Inclusione della “lingua”: cosa dobbiamo fare con la lingua “Ucraina”?

12.09.2022
Il lavoro di linguisti e filosofi è necessario nella direzione di studiare le “basi” protofilosofiche comuni e primordiali degli slavi orientali.

Ho voluto scrivere questo articolo subito dopo la lezione di Darya Dugina sulla “Metafisica della frontiera”, per discutere con lei la questione del suo atteggiamento nei confronti del principio del “togliere la lingua” – la possibilità e la necessità di appropriarsi della lingua ucraina durante l’Operazione Militare Speciale in Ucraina. Darya, in una conferenza al campo ESM, ha parlato da posizioni imperiali: non bisogna trascurare la lingua ucraina, non escluderla, ma includerla in un contesto imperiale. Ho subito avuto una serie di considerazioni, ma non abbiamo potuto discutere l’argomento in dettaglio. Un atto terroristico pose fine alla vita di Darya. Tuttavia, questo problema è stato recentemente discusso di nuovo. Pertanto, ha senso parlare della “mova” [1] e di ciò che “portiamo via” in essa.

Non si può semplicemente “prendere la lingua” sconsideratamente così com’è. “Mova” ora non è la “lingua dei villaggi del sud”, non il dialetto popolare, non viviamo ai tempi di Ivan Kotlyarevsky. Per almeno un secolo e mezzo, “mova” è stato un costrutto nazionalista intellettuale. Nella formulazione della sua norma letteraria, uno dei principi di base è stata la creazione di un “idioma” il più possibile diverso dalla lingua russa comune, al fine di separare parte della popolazione e territorio del continuum dialettale slavo orientale (russo) in un progetto geopolitico opposto alla Russia. Tale “linguaggio” è accompagnato da una corrispondente tradizione culturale, che non può essere eliminata così facilmente con l’appropriazione.

Cioè, criticare il nazionalismo russo da, ad esempio, posizioni eurasiatiche, e allo stesso tempo accettare il costrutto nazionalista della moderna “lingua ucraina” e l’identità che si è formata attorno ad essa non è una coerenza, ma un errore. Ingoiando la “mova” “così com’è” con i libri di testo della lingua ucraina e l’intera tradizione letteraria esistente, con migliaia di testi scritti in questa lingua e migliaia di altri da scrivere, stiamo ingoiando il nazionalismo ucraino e ponendo una nuova bomba sotto le fondamenta dello Stato.

La lingua russa, tra l’altro, non è un costrutto nazionalista dei Grandi Russi, ma un prodotto della creatività imperiale generale. La cultura e la lingua russa moderne sono in gran parte un prodotto della tradizione della Russia occidentale, che è stata notata da N. S. Trubetskoy. Pertanto, per l’Ucraina, non è un’estranea, ma anche sua. Sembrerebbe che valga la pena abbandonare completamente l'”ucraino” e aderire alla norma tutta russa.

Il completo rifiuto dell'”ucraino” in tutte le sue forme sembra una via d’uscita facile, soprattutto se l’obiettivo è creare uno stato-nazione russo. Ed è fattibile. Il problema è che tali repressioni linguistiche, conferendo all’ucraino lo status di lingua martire, frutto proibito, avranno solo l’effetto opposto. Vale a dire, spingerà il processo di abbandono dei russi dall’altra parte del fronte, la frontiera mobile dell’impero russo in espansione si trasformerà in un limes, un confine statico, e il progetto nazionalista ucraino riceverà un nuovo slancio.

L’unica via d’uscita può essere la disattivazione della “bomba ucraina”, che richiede il lavoro di giornalisti, scrittori, filologi, linguisti, storici, culturologi e filosofi. L’obiettivo è la decostruzione della “mova” e di tutto ciò che è ad essa connesso. L’identità ucraina, così come si è formata nei “circoli nazionali”, nel contesto della cultura formata dai nazionalisti e fissata dai bolscevichi, ad esempio, il canone letterario (autori e opere, la loro selezione e interpretazione), la stessa lingua letteraria, che sostituirono i veri dialetti popolari, erano uno strumento per trovare, enfatizzare e consolidare le differenze con il resto dello spazio culturale russo, slavo orientale con obiettivi politici e geopolitici abbastanza comprensibili. Tutto questo lavoro deve essere aperto, liberando le menti sia dei Piccoli Russi che dei Grandi Russi dalle concrezioni nazionaliste e dai cliché sovietici.

Occorrono anche strategie di comunicazione che ci permettano di coniugare il desiderio di diversità e la riflessione sulla ricchezza della base etnica nazionale nella Grande Russia, sia nella Piccola Russia, e allo stesso tempo puntare sulla creazione di una nuova cultura tutta russa comprensibile per tutti, l’eroica cultura dell’età del bronzo, che arriva in lampi di guerra per sostituire l’età dell’oro e l’età dell’argento della cultura russa.

Nel contesto dell’Ucraina, la sua missione è quella di essere, come già citato, N. S. Trubetskoy ha osservato, una speciale individuazione ucraina (piccolo russo, ruteno) della cultura tutta russa, per esprimere quei tratti del russo che sono meno chiaramente visibili nelle sue altre individuazioni. I tre rami del popolo russo sono chiamati a completarsi e a sviluppare le reciproche intuizioni, coniugando la diversità espressiva nella creatività culturale e l’unità delle radici, l’unità della tradizione.

Come minimo, è necessario abbandonare l’atteggiamento sprezzante nei confronti del discorso popolare colloquiale del grande continuum russo-piccolo russo come “surzhyk”, cioè un misto di “russo” e un po’ di puro “ucraino”. Si puòi persino cantare canzoni su di esso, persino lanciare programmi, l’importante è sfidare la “norma” e il “canone” volti a dividere lo spazio imperiale. C’è un linguaggio popolare, è vivo, ma la “norma letteraria” ucraina è una generalizzazione selettiva e parziale a posteriori imposta dalle istituzioni statali.

Dal momento che stiamo parlando di linguaggio popolare, nelle scuole dei territori liberati vale la pena abbandonare lo studio obbligatorio di “ucraino”, cioè sostituire la lingua popolare con un costrutto nazionalista. I discorsi che si fanno già a casa non hanno bisogno di libri di testo. Chi vuole, studi dai libri di testo denazionalizzati del dialetto Picoolo Russo (ucraino) con testi di Akim Apachev e Dmitry Vergun. Nello stesso contesto, è importante la divulgazione dei concetti di “Piccola Russia”. Anche la storia dell’Ucraina come soggetto non è necessaria, almeno finché non ci troviamo proprio nel territorio della Piccola Russia. Finora, i territori liberati – sia il Donbass che la regione di Kherson e Zaporozhye – sono Novorussia, la terra di uno speciale destino russo, dominato e sviluppato da tutti e tre i rami del popolo russo e da molti gruppi etnici che si trovarono nell’orbita dello spazio culturale russo.

L’uso del linguaggio ucraino nella cultura senza riguardo a nessuna “norma” potrebbe essere uno dei modi per allontanarsi dai “canoni” nazionalisti e post-sovietici della lingua e della cultura ucraine. Riavvicinamento, graduale, dove è giustificato, di questo discorso con il tutto russo (cancellazione dei polonismi, ecc., dove ci sono equivalenti tutto russi). E viceversa, l’appropriazione di alcune parole e frasi di successo dall’ucraino nel contesto linguistico generale russo potrebbe solo arricchire la cultura e la lingua russa.

È possibile e necessario parlare con l’altra parte nella loro lingua, riferendosi a immagini che sono significative per loro, ma nel modo in cui fa Akim Apachev, rompendo gli schemi.

La guerra è anche una forma di comunicazione con i nemici. Vogliono dimenticare che sono russi e imperiali, ma l’impero arriverà a loro sia attraverso la ricodifica di immagini “ucraine” che attraverso la loro lingua.

Abbiamo bisogno del lavoro di linguisti e filosofi nella direzione di studiare le “basi” protofilosofiche comuni e primordiali degli slavi orientali, le loro, nella lingua di M. Heidegger, “ontiche” – attraverso lo studio di lingue, dialetti, studi comparati, lo studio dei monumenti letterari, la continuazione della linea di V. V. Ivanov e V. N. Toporov (“Studi nel campo delle antichità slave: problemi lessicali e fraseologici della ricostruzione del testo”, “Sistemi semiotici di modellazione della lingua slava”), V. V. Kolesov (“Antica Russia: patrimonio nella parola. Il mondo umano”) ecc. Sulla base di ciò, si può costruire una “ontologia” completamente nuova, anche politica. Questa è la via heideggeriana, immanentista verso l’unità, rivolta alla Terra, al popolo, per molti aspetti arcaica dell’esistenza.

Un altro modo per trovare un unico spazio semantico che unisca i Grandi Russi, i Piccoli Russi e i Bielorussi, senza eliminare l’identità etnica, può essere chiamato verticale o platonico, nello spirito delle prime ipotesi del Parmenide di Platone sulla combinazione dell’uno e i molti. Sta letteralmente nell’appello al Cielo – Ortodossia, santi comuni e un’unica lingua sacra – lo slavo ecclesiastico. Se non è necessario imparare l’ucraino, allora lo slavo ecclesiastico è un’altra questione. Nel quadro di un’utopia tradizionalista, si potrebbe proporre di fare dello slavo ecclesiastico la lingua di stato del nuovo impero. In definitiva, ciò di cui non si può parlare in un linguaggio creato per la trasmissione del Vangelo e della teologia cristiana dovrebbe tacere (con cui gli aderenti al progresso tecnologico, ovviamente, non saranno d’accordo).

Note:

[1] Mova (Мова), “Lingua” in ucraino. In russo, il termine, si intende come “Lingua ucraina”.

Traduzione di Alessandro Napoli