“La nostra America”: campo di battaglia strategico per la sconfitta finale dell’egemone talassocratico
Come sappiamo, il crollo sovietico ha permesso agli Stati Uniti di assurgere allo status di iperpotenza mondiale. Il fatto di aver occupato questa posizione in modo isolato ha garantito l’egemonia statunitense nel sistema mondiale, inaugurando quello che è stato definito il momento unipolare.
Durante questo periodo, gli Stati Uniti, come strumento delle élite parassitarie transnazionali, hanno messo in pratica in modo praticamente privo di ostacoli gli accordi finali per il consolidamento del Nuovo Ordine Mondiale e l’instaurazione della Fine della Storia, globalizzando i propri costumi e la propria cultura per sostituire le culture tradizionali del mondo, intronizzando New York come cuore dell’usurocrazia finanziaria internazionale e punendo i popoli recalcitranti con sanzioni e guerre, chiamate eufemisticamente “interventi umanitari” secondo il lessico politicamente corretto del post-liberismo.
Fukuyama si sbagliava, tuttavia, e l’Occidente americano-centrico ha iniziato a impantanarsi su numerosi campi di battaglia, soffrendo di un’eccessiva tensione geopolitica nel tentativo di garantire la disintegrazione della Russia, impedendole di riconquistare il dominio dell’Heartland e di ripristinare il suo status di Impero. Pur con i suoi inciampi, gli Stati Uniti avrebbero potuto trionfare in questo progetto, se non fosse stato per la decisione di lanciare l’operazione militare speciale in Ucraina.
Questa decisione ha dato il via a processi che, se confermati dalla vittoria russa (e da misure e decisioni parallele prese dalla Russia e dagli alleati nei campi della sicurezza, dell’economia, della logistica, della cultura, ecc.), seppelliranno il momento unipolare e inaugureranno un ordine mondiale multipolare.
In tesi, un ordine di questo tipo deve riorganizzarsi secondo la pluralità delle civiltà, ciascuna corrispondente a un polo il cui nucleo è lo Stato di struttura imperiale in grado, per potenza e dimensioni, di coordinare il proprio spazio geopolitico.
In questo scenario, anche il Nord America, patria per eccellenza della civiltà occidentale, avrebbe un posto come polo tra gli altri in un ordine multipolare, mentre l’ascesa degli altri poli servirebbe da barriera geopolitica per gli Stati Uniti per riconquistare lo status perduto.
Dalle nostre tappe iberoamericane, tuttavia, notiamo movimenti e sviluppi preoccupanti.
Innanzitutto, vale la pena ricordare la Dottrina Monroe emanata dagli Stati Uniti, attraverso la quale la talassocrazia nordamericana cercò di espellere gli europei dal continente americano e di interferire nelle relazioni tra i Paesi europei e quelli iberoamericani con l’obiettivo a lungo termine di trasformare i Caraibi in “Mare Nostrum” e di proiettare lo spettro della propria egemonia progressivamente fino a raggiungere il cono meridionale del continente.
Dalla fine del XIX secolo fino alla seconda metà del XX, gli Stati Uniti si sono sentiti liberi di destabilizzare e rovesciare governi, finanziare paramilitari e cartelli della droga, erigere dittature e utilizzare la loro cultura e religione come soft power per coltivare nei nostri Paesi élite rese docili dall’americofilia. Durante la Guerra Fredda, questo aspetto ha assunto una grande importanza, poiché gli Stati Uniti cercavano di impedire all’URSS di acquisire avamposti nelle loro “retrovie”.
La fine della Guerra Fredda, tuttavia, ha permesso agli Stati Uniti di diffondere la loro attenzione in tutto il mondo, il loro controllo sulle Americhe assicurato dall’adesione dei governi neoliberali locali al Washington Consensus. E poi l’ondata di governi socialdemocratici e nazionalisti di sinistra tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio ha coinciso con un periodo geopolitico in cui gli Stati Uniti si sono concentrati sull’imposizione poliziesca del loro ordine nel Grande Medio Oriente.
In questa fase, gli Stati Uniti non hanno smesso di agire nel nostro continente, ma si sono affidati principalmente a tecniche ibride di ingaggio, come la lawfare, e al soft power, riservando i colpi più duri agli avversari di altri continenti.
Dall’inizio dell’operazione militare speciale della Russia in Ucraina, tuttavia, gli Stati Uniti sembrano aver intensificato il loro impegno nel continente.
Questi impegni hanno comportato numerose visite del comandante del SOUTHCOM Laura Richardson, responsabile del comando militare delle forze statunitensi nell’Atlantico meridionale, di Anthony Blinken, di Victoria Nuland e di altri importanti dignitari del governo statunitense nei Paesi della nostra regione.
Si sono inoltre intensificati i partenariati militari tra le nostre forze e quelle statunitensi, così come gli Stati Uniti hanno assunto una posizione di tutela delle elezioni e dei loro risultati nel nostro continente (appoggiando contemporaneamente il rovesciamento di Pedro Castillo ed entrando in Perù con le truppe).
Verso la fine dell’anno 2022, gli Stati Uniti hanno pubblicato una nuova Dottrina di Sicurezza Nazionale, in cui collocano l’intero continente come appartenente alla sfera prioritaria della sicurezza nazionale del loro Paese, indicando anche la questione ambientale del nostro continente come oggetto della loro tutela.
Si percepisce quindi che, mentre gli Stati Uniti si infrangono contro il muro eurasiatico e perdono influenza anche in Africa, Medio Oriente e Asia centrale, cercano di stringere la propria morsa sul nostro continente a tutti i livelli e utilizzando ogni sorta di giustificazione ed espediente.
Lo scopo di questo accerchiamento è che gli Stati Uniti si presentino alla ristrutturazione del nuovo ordine multipolare non solo come polo nordamericano, ma come americano nel suo complesso. Risulta che, in una prospettiva globale, al di là del nostro interesse di civiltà, il libero accesso alle immense risorse iberoamericane, che includono il petrolio venezuelano, il litio andino, la falda acquifera del Guaraní e l’Amazzonia, tra gli altri, consentirà agli Stati Uniti di rimandare la risoluzione della transizione o addirittura, in un secondo momento, di raccogliere forze sufficienti per cercare di ristabilirsi come egemone unipolare.
In questo senso, diventa vitale per la costruzione stessa del multipolarismo rompere questo assedio e garantire l’emergere della Nostra America come polo geopolitico autonomo. Questo non è più rilevante solo per noi, ma anche per i poli emergenti se vogliono davvero seppellire le pretese egemoniche degli Stati Uniti.
Questo nobile obiettivo richiederà i nostri sforzi e le nostre alleanze con le potenze contro-egemoniche di altre civiltà.
La nostra America diventerà allora il campo di battaglia sul quale la testa del Drago sarà finalmente tagliata.
Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini