La civiltà come strumento discorsivo della politica occidentale

25.02.2019

Estratto dal libro di prossima pubblicazione sulla Multipolarità

La nozione di civiltà fu introdotta nella vasta circolazione accademica alla fine del XVIII secolo dal filosofo scozzese Adam Ferguson, che intendeva con ciò lo stadio di sviluppo della società umana caratterizzata dall'esistenza di classi sociali, città, scrittura e altri fenomeni. Le fasi precedenti, secondo questo pensatore, sono la ferocia e la barbarie. Nel suo Saggio sulla storia della Società Civile, Ferguson ha osservato: “Questo progresso nel caso dell'uomo è continuato in misura maggiore rispetto a quello di qualsiasi altro animale. Non solo i progressi individuali dall'infanzia alla virilità, ma la specie stessa dalla maleducazione alla civiltà.” [1] Un approccio simile fu successivamente adottato da molti studiosi, specialmente in epoca sovietica, a causa del fatto che questa opinione era sostenuta da Friedrich Engels. Questo imperativo esercita influenza fino ad oggi, da cui espressioni come “approccio civilizzatore” e “società civilizzata”, ecc. Nello stesso periodo, un'idea simile è stata espressa dallo studioso inglese John Boswell.

Il sociologo tedesco Norbert Elias sosteneva che il concetto di civiltà “esprime l'autocoscienza dell'Occidente” e: “Con questo termine la società occidentale cerca di descrivere ciò che costituisce il suo carattere speciale e ciò di cui è orgoglioso: il livello della sua tecnologia, la natura dei suoi modi, lo sviluppo delle sue conoscenze scientifiche o la visione del mondo e molto altro.[2] Elias osserva inoltre:

Ma “civiltà” non significa la stessa cosa per le diverse nazioni occidentali. Soprattutto, c'è una grande differenza tra l'uso inglese e francese della parola, da un lato, e l'uso tedesco di essa, dall'altro. Per i primi, il concetto riassume in un unico termine il loro orgoglio per il significato delle proprie Nazioni per il progresso dell'Occidente e dell'umanità. Ma nell'uso tedesco, Zivilisation significa qualcosa che è davvero utile, ma tuttavia solo un valore del secondo rango. [3]

Come è caratteristico della scuola tedesca, Elias condivide le distinzioni di Spengler tra cultura e civiltà, suggerendo che la civiltà significa un processo o, per lo meno, il risultato di un processo. Se la civiltà “minimizza” le differenze nazionali, nella misura in cui il “concetto di civiltà ha la funzione di dare espressione alla tendenza continuamente espansiva dei gruppi colonizzatori, il concetto di Kultur rispecchia l'autocoscienza di una Nazione che doveva costantemente cercare e costituire di nuovo i propri confini, in un senso politico oltre che spirituale, e ancora e ancora ha dovuto chiedersi: qual è realmente la nostra identità?" [4]

Esaminando le origini del contrasto tra cultura e civiltà, Elias cita l’ “Idea per una Storia Universale da un Punto di Vista Cosmopolita” di Kant del 1784, che recita: “L'ideale della moralità appartiene alla cultura; il suo uso per un qualche simulacro di moralità nell'amore per l'onore e il decoro esteriore costituisce una mera civiltà.” In altre parole, secondo Kant, la civiltà è un tipo speciale di comportamento, anche se è creata artificialmente con lo scopo di legittimare lo status sociale.

La sociogenesi della nozione di “civiltà” è vista in modo analogo in Francia. “La prima prova letteraria dello sviluppo della parola civilizzatore nel concetto di civiltà si trova, secondo le scoperte dei nostri giorni, nel lavoro del più maturo Mirabeau nel 1760.” [5] Maribeau scrisse:

Mi meraviglio di vedere come le nostre opinioni apprese, false su tutti i punti, siano sbagliate su ciò che consideriamo essere civiltà. Se ci si chiedesse quale sia la civiltà, la maggior parte delle persone risponderebbe: ammorbidire i modi, l'urbanità, la gentilezza ed una diffusione della conoscenza in modo tale che la proprietà sia stabilita in luogo delle leggi del dettaglio: tutto ciò che solo mi presenta con la maschera della virtù e non il suo volto e la civiltà non fa nulla per la società se non le dà sia la forma che la sostanza della virtù.

Elias riassume così:

Concetti come politesse o civilté avevano, prima che il concetto di civiltà si formasse e si stabilisse, praticamente la stessa funzione del nuovo concetto: esprimere l'immagine di sé della classe superiore europea in relazione ad altri che i suoi membri consideravano più semplici o più primitivi ed allo stesso tempo per caratterizzare il tipo specifico di comportamento attraverso il quale questa classe superiore si sentiva diversa da tutte le persone più semplici e più primitive. [6]

Questo, notiamo, significa che le persone dello stesso Stato o Nazione sono state viste come “barbari” arretrati agli occhi dei circoli aristocratici e borghesi. Se prima la classe superiore in tutte le regioni d'Europa si è fondamentalmente opposta agli strati inferiori, le “folle”, dopo l'epoca delle rivoluzioni borghesi, è emersa l'idea che tutta la società potesse essere “completata” e portata allo stato di “civiltà”. Fu spesso sotto questa idea che la fiorente borghesia combatté contro le restrizioni delle caste e tutto ciò che poteva interferire con il loro commercio e interessi. “La consapevolezza della propria superiorità, la consapevolezza di questa 'civiltà', d'ora in poi serve almeno a quelle Nazioni che sono diventate conquistatori coloniali e quindi una specie di classe superiore a vaste sezioni del mondo non europeo, come giustificazione del proprio dominio, nella stessa misura in cui prima gli antenati del concetto di civilizzazione, politesse e civilté, avevano servito l'alta borghesia aristocratica come giustificazione della propria.[7] Quindi, Elias sostiene che la "civilizzazione" fosse necessaria per l'Occidente per estendere il proprio potere ed influenza ad altre regioni del mondo attraverso un sistema di coercizione e subordinazione in varie forme. Sottolinea: “In questo modo le strutture civilizzate si espandono costantemente all'interno della società occidentale; sia gli strati superiori che quelli inferiori tendono a diventare una sorta di strato superiore e il centro di una rete di interdipendenze che si estende su aree più ampie e più vaste, sia popolate che non popolate [8], del resto del mondo.[9]

La “diffusione della civiltà” è quindi la penetrazione delle istituzioni occidentali e degli standard comportamentali in altri Paesi. I Paesi non occidentali possono aderire volontariamente a questo processo nella misura in cui vedono la necessità della propria sopravvivenza, il cui punto non è solo il prestito di competenze tecniche, ma anche forme di comportamento “civilizzato” che consentono loro di entrare nella rete di interdipendenze. Ma il centro di questa rete rimane occupato dai popoli occidentali.

Di fatto, ciò che Norbert Elias stava descrivendo è quello che oggi viene chiamata “globalizzazione”, sebbene rgli sia arrivato a queste conclusioni nel periodo tra le due guerre. Nel tempo presente, le critiche alla civiltà occidentale nella sua “forma esclusiva” si sono solo intensificate. Ad esempio, Raymond Aaron nota che “il sospetto razzismo esplicito non potrebbe resistere all'infinito all'apertura della grandezza di altre civiltà o all'evidente fragilità della supremazia europea.” [10] Hamid Dabashi della Columbia University sostiene che l'idea della civiltà occidentale era per le nazioni europee una sorta di struttura ad ombrello che asserisce l'identità universale delle culture nazionali europee ed “unifica queste culture contro le loro conseguenze coloniali”. Dabashi ipotizza quindi:

Le civiltà islamica, indiana o africana sono state inventate in modo contrappuntistico dall'orientalismo, come braccio dell'intelligence del colonialismo, al fine di eguagliare, bilanciare e quindi autenticare "la civiltà occidentale". Tutte le civiltà non occidentali sono state quindi inventate esattamente come tali, come formulazioni negative della occidentale, autentificando così l'occidentale. Hegel ha suddiviso tutta la sua precedente storia umana in fasi di civiltà che portano alla civiltà occidentale, quindi in effetti infantilizzando, orientalizzando, esotizzando e anormalizzando l'intera storia umana...[11]

 

[1] https://oll.libertyfund.org/titles/ferguson-an-essay-on-the-history-of-civil-society ; Acceduto in Russian in: Бенвенист Э. Цивилизация. К истории слова Civilization. Contribution a l'histoire du mot // Общая лингвистика. — М.: URSS, 2010.

 

[2] Norbert Elias, The Civilizing Process: Sociogenetic and Psychogenetic Investigations (Oxford: Blackwell, 2000), 5.

 

[3] Ibid, 6.

 

[4] Ibid, 7.

 

[5] Ibid, 33-34.

 

[6] Ibid, 34.

 

[7] Ibid, 43.

 

[8]  Le traduzioni russe leggono “colonizzate e non-colonizzate”: Норберт Элиас. О процессе цивилизации. Изменения в обществе. Проект теории цивилизации. Т. 2. М.: Университетская книга, 2001. p. 256.

 

[9] Norbert Elias, The Civilizing Process: Sociogenetic and Psychogenetic Investigations (Oxford: Blackwell, 2000), 381.

 

[10] Реймон Арон. Избранное: Измерения исторического сознания. - М.: РОССПЭН, 2004. С. 97.

 

[11] Dabashi Hamid. For the last time: civilizations. Rethinking civilizational analysis// Intern. sociology - L., 2001. - Vol. 16, N3 (Special issue), P. 364.

 

Tradotto dal russo da Jafe Arnold.

Articolo originale di Leonid Savin:

https://www.geopolitica.ru/en/article/civilization-discursive-tool-western-politics

Traduzione italiana di Costantino Ceoldo – Pravda freelance