Guerra e geopolitica. Il nodo è il Vicino Oriente

La Terra contro il Mare? E sono-siamo già in guerra? L’articolo di Alexander Dughin (“Verso una Grande Guerra”: tradotto e pubblicato da Rinascita questo 18 dicembre, ndr) è di eccezionale levatura morale, perché richiama il lettore a un imperativo etico, quello di difendere l’umanità del XXI secolo dagli assalti della mercantilizzazione a 360 gradi che sta travolgendo ogni aspetto della vita quotidiana dell’uomo, e dell’uomo occidentale in particolare. Ma non mi convince. Mi convince per quanto appena detto, ma non nelle premesse “geopolitiche” e in quella che, sia pure sfumata nella parte finale, appare una certezza: sarà guerra, e mondiale.

Se l’heartland si fosse spostato in Medio Oriente …

L’analisi di Dughin dei vari scacchieri in cui articolare la crisi mediorientale è precisa: ma incastonare tutti questi eventi e in generale la fase storica che stiamo attraversando nello schema geopolitico della contrapposizione tra civiltà della Terra e civiltà del Mare, tra uomo etico e uomo mercante, mi pare operazione datata che non vuol cogliere quanto meno le differenze tra l’epoca in cui questa teoria cominciò a diffondersi, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, e la realtà odierna, caratterizzata da un grandioso sviluppo tecnologico nel campo bellico, dei trasporti aerei, delle comunicazioni. L’epoca del geografo Friedrich Ratzel, che alcuni vogliono essere stato il padre fondatore della geopolitica, e poi dell’inglese Halford MacKinder e del generale tedesco Haushofer, fino al grande Carl Schmidt, da una parte aveva alle spalle la memoria storica della disastrosa sconfitta della Francia post-rivoluzionaria in Russia – nelle cui steppe infinite la geografia la vinceva di gran lunga sull’uomo, foss’anche un generale e stratega della stazza di Napoleone – dall’altra si caratterizzava per uno sviluppo tecnologico ancora debole, e comunque parziale rispetto a quello di un secolo dopo. La luce elettrica appena agli inizi, la recente scoperta del petrolio come fonte di energia; le ferrovie con alle spalle qualche decennio di storia, come le navi a vapore, il ticchettio del telegrafo senza fili come prima forma veloce di comunicazione, il tutto nell’epoca dei nazionalismi ottocenteschi giunti al loro apice, con le loro ‘esigenze’ egemoniche, o con la nuova flotta della tellurica Germania che, alla vigilia della prima guerra mondiale minacciava la potenza navale della talassocrazia inglese….

Oggi quel mondo è scomparso. Si è perciò sicuri che oltre le ‘forme’ mutevoli della Storia si mantengano intatte le permanenze della Geopolitica quale pensata nei primi decenni del Novecento? Putin va alla guerra, ma nel Medio Oriente: l’Heartland del pianeta, teorizzato nel cuore della Russia quando ancora esistevano gli Imperi Zarista e Ottomano, non si è forse spostato nel Vicino e Medio Oriente, con le sue proiezioni quasi in ogni angolo del pianeta, dal terrorismo stragista in Europa al lobbismo delle varie diaspore, dalle guerre africane, ai missili della Georgia puntati nel 2008 sull’Iran, dal Venezuela allo Zimbabwe, dall’Indonesia al Pakistan?

La teoria geopolitica di Mackinder, in effetti, difficilmente appare riproponibile nei termini in cui fu elaborata. Il rapporto tra geografia e Politica, e Relazioni internazionali, e Storia – secondo l’accezione più ampia del termine geopolitica proposta da De Benoist – andrebbe vagliato secondo l’epoca, ciascuna segnata da un diverso livello di sviluppo della capacità dell’uomo di ‘dominare’ la natura, e dunque dall’emergere di una soggettività umana e più propriamente ‘politica’ sui condizionamenti dell’ambiente geografico in cui egli opera. 

Geografia e Storia: oltre le Relazioni internazionali, molteplici interpretazioni

Nel passato, determinismi assoluti a parte, la geografia ha contato molto. La storiografia ha più volte cercato di spiegare il peso dei fattori geografici per intere fasi storiche e per processi anche culturali di estensioni continentali. L’Africa è rimasta isolata per millenni, ha scritto Braudel, a causa di due deserti – il Sahara a Nord, e il Kalahari a sud – e di due Oceani, a ovest e ad est: e questo può spiegare buona parte della sua arretratezza al momento dell’impatto con la civiltà europea ai tempi di Enrico il Navigatore. All’interno dei confini del continente, c’era poi la mosca tzetze: a questo piccolo ma micidiale insetto ha dedicato qualche pagina la monumentale Storia dell’Africa dell’UNESCO (anni Sessanta e Settanta), evidenziando come la sua presenza nella maggior parte dell’Africa centromeridionale, non solo ha impedito alla religione ‘nomade’ musulmana di penetrare al di là della savana nelle zone forestali del Golfi di Guinea e di tutto il continente (tranne la costa orientale sul Mar Rosso) ma ha anche privato i popoli neri della relazione, a volte conflittuale a volte simbiotica, tra nomadismo pastorale e sedentarismo agricolo, che aveva caratterizzato in epoca antica molte civiltà euroasiatiche.

La dialettica nomadismo-sedentarismo, evidente proiezione di due ecosistemi diversi, è stata poi vista come una chiave di lettura necessaria per capire i lineamenti generali di interi periodi storici: così il filosofo e diplomatico arabo Ibn Kaldhoun, vissuto nel XIV secolo, non a caso l’epoca dell’invasione Mongola del Vicino Oriente; e così nientemeno che Kautsky, che cercò di applicare alla dialettica nomadi-sedentari la visione marxiana dei rapporti tra le classi.

Ma la geografia avrebbe condizionato Xavier De Planhol anche la religione cristiana. Deserto e terre fertili, nomadismo pastorale e sedentarismo agricolo è stato – per chiudere gli esempi – il doppio binomio geografico e umano, usato da questo geografo del secolo scorso, per spiegare l’espansione del cristianesimo nelle regioni fertili dell’Europa occidentale e dell’Abissinia, e quella dell’Islam ai loro confini, impenetrabili secondo De Planhol, vedi la vittoria di Carlo Martello a Poitiers e i falliti assalti all’altopiano agricolo-sedentario da parte delle popolazioni nomadi della fascia costiera del Corno d’Africa. 

Le comunicazioni con la Russia, le rivoluzioni colorate e l’espansione dell’Islam nell’Africa sub sahariana

Schematismi a parte, che non possono esaurire l’analisi articolata del divenire storico, oggi, comunque, nessuno di questi fattori e ostacoli regge di fronte all’evoluzione tecnologica dell’ultimo secolo, o almeno degli ultimi decenni: la distesa senza fine della Russia ai tempi di Napoleone o di Stalin, è dotata oggi di infrastrutture tali da rendere più facile un’invasione, tanto più che le rivoluzioni colorate (basate sull’uso spregiudicato e menzognero della tecnologia della rete) hanno permesso all’oltranzismo occidentale di accerchiare Mosca ben oltre i vecchi confini dell’Impero zarista e dell’URSS di Stalin. Quanto all’Islam, esso non marcia più con le carovane mercantili dei traffici di lunga distanza, ma in tempo reale sui binari di internet, o attraverso la televisione o con gli aerei, o con gli automezzi capaci di attraversare i deserti. Nell’Africa a sud del Sahara l’Islam contava nel 2010 ben 234 milioni di seguaci (fonte Osservatore romano, 17 aprile). In Europa i musulmani sono diventati una minoranza notevole a causa di una immigrazione senza regole, di cui è difficile non vedere un meccanismo anche di programmazione a fini di destabilizzazione degli Stati europei. Soggettività perversa, ma pur sempre “politica”.

Da una parte dunque le trasformazioni tecnologiche create dall’uomo, e dall’altra la globalizzazione, un fatto reale, che rischia di mercantilizzare tutto il pianeta, anche in settori un tempo capaci di contrasto – vedi la precarietà del lavoro e le nuove regole di valutazione della ricerca dell’Anvur nel mondo dell’istruzione, legate a logiche di mercato editoriale – e di proposizione di un modello di uomo ‘nuovo’. La at delle mail, oggi utilizzate in ogni angolo del mondo, sarebbe un segno dei libri di conti dei mercanti veneziani di secoli fa: come dire, le vostre idee marciano sui nostri binari, nella rete informatica che abbiamo inventato e via via ampliato, fino a introdurre, magia eccezionale, la moneta elettronica … 

Soggettività e divisioni della Politica a Est e a Ovest

Ma proprio a questo punto può fare il suo ingresso il discorso della soggettività, a contrasto del determinismo geografico e del fatalismo indotto da un’applicazione ripetitiva del binomio Terra-Mare: come nel campo dei grandi motori di ricerca della rete, su cui già nel 2014 il presidente russo – ben più piazzato di Chirac, che provò la stessa cosa per la Francia senza riuscirvi – teorizzò la necessità della costruzione di una rete alternativa a quella oggi dominata tutta da proprietari dello stesso tipo – un remake in rete del modello cinematografico hollywoodiano, con i suoi pregi, le sue possibili aperture ‘liberali’ ma anche, su certi temi e in molti casi, i suoi controlli e le sue censure, così, sul terreno dell’alternativa tra guerra e pace, nulla può darsi allo stato attuale per scontato e per fatalisticamente ineludibile. 

La guerra di Putin in Siria è contro il terrorismo, nel rispetto del diritto internazionale che recita al di là di ogni dubbio che Assad è il legittimo presidente della Siria. E’ una guerra che avanzando fa avanzare la possibilità di pace. La guerra mondiale – di cui si parla da tre anni – invece ancora non c’è. Ci sono le provocazioni della Turchia, quella ancora più temibile dello stesso Israele che violando lo spazio aereo siriano ha ucciso pochi giorni fa un rappresentante di Hezbollah a Jaramana, Damasco, cosicché Tel Aviv sta saggiando – dopo l’incontro Putin-Netanyahu e rispettivi ministri della difesa, e il monito preventivo del presidente russo che l’esercito russo potrebbe anche utilizzare armi atomiche – quello che resta un suo nemico, una Russia che difende l’odiato Assad, capo di stato non solo pro-cristiano ma che continua a pensare ancora alla restituzione del Golan occupato da Israele nel lontano 1967. 

D’altro canto, Europa e America non sono un monolite: lo storico accordo sul nucleare iraniano dimostra che l’Occidente è capace di prendere le distanze dai corifei israeliani e pro israeliani della guerra e dell’odio tra i popoli. Ed ecco che Putin corteggia un Obama il cui curriculum è diverso da quello dei lobbisti repubblicani e democratici (in primis la Clinton), e non solo per il discorso de Il Cairo del giugno 2009. Obama ha respinto le sirene della guerra alla Russia e all’Islam varie volte, la piu importante nel 2013, quando in tanti parlavano già di guerra mondiale e lui segui invece l’invito del magico consigliere che lo convinse a non attaccare la Siria. Certo, le sue battute sono ondivaghe e sicuramente la partita ancora è aperta a ogni esito. Ma il documento del Consiglio di Sicurezza del 19 dicembre 2015 rappresenta un nuovo importante segnale positivo: che l’invio da parte della NATO di navi da guerra “a difesa della Turchia” sia una minaccia verso la Russia, è allo stato presente delle cose l’unica lettura possibile, e sarebbe assurdo vedervi un monito di Stoltenberg anche nei confronti di Erdogan (questa ipotesi – che sembrerebbe confortata dalla notizia della decisione del Pentagono di ritirare 12 F 15 dalla Turchia – presupporrebbe l’esistenza di falchi e moderati anche dentro l’Alleanza atlantica); ma è un fatto che quel documento, come sottolineato da tutta la stampa internazionale, non prende posizione sul “caso Assad”, e questo apre la porta a una possibile più avanzata risoluzione delle Nazioni Unite in direzione condivisa di una guerra totale al Daesh e alla sua strategia del caos.

Parlare perciò di guerra mondiale ormai in atto, e sorvolare sui conflitti interni all’Occidente creando fatalismo e rassegnazione, rischia di disarmare le opinioni pubbliche occidentali e paradossalmente, al di là delle encomiabili intenzioni, di portare l’acqua al mulino di chi sta tramando per provocare in Medio Oriente o in quale che sia angolo del mondo la scintilla di un conflitto mondiale.