Danilo Pagliaro: io sono un Legionario

27.12.2019
È impossibile dare una risposta univoca sul perché molti uomini in passato abbiano cercato e cerchino ancora oggi, ai giorni nostri, di arruolarsi nella Legione Straniera francese. Una risposta, cioè, che vada bene per ogni tipo umano che abbia cercato di entrare tra i ranghi della Legione nei quasi due secoli della sua esistenza. 
 
La Legione Straniera ha infatti una natura poliedrica: formalmente non è che un ramo delle forze armate francesi, inquadrato nell’apparato militare francese. Malgrado la sua natura di corpo d’elite, riconosciuta fin dalla sua fondazione nel lontano 1831, la Legione è sempre stata un’arma flessibile e potente che lo Stato francese non ha mai esitato ad impiegare dove e quando gli interessi della Francia lo richiedessero. La Francia ha goduto del suo impero coloniale e la Legione ha contribuito a crearlo e a mantenerlo in vita dando prova di grande valore e spirito di sacrificio, ma spesso subendo perdite immani.
 
Tuttavia, la Legione ha anche un’altra caratteristica, un qualcosa che la rende unica ed ha contribuito sia alla sua indubbia efficacia che al suo alone epico quanto e forse più delle mille battaglie che la Storia le ricorda. La Legione Straniera infatti è sempre stata anche un gigantesco serbatoio di umanità, eccezionalmente disciplinata a fortiori, dove i più diversi tipi umani si sono ritrovatati accumunati dal desiderio o dalla necessità di ricominciare da capo una vita che aveva preso una piega insoddisfacente quando non completamente sbagliata.
 
Da che esiste, la Legione Straniera francese ha offerto una seconda opportunità a coloro che vi si arruolavano, una seconda casa, una seconda famiglia e moltissimi ne hanno approfittato rifacendosi una vita che il destino aveva rovinato o distrutto, o semplicemente castrato.
L’aristocratico russo esule e in miseria perché in fuga dalla rivoluzione bolscevica ha potuto così trovarsi come compagni di branda il belga affamato che non aveva più né lavoro né cibo né famiglia, l’italiano in fuga da debiti di gioco impossibili da ripagare, l’americano che cercava solamente l’avventura perché accecato dalla giovinezza dei suoi venti anni. Tutti resi uguali da un antidemocratico ma assolutamente necessario egualitarismo realizzato con una disciplina ferrea che a fatica si è addolcita un po’ (ma solo un po’) nel corso dei decenni.
 
La Legione Straniera quindi anche come scuola di vita, oltre che arma da guerra, una conseguenza che non era né voluta né cercata ma che si è imposta naturalmente, come conseguenza della sua intrinseca natura.
 
Anche l’Italia ha la sua legione, ma non straniera. Ahimè… indigena. 
 
La nostra è la legione (volutamente scritto in piccolo!) dei bimbiminkia che sempre più sono dominanti non solo nel nostro amato ma sventurato Paese ma, purtroppo, anche nel resto nel mondo occidentale.
 
È una legione in cui non sono previsti né limiti di età all’arruolamento né data di congedo; le caratteristiche fisiche sono ininfluenti; qualità come coraggio, ardore, lealtà sono motivo di mancato arruolamento e di rapido allontanamento nel poco probabile ma comunque malaugurato caso in cui il legionario de noantri le possa sviluppare, anche contro la propria volontà, perché folgorato da un esempio superiore. 
 
In questa legione di disperati imbelli (che sono però convinti di essere esattamente il contrario, di rappresentare, cioè, l’avanguardia di un radioso futuro latte e miele) il cinquantenne pigro ma impettito sul suo monopattino elettrico con le batterie al litio si ritrova accanto il piccolo diversamente etero che mi abbaia contro su Facebook ostentando nella sua foto di profilo dei bottoni alle orecchie e un anello bovino al naso, la pasionaria dei centri sociali che durante una manifestazione latra contro il sistema mezza ubriaca di birra e dall’alto del proprio impiego statale, il minus habens alla moda che raglia di accoglienza e confini aperti perché così la droga gli arriva più facilmente, magari assieme a qualcosa d’altro di più maschile.
 
È una legione, questa, trasversale alle classi sociali, ai partiti politici, alla religione: è la legione degli imbecilli che non si amano, di quelli che ripudiano la guerra quando la guerra non ha affatto ripudiato loro (come ha già scritto qualcuno più saggio di me), di quelli che vivono di slogan e luoghi comuni. 
 
È la legione di tutti quelli che stanno svendendo l’Italia allo straniero, chiunque esso sia, incuranti delle proprie azioni, la cui portata comunque non capiscono fino in fondo.
 
E poi, poco oltre confine, c’è un Legionario francese in congedo, quel Danilo Pagliaro di origini italiane che oramai al termine della propria carriera militare nel 2016 scrive Mai avere paura [1], un primo libro di memorie sul suo passato in Legione e il cui titolo è già una bestemmia per i legionari nostrani da tastiera e per una certa stampa faziosa ed improvvisata che, a suo tempo, travisando completamente i motivi che hanno spinto Pagliaro a scrivere, ha dimostrato una volta di più di vivere altezzosa su un inesistente ponte arcobaleno in compagnia di gattini ed unicorni rosa.
 
Nel 2018 Pagliaro scrive La scelta [2], in cui ribadisce il suo punto di vista, la sua visione della vita, il suo modo di intendere il coraggio, l’onore, la lealtà, il suo essere un Legionario.
 
In un momento particolare della mia vita, meno di sei mesi fa, mi sono sentito dire che un giuramento lascia il tempo che trova, io che ne avevo fatto uno di sangue per poter accedere agli insegnamenti della Via della Spada. Ho chiesto a Pagliaro cosa pensasse di quanto mi era appena stato detto. La sua risposta è stata lapidaria: “io cambierei giro di amicizie”. L’ho fatto.
 
C’è un motivo se, come afferma Pagliaro, tra il 2001 e il 2007 ha disertato il 100% degli italiani arruolati in Legione Straniera e assegnati al Primo Reggimento Straniero di Cavalleria ad Orange. Non è certo un motivo onorevole perché, a scavare neanche tanto in profondità sotto la superficie, si capisce che risiede in quella deriva autodistruttiva della nostra società che porta molti italiani a mancare volutamente al proprio dovere per cercare vie più brevi e facili ma, proprio per questo, illusorie. Sempre autoassolvendosi e, come in questo caso, minacciando querele se qualcuno li chiama disertori.
 
Che cosa spinge dunque un uomo rispettabile con un lavoro rispettabile, una moglie e dei figli, ad arruolarsi a 36 anni nella Legione Straniera francese sobbarcandosi, giovane ma non più giovanissimo, un tale carico di fatiche e doveri da rischiare di ritrovarsi spezzato per sempre, gettare la spugna e scappare lontano? 
 
Ce lo dice lo stesso Danilo Pagliaro, che ho intervistato pochi giorni fa, con le sue parole cariche di ardore e passionalità.
 
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