, nella prospettiva filosofica della spiritualità di Julius Evola:
“L’Evola di Arte astratta è certamente distaccato. È distaccato e sa cos’è il distacco. È distaccato e fa del distacco un programma. È distaccato e consiglia di fare lo stesso a coloro che possono e vogliono. La mia ipotesi è che Evola abbia inteso tale distacco nei termini di “astrazione”. Quella “astratta” è un’arte che si trova altrove rispetto alla razza umana, in una zona di superamento certo e attivo. Al di là degli aspetti estetici e filosofici del primo Evola (che non ha ancora familiarità con le opere di Guénon, le cui principali non sono ancora nemmeno state scritte), il dato più importante è che egli porta con sé l’esperienza della trascendenza. L’osservatore che è in lui ha già preso vita. È il punto di partenza. L’osservatore è uno spirito interiore, è un momento di superamento della vita e della morte. Per essere osservatori, in senso evoliano, occorre quindi essere differenziati. La parola “astrazione” significa “separazione”, “distacco”, “differenziazione”. Separazione da cosa? La linea di Evola è chiara ed inequivocabile: dall’uomo, i cui limiti vanno superati. L’astrazione, in questo caso, è chiara e trasparente: andando oltre i limiti dell’umano, occorre rompere i ponti con esso. È un salto verso un’identità alternativa”. (Aleksandr Dugin, Astrazione e differenziazione in Julius Evola, Par. Teoria e pratica del distacco radicale, Sito ufficiale della Fondazione Julius Evola).
La pratica del Vacuum State come forza d’urto della lotta metapolitica
L’attenzione integrale che l’anima/coscienza realizza nella pratica meditativa, riguarda sia la realtà esterna che le mozioni interiori provocate dal tessuto emotivo/razionale o dall’intervento diretto del Divino. È stato neurofisiologicamente accertato che ad es. nella meditazione Zen, il cervello emette onde alfa (le onde dello stato di quiete e di rilassamento), convivendo contemporaneamente con una grande capacità di attenzione che impedisce di cadere nel sonno e, nello stesso tempo, mostra capacità reattive sorprendenti. Senza addentrarci nelle specifiche neuroscientifiche, durante lo stato meditativo dello Zen, l’immagine che meglio descrive tale situazione apparentemente contradditoria, è quella classica di un samurai che meditando seduto e impassibile, viene disturbato dal ronzio di una mosca che comincia a girargli intorno; improvvisamente, il samurai estrae di colpo la spada ed emettendo il grido guerriero, trancia la mosca in due, poi posa nuovamente la spada nel fodero e continua a meditare.
Col tempo e con la pratica meditativa, il persistere della presenza di onde alfa nel cervello unita al simultaneo acuirsi della capacità di attenzione, diventa una condizione abituale che si estende anche al di fuori dell’evento meditativo. Ciò permette di vivere quella condizione di vacuum state che rende permeabili alle percezioni più sottili e alle sensazioni più sfumate riguardanti natura, animali, ambiente, relazioni interpersonali, strutture mentali individuali, familiari e sociali. A questo proposito cosi ci insegna lo psicologo cognitivista Daniel Goleman, allievo del Dalai Lama:
“La meditazione allena la capacità di attenzione, mette al riparo da altri modi di rilassamento, la maggior parte dei quali fanno vagare la mente come vuole. L’affinamento dell’attenzione dura al di là della sessione di meditazione stessa: si mostra in una varietà di modi nel resto della giornata del meditatore. Si è scoperto che la meditazione, per esempio, aumenta la capacità di raccogliere sottili segnali percettivi nell’ambiente, e di prestare attenzione a ciò che succede piuttosto che lasciare la mente vagare altrove. Ciò significa che nella conversazione con un’altra persona, il meditatore sarà più empatico, poiché egli può prestare un’attenzione più intensa a ciò che l’altra persona sta facendo e dicendo, e può raccogliere meglio i messaggi nascosti che l’altro sta inviando”. (D. Goleman, La forza della Meditazione, Rizzoli 1997, stralci pag. 191).
Lo stato di vuoto mentale, il vacuum state vissuto dall’anima/coscienza, inoltre, perfeziona il reticolo emotivo/razionale attraverso un governo fluido delle relazioni corpo/mente. Al posto di vivere il conflitto permanente o la condizione di complicità lassista tipiche del ménage corpo/mente, l’anima/coscienza vivendo nella condizione di vacuum state, attiva positivamente il corpo e la mente ottimizzando le loro prestazioni e canalizzandole nella felice condizione del flow, lo stato di flusso che qui andiamo a descrivere. Daniel Goleman, riprendendo il lavoro ventennale del collega ricercatore Mihaly Csicszentimihaliy, colui che ha scoperto il flow, lo stato di flusso, così ci introduce nella descrizione di tale realtà mentale:
«Riuscire ad entrare nel flusso è la massima esperienza dell’intelligenza emotiva; il flusso rappresenta forse il massimo livello d’imbrigliamento e sfruttamento delle emozioni al servizio della prestazione e dell’apprendimento. Nel flusso le emozioni non sono solamente contenute e incanalate ma positive, energizzate e in armonia con il compito a cui ci si sta dedicando. Essere intrappolati nella noia della depressione o nell’agitazione dell’ansia significa essere fuori dal flusso. Ciò nonostante il flusso (o forse una sorta di microflusso) è un’esperienza che quasi tutti di tanto in tanto sperimentano, soprattutto quando le prestazioni uguagliano o superano i limiti personali (…)
«Questa esperienza è stupenda: la caratteristica del flusso è una sensazione di gioia spontanea perfino di rapimento. Poiché il flusso ci fa sentire così bene, esso è di per sé stesso gratificante. Si tratta di uno stato in cui la consapevolezza si fonde con le azioni e nel quale gli individui sono assorbiti in ciò che stanno facendo e prestano attenzione esclusivamente al loro compito. (…)
«Il flusso è uno stato in cui l’individuo si disinteressa di sé, l’opposto del rimuginare e del preoccuparsi… In questo senso i momenti di flusso sono privi di ego. Paradossalmente, l’individuo in stato di flusso mostra un controllo magistrale su ciò che sta facendo e le sue risposte sono perfettamente sincronizzate con le mutevoli esigenze della circostanza. Sebbene un individuo in stato di flusso dia prestazioni al massimo livello, non è mai preoccupato di far bene, non indugia a pensare al successo o al fallimento: il puro e semplice piacere dell’atto in sé basta a motivarlo. (…)
«Il flusso è uno stato privo di interferenze emotive – se si esclude un sentimento leggero di estasi inde-scrivibile e altamente motivante. (…) Osservare qualcuno che si trova nello stato di flusso dà l’impressione che i compiti difficili siano facili; la prestazione ad altissimo livello sembra naturale e comune. Questa impressione riflette ciò che accade nel cervello, dove si ha un paradosso simile: i compiti più difficili sono eseguiti con un dispendio di energia mentale minimo. Il cervello in stato di flusso è “freddo”; lo stato di attivazione e di inibizione dei circuiti neurali è in perfetta armonia con quanto è richiesto dalle circostanze. Quando l’individuo si impegna in attività che attirano senza sforzo la sua attenzione, mantenendola poi concentrata, il suo cervello si “calma”, nel senso che si ha una riduzione dello stato di attivazione cerebrale. Questa scoperta è notevole, dal momento che lo stato di flusso consente agli individui di affrontare le imprese più difficili, sia che si tratti di giocare contro un maestro di scacchi, sia che si debba risolvere un complesso problema matematico. Ci si aspetterebbe che queste imprese così impegnative richiedano una maggiore attività corticale, non il contrario. Ma uno degli aspetti chiave del flusso è proprio che esso si manifesta solo nell’intorno dell’eccellenza, là dove le capacità sono bene esercitate e i circuiti neurali più efficienti». (D. Goleman, Intelligenza emotiva, BUR Rizzoli 2011, pp. 63-64).
Quando la pratica meditativa entra nel vacuum state, l’esercizio attuato dall’anima/coscienza nel distacco, nell’osservazione e nell’attenzione colloca successivamente corpo e mente nel benessere dello stato di flusso, nel flow. La pratica del vacuum state quindi, con l’innesco progressivo del flow, può rivelarsi una forza d’urto considerevole per il proseguimento della lotta metapolitica attuata dal Soggetto Radicale. Le circostanze attuali del modo di vivere postmoderno, basato sull’alta velocità del network multimediale e sulla virtualità del rapporto post umano, devono indurre i guerrieri della Tradizione a sfruttare i benefici della costante pratica meditativa, per ridare umanità alle relazioni post umane, per attuare e completare la loro discesa agli inferi e la loro resurrezione come Soggetti Radicali, per gestire la fase finale del Kali Yuga e del futuro Armageddon con una lotta metapolitica animata dal gusto di un flow di ordine angelico-marziale. Infatti:
«Non è un caso che nell’escatologia della maggior parte delle religioni e delle tradizioni si parli della visione dell’Endkampf (“battaglia finale”), che necessariamente coinvolge gli angeli. Nei blockbuster di Hollywood anche questo è oggetto di simulazione, ma è inevitabile. L’espressione politica del Soggetto Radicale può essere quindi definita non come l’area della teologia politica (Carl Schmitt) ma come l’area dell’angelologia politica». (Aleksandr Dugin, La Quarta Teoria Politica, NovaEuropa Edizioni, Milano 2017, pag. 306)