Uccidere la modernità: il grido di guerra di Dugin
La Quarta Teoria Politica non è solo un libro, è un manifesto, una bomba, uno schiaffo a tutto ciò che le è stato trasmesso. Aleksandr Dugin entra nella stanza, senza essere invitato, e distrugge i tre pilastri del XX secolo: liberalismo, comunismo e fascismo. Sono finiti. Finiti. Morti, o dovrebbero esserlo. Il liberalismo, l'ultimo zombie rimasto in piedi dopo il crollo dell'Unione Sovietica, ora ci trascina tutti in un incubo mondialista. Dugin è qui per gridare: “Basta!” Abbiamo bisogno di una quarta via, qualcosa che sputi in faccia al vecchio, qualcosa che non si pieghi alla macchina liberale.
Dugin fa a pezzi le loro vacche sacre. Il liberalismo? Adora l'individuo - io, io, io. Il comunismo? Si è incatenato alla classe. Il fascismo? Uno stivale sulla faccia della nazione. Ma Dugin parla di qualcosa di più profondo, di più oscuro. Vuole mettere al centro il Dasein - sì, quella parola pesante e scivolosa di Heidegger. Si tratta dell'Essere, ma non delle sciocchezze di superficie. È l'urlo primordiale dell'esistenza, prima che tutti gli -ismi avvelenassero il pozzo. Vuole che torniamo lì, in contatto con il crudo, il reale, le cose che bruciano sotto la pelle.
Il disgusto di Dugin per la modernità è viscerale. La modernità è una malattia, che diffonde la sua sporcizia, cancellando chi siamo, trasformando la cultura in un fast food a buon mercato. Sta dicendo: uccidetela. Se vogliamo sopravvivere, se vogliamo qualcosa di più dell'uniformità schiacciante dell'Occidente globale, dobbiamo abbandonare la modernità. Abbiamo bisogno di un mondo in cui le civiltà siano alte, separate, forti. Basta con il melting pot - bruciate quell'idea. Sta sognando un mondo in cui tutti non siano costretti nello stesso brutto stampo.
Questa visione è selvaggia. Non è il mondo kumbaya che il liberalismo vende; è un mosaico brutale, un universo di differenze. Chiede alla Russia, alla Cina, al mondo islamico di sollevarsi, di ritagliarsi il proprio cammino. Dimenticare le regole dell'Occidente. Dimenticate le sue stanche storie di progresso. Dugin parla di una rivoluzione della civiltà, non solo della politica. Ogni mondo, ogni cultura sta per conto suo. Ognuno lotta per sopravvivere, per prosperare, contro la valanga dell'influenza occidentale.
Ma è qui che le cose si fanno davvero spinose. Dugin non ha paura di immergersi nelle cose oscure. Si rivolge ai tradizionalisti della vecchia scuola come René Guénon e Julius Evola, uomini che vedevano la modernità come un veleno. Non gli importa se si pensa che sia reazionario o peggio - non è qui per piacere. La tradizione, per lui, è la linfa vitale, l'unica cosa che può salvarci da questa spirale infinita di progresso, che in realtà è solo distruzione in un vestito lucido. Sta dicendo che abbiamo perso noi stessi e che solo tornando alle nostre antiche radici possiamo ritrovare il nostro significato.
Quindi, dove ci porta questo? La Quarta Teoria Politica di Dugin è un grido di battaglia, una chiamata a bruciare i falsi idoli del XX secolo, soprattutto il liberalismo. È una visione terrificante ed esaltante, un mondo in cui gli antichi dei risorgono e la modernità cade in cenere. Che lo ami o lo odi, Dugin le offre una scelta: rimanere schiavo del mondo morente o abbracciare il caos del nuovo. Ma attenzione: questo percorso non è sicuro, non è comodo e sicuramente non è quello che le è stato detto di credere.
Nel ventre oscuro dell'ideologia, dove i topi della storia rosicchiano le ossa del presente, Oge Noct mormorava tra sé e sé: “È questa la nuova spazzatura, o solo la vecchia tagliata con sangue fresco?”. Sfogliò La Quarta Teoria Politica come un pusher che controlla la sua scorta. “Credi di essere Burroughs, Dugin?”, sogghignò, metà verso il libro, metà verso il vuoto. “Un altro incubo di Naked Lunch, ma invece di dare un calcio all'abitudine, lei vuole che ci nutriamo della tradizione, che la seguiamo fino a quando non vediamo Dio tra le macerie della modernità?”. Le parole sono uscite dalla pagina, gocciolando come l'ago da cui non si può tornare indietro. “Non c'è scampo da questa situazione, Oge”, sussurrano le ombre, prendendolo in giro. “Il vecchio sballo è morto. Il nuovo sballo è la morte stessa”. La Quarta Teoria Politica di Dugin è un viaggio nella tana del coniglio, un tuffo in un mondo in cui le ideologie vanno in overdose e la tradizione diventa l'unica droga rimasta.
La tradizione è tagliata, l'inchiostro sanguina, le vene della modernità si aprono - ago inserito, spinta - la civiltà urla, i crani frantumati delle ideologie passate. Il Dasein è spazzatura, lo ripara, lo rompe, lo brucia. Le parole si fratturano, si disperdono, il cadavere in decomposizione del liberalismo, un morto che cammina. Multipolare - i mondi si scontrano, si incrinano, gli antichi fantasmi risorgono, le visioni empie danzano. Le città si sgretolano, la verità si contorce, le bugie gocciolano - tagliare il passato, ricucire il futuro, carne strappata, ricucita con sangue e ossa. Altezze di potere, overdose di caos - la civiltà si avvita, Dugin parla, le ombre ridono, non c'è scampo, solo il rimedio - la tradizione torna a scalciare, la mente va in tilt, la realtà si frantuma.
Articolo originale di Constantin von Hoffmeister:
https://www.eurosiberia.net/p/kill-modernity-dugins-warcry
Traduzione di Costantino Ceoldo