La guerra dei russi vista dall’ultima ruota del carro
Dopo aver raggiunto l’estrema frammentazione o, secondo Plotino, la Pluralità, il Postmoderno, in tutte le sue forme anti-postmoderne, si è convinto dell’impossibilità di riunirsi in Uno: anche qui ha commesso un errore fatale.
Durante la maledetta guerra dei cinque giorni a Tskhinvali ci fu un incidente: un nonno georgiano, un contadino, gridò terrorizzato a un soldato russo “Non sparare, figlio, forse sono tuo padre!
I testimoni oculari hanno raccontato che negli occhi dell’anziano c’era paura, non per se stesso, ma per la tragedia biblica del figlio che uccide il padre. Forse, ricordando i decenni in cui trasportava mele nel sud della Russia, e ricordando qualche legame vizioso della sua giovinezza con una donna del luogo, sospettando di avere un figlio da lei, gridò queste parole impulsivamente. Altrimenti, difficilmente avrebbe osato pronunciarla a rischio della propria vita, nel caso in cui la possibile interpretazione di questa esclamazione da parte del soldato fosse una presa in giro nei suoi confronti.
Questo incidente mi rivelò già allora la grande profondità e ampiezza delle ragioni del comportamento delle persone in guerra, che chiamerei Genesi all’interno del Logos della guerra.
L’ho provato io stesso diverse volte: quando sono stato ucciso dai soldati il 9 aprile 1989, durante la guerra civile fratricida a Tbilisi, quando i miei genitori, mia sorella e io siamo rimasti sdraiati a terra per otto ore sotto i proiettili che entravano in casa nostra, quando la nostra casa è stata bruciata e quando abbiamo vissuto a Tskhineti insieme a migliaia di persone esauste e umiliate, E nel 2008, quando ho dovuto evacuare la mia famiglia dalla Georgia all’Azerbaigian nella notte del 12 agosto per evitare di essere costretto a collaborare con l’esercito russo in caso di rovesciamento del regime maniacale di Saakashvili.
In tutta questa amara esperienza civile, credo di non essere l’unico, si è accumulato un residuo particolare che influenza il mio punto di vista sulle vere, per come le intendo io, cause delle guerre, sulle regole della loro condotta e sulle ragioni della loro fine.
Penso che a volte questo punto di vista si discosti talmente tanto da tutto ciò che viene pronunciato e spiegato nella società odierna da risultare incomprensibile alla maggior parte dei lettori di questa lettera, cosa che sicuramente mi dispiace.
Tuttavia, nonostante il mio sincero e profondo desiderio di non offendere nessuno, non posso esimermi dall’esprimerlo, perché mi struggo di vuoto ascoltando le possibili spiegazioni del perché i Grandi Russi e i Piccoli Russi, o come si chiamano oggi – Russi e Ucraini, sono in guerra.
Il linguaggio stesso, a cui ora devo passare, è in forte dissonanza con i paragrafi precedenti, a causa del suo contenuto poetico-filosofico, che non ho né l’energia né la voglia di enunciare nella moderna lingua franca: forse a causa del continuo e difficile processo di guarigione da due malattie terminali simultanee, che mi hanno stranamente colpito l’anno scorso, subito dopo il mio sgradito ingresso nella politica georgiana.
Nella Postmodernità, che si sta consumando sulle ceneri della Modernità, l’oggetto della principale rapina dell’uomo è una morte dignitosa. Dopo aver sventrato l’umanità, il moderno e il postmoderno le hanno sorprendentemente sottratto la cosa più importante: il senso stesso della vita.
Trasformando una versione perversa di questo stesso Senso della Vita in interpretazioni patetiche come la longevità e la qualità dei beni e dei servizi consumati, il Matriarcato urbano-centrico ha fatto a pezzi i resti del Patriarcato rurale-centrico, che si è spento negli ultimi quattro secoli nell’epicentro della cancrena dell’umanità, nella civiltà occidentale, e ha iniziato a divergere in cerchi più o meno concentrici (a seconda della qualità della resistenza a questa decadenza) da culture diverse.
Probabilmente nessuna cultura può vantarsi di essere completamente indenne da questo marciume, e ognuna cerca di resistere come può. I russi (grandi, piccoli o bianchi che siano) sanno come combattere. Probabilmente meglio di chiunque altro. È bello quando si definiscono il popolo più pacifico del mondo e spiegano che hanno la maggior parte del mondo per caso o per coincidenza, ma il fatto che la guerra sia il loro elemento principale, ogni non russo lo sa o lo intuisce.
Affrontando l’entropia del Moderno e del Postmoderno per mezzo della guerra, i russi, avendo unito la battaglia tra le loro due ipostasi, il Grande Russo e il Piccolo Russo, hanno creato una cupola salvifica intorno a sé, all’interno della quale nascono per il Postmoderno in un omicidio reciproco.
Il fatto che gli ucraini siano anche russi si vede non solo dalla qualità della loro opposizione ai Velikoross, cioè ai russi, ma proprio da questo confronto con il cielo chiuso loro dagli aerei in campo aperto: che alcuni talebani sulle montagne di Tora-Bora, o caucasici nel Caucaso, possano combattere con il cielo chiuso loro, riparandosi sulle montagne, ma in campo aperto lo possono fare solo i russi.
Tra l’altro, una volta che alcuni mercenari di tutto il mondo si trovano in queste condizioni, basta un missile da quello stesso cielo chiuso perché si riducano in cenere, piagnucolando in video selfie. Allo stesso tempo non si tratta di un fenomeno etno-genetico: anche altri gruppi etnici combattono dalla parte dei Velikorossi e dei Piccoli-Rossi, ma a condizione che appartengano al Logos della civiltà russa.
Qui, invece, il calpestio in piedi e impaziente dei bielorussi, privati dell’opportunità di raggiungere una morte dignitosa, appare particolarmente carino l’uno accanto all’altro.
Qualcuno, stupefatto da Modern, considererà una sciocchezza che i consumatori sono uguali ovunque, che nessuno vuole combattere e che alcuni autarchi e rappresentanti dell’élite sono in guerra qui. Qui l’autarchia e l’élite sono finalmente costrette a obbedire alla voce profonda del Logos del Popolo, che, inconsapevolmente, mentre sgranocchia crauti e beve birra vicino a un bar, è desideroso di non diventare come il consumatore occidentale, androgino e senza sesso, e quindi non solo vuole, ma con voce squillante chiede una guerra, in mancanza di una migliore, anche con se stesso.
“Ma questa è l’interpretazione del cannibalismo!” dirà qualcuno, offeso. Sì, quando l’altro viene portato via, è anche una forma di sottrazione di carne e sangue necessari.
Una prova particolare e concreta di questo desiderio reciproco di rinnovamento dell’Essere all’interno del Logos della guerra è rappresentata dalle innumerevoli occasioni di evitamento da parte della Grande e della Piccola Russia negli anni passati, su cui entrambe le parti volevano (e hanno) sputare.
La brutale istigazione degli anglosassoni non conta in questo caso, i kartveliani ne sono a conoscenza quanto i russi, ma delle vere cause della guerra russo-cartveliana, finora inedita, parleremo un’altra volta.
Qui stiamo parlando di qualcos’altro, del processo più interessante di risoluzione dell’inconscio collettivo all’interno del Logos essenzialmente unito dei rossisti: l’auto o la combustione reciproca per infernalizzare la fine del puzzolente Postmoderno occidentale, e dalle sue ceneri risorgere insieme, come fusione rossista unita per il Postmoderno.
Per gli anglosassoni la guerra è un costo, e un costo di tutto: denaro, vite umane, armamenti, economie. Per i russi la guerra è la patria, perché nessun altro al mondo ha questa espressione.
Mentre indebolisce i russi in tempo di pace, l’Occidente, una volta ogni cento anni, a causa della sua avidità di materia, non resiste alla tentazione di prendere i russi indeboliti dalla pace e di entrare in guerra. E viene inevitabilmente respinto dai russi, che rinascono in guerra.
L’Occidente diventa più astuto di secolo in secolo, e oggi ha ingannato persino se stesso: resosi conto dell’invincibilità dei russi per molto tempo in seguito alla seconda guerra mondiale, li ha finiti con la “guerra fredda” e li ha quasi completamente imbalsamati con il mondo filisteo dopo la sua fine.
Ma anche in questo caso non riuscì a resistere e decise di riprovare a finirli, ora con lotte intestine, pensando di “salvare” almeno il proprio sangue, se non altre spese. Ma questo è tutto ciò di cui i russi avevano bisogno, stavano combattendo faide e, invisibili all’Occidente, hanno iniziato a rianimarsi a vicenda.
Solo Kissinger, che sembra aver visto qualcosa nei suoi 99 anni, ha suggerito quello che io ho inteso come un grido di disperazione: togliere dalle mani dei russi la principale arma di rafforzamento, la guerra. Fate qualsiasi cosa, dividete lo Stato ucraino, qualsiasi cosa, ma fermate gli elementi, che ancora una volta abbiamo deciso che li avrebbero indeboliti (e ancora una volta abbiamo dimenticato che li ha solo rafforzati).
Le manifestazioni di questo rafforzamento dei russi nella guerra sono molteplici: La fuga da entrambe le capitali dei Ross dei consumatori e dei rappresentanti della “quinta colonna”; il rinnovamento degli arsenali militari; la liberazione di entrambi i sistemi dai feudi della Fed; la riduzione del peccato in queste terre durante la guerra; l’aumento della rettitudine da entrambe le parti come conseguenza delle grandi sofferenze; la completa denudazione e svergognatura degli spaventapasseri occidentali, così importanti descritti negli ultimi decenni; e un completo riavvio del miraggio della matrice in quanto tale, un annullamento del gioco, un vero Grande Reset come nessuno degli “Schwab” ha mai sognato. In breve, un disastro completo per l’Occidente.
In confronto a questo, l’odio reciproco e sincero delle parti in guerra, così come il patriottismo sincero con cui conducono questa guerra da entrambe le parti, anche questo non è nulla. Perché tutto lo spazio che i russi abitano viene distrutto dalla melma della postmodernità, che puzza di cadavere.
Non sappiamo cosa emergerà al posto del fuoco, ma qualunque cosa sarà, sarà l’antitesi del Postmoderno, che nella sua natura caotica e illogica, si è apparentemente convinto che nessun’altra strada sia possibile.
Avendo raggiunto l’estrema frammentazione o, secondo Plotino, la pluralità, egli, in tutte le sue antipostesi, si autoconvince dell’impossibilità di riunirsi nell’Uno: e qui commette un errore fatale. Egli, infatti, ha ripetuto il suo stesso errore durante la bastonatura dei 14.000 neonati di Betlemme, decidendo, ascoltando il lamento di Rachele, che ella non voleva davvero essere consolata.
E infine diciamo la cosa principale nel prossimo crollo del Moderno e del Postmoderno: la rieducazione dei giovani. L’inevitabile rapimento attuale della gioventù da parte dell’urlo pacifista del Postmoderno, che viene assassinato nella Piccola Russia, sarà col tempo sostituito dall’inevitabile realizzazione della falsità di questo urlo. E questo cambiamento non avverrà solo nello spazio dei russi, ma in tutto il mondo. È allora che il postmoderno si troverà in difficoltà. Rimarrà, ovviamente, ma ora dovrà rifugiarsi ai margini della geografia, dimenticare l’egemonia e iniziare il processo di auto-miglioramento, dal quale difficilmente riuscirà.
Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini