Correzione: la Serbia si è sparata in testa, non sui piedi

28.10.2024
Snobbando l'invito salutare della Russia e dei BRICS e dando priorità a impegni banali e dannosi rispetto a Kazan, la Serbia si è sparata in testa.

Naturalmente c'è molto interesse per l'elenco dei partecipanti al vertice allargato dei BRICS a Kazan, che si aprirà il 22 ottobre. Questi lavori sono di importanza critica perché nei decenni a venire getteranno le basi dell'emergente ordine multipolare che il mondo desidera. Questo è chiaro per ogni osservatore geopolitico. L'opportunità di partecipare non è solo una cortesia diplomatica, ma una necessità esistenziale per gli Stati interessati a sfuggire alle grinfie del tirannico imperialismo occidentale e a garantire un minimo di sovranità.

Decine di governi di tutto il mondo, provenienti da tutti i continenti, hanno riconosciuto questo fatto evidente e saranno rappresentati a Kazan. Ma c'è un assente di rilievo, il cui interesse nazionale sarebbe stato molto ben servito se fosse stato presente: la Serbia.

La Russia, presidente a rotazione dei BRICS di quest'anno, ha ripetutamente compiuto sforzi speciali per esprimere il suo vivo interesse ad ospitare la Serbia ai lavori di Kazan. L'invito non è stato un interesse personale da parte della Russia. La partecipazione al vertice e la mescolanza attiva con la folla ascendente dei BRICS andrebbero esclusivamente a beneficio del governo serbo. Oggi la Serbia è circondata da un vicinato ostile uniformemente allineato con l'asse delle potenze occidentali, il cui programma inflessibile è quello di distruggere i resti dello Stato serbo e di saccheggiare le risorse naturali e umane di una Serbia prostrata: la situazione è speculare alla posizione del Regno di Jugoslavia, di cui la Serbia era il componente centrale, nel 1941, quando anch'esso era circondato dalle potenze dell'Asse e dai loro protetti balcanici.

La differenza fondamentale è che il governo jugoslavo di allora non aveva letteralmente nessun posto dove rivolgersi per ottenere un sostegno efficace, perché l'Europa era sotto la completa dominazione dell'Asse. La Francia era stata sconfitta e occupata, l'Inghilterra era allo stremo, gli Stati Uniti erano ancora neutrali. La Jugoslavia aveva poche opzioni realistiche, poiché veniva spinta a perseguire quello che in quel periodo rappresentava il “futuro europeo”, ossia l'adesione all'Asse.

Oggi, il panorama geopolitico e il rapporto di forze nel mondo sono radicalmente diversi. Dal punto di vista politico, militare ed economico, esiste un contrappeso credibile alla risorta Asse. Ora è l'“Europa”, riconfigurata a immagine e somiglianza dell'ex Asse, ad essere in crisi. Paesi come l'Ungheria e la Slovacchia, che erano stati intrappolati nell'adesione alla NATO e all'Unione Europea, sono ora alla ricerca frenetica di modi per liberarsi da questi impegni dannosi e per riorientare le loro politiche e alleanze. Di pari importanza, la Turchia sta perseguendo una soluzione identica. Il suo Presidente sta guidando personalmente la delegazione del suo Paese al vertice di Kazan, avendo segnalato la sua intenzione di unirsi ai BRICS e al Consiglio di Cooperazione di Shanghai.

Non è invece il caso della miope Serbia. Il suo leader ha rifiutato in modo insultante l'invito che gli era stato rivolto a venire a Kazan, con la risibile motivazione che aveva un conflitto di programmazione con altre figure politiche (presumibilmente più significative) che era impegnato ad ospitare nello stesso momento in cui i leader BRICS meno importanti si riunivano a Kazan. Le persone in questione sono risultate essere Mswati III, Re dell'Eswatini (precedentemente conosciuto come Swaziland, come ricorderanno i collezionisti di francobolli) e il capo polacco del Collettivo Occidentale, Donald Tusk.

Con tutto il rispetto per l'indaffarato Re Mswati, non avrebbe potuto riprogrammare di qualche giorno la sua trionfale visita alla Serbia, fedele alleata dell'Eswatini, per accontentare il suo ospite serbo, supponendo che quest'ultimo non stesse solo trafficando con scuse banali, ma avesse davvero l'intenzione di andare a Kazan?

Il conflitto di programmazione causato dall'arrivo di Donald Tusk è una questione diversa. Per il regime serbo l'incontro con Tusk ha un interesse più che semplicemente filatelico. Non per la posizione formale di Tusk come Primo Ministro della Polonia, Stato di prima linea della NATO, ma per ragioni di maggior peso.

Ci sono molti indizi che indicano che già ai tempi in cui era studente a Danzica, nei primi anni '90, Tusk sia stato selezionato come un “giovane leader” promettente. La sua ascesa fulminante nella politica polacca, la permanenza quasi ininterrotta nel Parlamento polacco e diversi periodi come Primo Ministro, culminati con un mandato come Presidente del Consiglio d'Europa (2014 - 2019), nonostante una modesta dotazione intellettuale e paragonabile a quella di Josep Borrell, testimoniano l'alta considerazione in cui Tusk è tenuto dai burattinai globalisti per la sua lealtà e utilità.

Quindi, ovviamente, Tusk non arriverà a Belgrado per fare due chiacchiere con la sua controparte serba, ma per impartirgli i suoi ordini di marcia. Parafrasando Don Corleone, questa è una visita mafiosa che non può essere rifiutata.

Ma potrebbe esserlo, naturalmente, se solo esistessero spina dorsale e patriottismo. Anche l'interesse personale illuminato, supponendo che degli avidi idioti ne siano capaci, avrebbe potuto essere sufficiente a fare il trucco.

Dal colpo di Stato dell'ottobre 2001, tuttavia, queste qualità sono state deliberatamente e sistematicamente eliminate dai ranghi della leadership politica serba. Nell'ultimo quarto di secolo, la Serbia è stata trasformata in una zona coloniale asservita all'Occidente collettivo. È governata da un'agentur autoctona che è stata accuratamente selezionata e curata, completamente corrotta, autorizzata e incoraggiata a rubare, soggetta a ricatti e installata per governare per conto e a beneficio dei suoi curatori stranieri. La sua lealtà è verso i suoi mentori e padroni, non verso il suo Paese. Questa è la semplice chiave per comprendere correttamente la politica serba.

Ai leader serbi, venali e ottusi, è stata offerta un'opportunità storica per abbandonare le loro politiche catastrofiche concepite intorno all'integrazione della NATO e al salto sul Titanic dell'Unione Europea. Finora, non hanno dimostrato alcuna capacità politica di valutare in modo maturo dove potrebbero trovarsi i loro interessi a lungo termine, anche se, come si sospetta, non hanno a cuore gli interessi del loro Paese e del loro popolo.

L'ultima volta che abbiamo affrontato questo argomento, ci siamo espressi con troppa moderazione, suggerendo che la Serbia si era data la zappa sui piedi. No, è molto peggio di così: snobbando scortesemente l'invito salutare della Russia e dei BRICS e dando priorità a impegni banali e dannosi rispetto a Kazan, la Serbia si è sparata in testa.

Pauvres Serbes, come i francesi li chiamavano con condiscendenza durante la Grande Guerra. Questa nazione merita davvero di essere governata da tale feccia? Ma con la loro acquiescenza gliela fanno passare liscia, non è vero?

Articolo originale di Stephen Karganovic:

https://strategic-culture.su/

Traduzione di Costantino Ceoldo