Il martirio di Darya Dugina e l’Arcangelo Michele, sorgente primordiale del Soggetto Radicale
Il martirio di Darya Dugina e il Grande Risveglio della lotta per la Civiltà multipolare
Nel tentativo di esporre una possibile correlazione fenomenologica tra la figura dell’arcangelo Michele e il Soggetto Radicale, che abbia il suo radicamento nell’angelologia e che vada oltre il suo già impegnativo simbolo di icona guerriera, non possiamo non pensare alla vita, alle opere, alla valenza intellettuale eurasiatista e, infine, al martirio della giovane Darya Dugina (Dasha), la quale, a nostro modesto giudizio, è stata per antonomasia l’incarnazione eccellente dello stesso Soggetto Radicale. Questa investitura divina, Dasha l’ha dimostrata attraverso la sua intransigenza metafisica, la sua coerenza di vita, il suo impegno di “vero cavaliere del fronte intellettuale, un vero ‘ guardiano filosofo ‘, come Platone chiamava i filosofi, perché custodivano la cosa più alta che l’uomo ha” (Natalia Melentieva), la sua oblazione e il suo desiderio di vivere e di essere pronta a morire per il Bene della Causa.
L’anima e la mente di Dasha sono state plasmate attraverso l’ispirazione dell’ordine angelico dei Cherubini ed ella, come Cherubino incarnato, è stata posta sul fronte metapolitico di Eur-Asia, quale custode del Giardino della Verità divina con la fiamma della spada folgorante, e per custodire la via all’albero della Vita umana (cfr. Genesi 3,24). Con la sua mente cherubica, Dasha si è rivelata quale difensore dell’Arca dell’Alleanza della Tradizione (cfr. Esodo 25, 10-22), di quell’Ordine Divino sempre nuovo delle origini, in vista della Civiltà multipolare, dell’instaurazione dell’Imperium teologico, metafisico e metapolitico declamato dalla Quarta Teoria Politica, nell’attesa della resurrezione del Sacro.
Col suo martirio cruento, col suo sangue versato per il Bene della Causa, Dasha ha dimostrato inequivocabilmente che il Soggetto Radicale non è un’idea astrusa, non è dato da una serie di elucubrazioni e di congetture falsamente o, peggio, ereticamente speculative di ordine teologico, spirituale, filosofico, gnostico, alchemico od esoterico scollate dalla vita e dall’impegno personale. Il sangue cristiano sparso da Dasha, testimonia invece l’ortodossia della verità incarnata contro l’eresia della speculazione disincarnata, ossia certifica che qualsiasi intuizione di ordine intellettuale vera e sublime sia essa teologica, spirituale, filosofica, gnostica, alchemica od esoterica se è scollata dall’etica naturale, se non viene trasformata in carne e sangue, se non diventa vita vissuta e testimonianza di charitas ossia di amore altruistico in un impegno ascetico e spirituale di adesione all’Ordine Divino, non giova a nulla e trasforma il Soggetto Radicale nel suo Doppio, nel suo Sosia come ci insegna il magistero filosofico di Aleksandr Dugin.
Dasha, ha così vissuto in modo eroico, con l’esempio, con la filosofia e con la vita, quella charitas intellettuale, umana e cristiana che ha diffuso poi a piene mani nel Movimento Eurasiatista, secondo lo spirito dell’Inno alla Carità dell’Apostolo Paolo. Inno mistico, che di Dasha ci ricorda la sua bella anima di Soggetto Radicale che si rallegra della verità, la quale ha saputo innescare nel tempo attuale, a livello planetario e al di là di ogni umana e storica previsione, il Grande Risveglio della lotta per la Civiltà multipolare:
Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!”. (Prima Lettera ai Corinzi 13, 1-13).
Perciò, non piangiamo più ora la sua morte, se non con lacrime di gioia, perché Dasha ora è Vivente in Dio e cammina in mezzo a noi come nostra avanguardia e come Cherubino, angelo santo soccorritore e protettore del nostro Dasein. Ave Dasha, fratribus ac sororibus tuis te salutant!
La radice angelologica del Soggetto radicale
Dopo il necessario tributo all’angelica Darya Dugina, è necessario chiedersi cosa leghi profondamente la figura dell’arcangelo Michele a quella del Soggetto Radicale al di là del fenomeno comune dell’insorgenza contro gli spiriti del male e per la difesa dell’Ordine Divino, che abbiamo già trattato in un precedente articolo ( https://www.ideeazione.com/san-michele-icona-guerriera-del-soggetto-radicale/ ). Se il Soggetto Radicale è la radice del Soggetto ordinario, come ci insegna Aleksandr Dugin, nella costituzione angelica che è essenzialmente natura spirituale – ossia l’angelo è puro spirito rispetto alla natura umana che è dotata anche di un corpo –, non sembra esserci questa unità differenziata in radice e ordinarietà, in quanto lo spirito radicale e il puro spirito sono coincidenti nella natura angelica. Detto con altre parole la radice ontologica dell’angelo è l’angelo stesso nella semplicità del suo essere un puro spirito, una natura spirituale.
Dovendo però sondare, per quanto possibile alla nostra intelligenza umana, la caratteristica essenziale, l’essenza stessa della comune radice angelica e, in particolare, quella dell’arcangelo Michele, quale “capo dell’esercito del Signore” (Libro di Giosuè 5,14), ossia Principe delle gerarchie celesti e condottiero delle milizie angeliche, troviamo utile essere aiutati in primis dall’etimologia del suo nome. MIKA’EL, il cui significato è “Mi = chi, KA = come, EL = Dio”, è una affermazione che scuote l’immensità delle sfere angeliche, è una testimonianza viva che viene posta in modo esclamativo ed interrogativo come urlo di guerra contro l’usurpazione di Lucifero e dei suoi sodali. La radice EL, in ebraico אל, comune in tutta l’area semitica, ha come significato ultimo il Potente, Colui che sta davanti, che si mette di fronte, indicando così la vivente presenza di Dio, la Shekinah della letteratura rabbinica. Quindi, l’urlo di guerra che rivela il nome e la natura dell’Arcangelo Michele, è un grido che è presa di coscienza, che crea divisione nell’universo angelico messo alla prova, che esige una scelta radicale, definitiva, un’appartenenza per l’eternità.
La radice spirituale, l’essenza di Michele è, quindi, una essenza guerriera orientata non tanto alla difesa della indifendibilità di Dio in quanto Egli basta a sé stesso, ma ad una perentoria e categorica affermazione della realtà della Presenza di Dio nella sua trascendenza e nella sua immanenza, che forma il contenuto stesso della possibilità di esistenza degli angeli e di tutta la futura creazione. Questa affermazione, questo grido di guerra che è un grido d’amore verso l’Amore e un urlo terribile verso la negazione dell’Amore, esprime il “desiderio” angelico di continuare a vivere nella trascendenza che si eleva per amore verso il Principio primo che è Amore, il quale con la sua costante immanenza nelle creature angeliche, continua a donar loro l’esistenza per l’eternità in un atto di libero amore.
Ecco, dunque, che la radice, lo spirito radicale dell’arcangelo Michele è il “desiderio di Dio”, è il desiderio di essere elevato verso Dio da Dio stesso nel suo amore, è il desiderio realizzato della trascendenza che aumenta il desiderio di trascendere ancora e di appartenere sempre di più a Dio, perché Dio è amore infinito mai pienamente raggiungibile, è il desiderio della trascendenza nell’immanenza e dell’immanenza nella trascendenza, è il desiderio del già e non ancora.
Questo “desiderio di Dio”, è la sorgente primordiale da cui sgorga il principio angelologico dello spirito radicale, il suo eros, la sua agape e la sua philia, il suo DNA spirituale, che nella lotta per la Città di Dio viene declinato dalla teologia angelologica a verità metafisica, a evidenza antropologica e a progetto metapolitico, accomunando così angeli e uomini in questa lotta.
Questo desiderio di Dio, espresso così sostanzialmente dall’arcangelo Michele che ne è la sorgente primordiale, viene comunicato da Dio anche nella creazione dell’essere umano. Questo desiderium Dei, viene poi risvegliato nel concepimento spirituale del Soggetto Radicale, che quando affermiamo vivere inconsapevole nel liquido amniotico della Tradizione, intendiamo dire che egli si abbevera alla sorgente primordiale angelologica del desiderio di Dio, che diventa in lui segno efficace, sacramento, identità con la stessa radice degli spiriti angelici.
Quindi, questa medesima radice angelologica, favorisce la crescita del Soggetto Radicale, di colui che dopo la futura opzione fondamentale della sua scelta definitiva per il Divino, sarà, al dire di Aleksandr Dugin: “…una specie di angelo perduto… un angelo distruttore, un angelo terrificante”. (Aleksandr Dugin, Il Sole di Mezzanotte. Aurora del Soggetto Radicale, AGA Editrice, Milano 2019, pag. 25, 27).
Possiamo quindi concludere affermando che la Quarta Teoria Politica sarà la piena realizzazione teologica, metafisica e metapolitica nel tempo, nello spazio e nella storia dei popoli, di quell’eterno ritorno al desiderio di Dio che non è che il fuoco d’amore della Divina Tradizione, per la quale val la pena vivere, combattere, morire e vincere.