Heidegger, l'Eurasia e la geopolitica

05.10.2017

Premessa

E' possibile applicare le categorie del pensiero heideggeriano alla scienza geopolitica? La geopolitica è una scienza moderna e profana mentre il pensiero del filosofo tedesco è stato spesso definito come un pensiero intimamente spirituale e lui stesso è stato descritto come il più creativo e rilevante scrittore religioso del XX secolo1. Tuttavia, l'applicabilità della filosofia heideggeriana alla scienza geopolitica risiede nella constatazione dell'intrinseca connessione che tale scienza, in quanto prodotto della desacralizzazione della geografia sacra, ancora mantiene con la Tradizione. Ed è proprio attraverso la dicotomia Occidente/Oriente che il pensiero heideggeriano può fornire il maggiore contributo alla scienza geopolitica moderna. La necessità storico-filosofica del confronto con l'Oriente spirituale, proposto da Heidegger2, è il punto di partenza per il processo di individuazione del Dasein (Esser-ci) attraverso un linguaggio liberato dalla sua deformazione tecnicistica imposta dalla modernità e dalla post-modernità. Non è un caso se l'Iran, i cui teorici rivoluzionari vennero influenzati dal pensiero heideggeriano, viene oggi presentato come nemico per antonomasia dell'Occidente sia sul piano ideologico che su quello prettamente geopolitico3. Solo l'Eurasia, riunificata dalla parusia dell'Essere attraverso il linguaggio e dunque come persona collettiva/sinfonica, può trovare le forze necessarie per il confronto con la civiltà della tecnica che tutto divora e distrugge identificata nell'Occidente nichilista dominato dal totalitarismo liberale.

Occidente e Oriente. La via del raccoglimento (Einkehr) come strumento per il superamento della post-modernità occidentale

Rudolf Kjellen, colui che per primo utilizzò il termine geopolitica, individuò la differenza tra Oriente ed Occidente nei seguenti termini: “Una tipica frase preferita dagli americani è 'andare avanti', che significa letteralmente 'in avanti'. In essa si specchia l'interiore, naturale ottimismo geopolitico ed il progressismo della civiltà americana, in quanto estrema forma del modello occidentale. I russi utilizzano spesso la parola nechego (niente). In essa sono espressi pessimismo, contemplazione, fatalismo e aderenza alla Tradizione, tutti aspetti peculiari dell'Oriente”4. Prima di lui, un precursore fondamentale del eurasiatismo, Konstantin Leont'ev, fu capace di notare come l'Oriente cristiano-bizantino non possedesse l'elevato concetto della personalità terrena dell'uomo introdotto nella storia dal feudalesimo germanico. L'ideale cristiano orientale, nell'ottica del pensatore russo, possiede infatti una naturale propensione alla disillusione nei confronti di tutto ciò che è terreno, della felicità terrena e della saldezza della purezza personale5.

Una prima sommaria differenziazione tra Occidente ed Oriente si può dunque delineare attraverso una prospettiva che intravede nell'Occidente lo sviluppo materiale, individualistico e tecnologico e nell'Oriente il prevalere di sistemi di produzione collettivi e comunitari tradizionali ed in parte ancora estranei ai processi di modernizzazione economica.

Ora, da un punto di vista tradizionalista, ad un Occidente “terra del tramonto”, caratterizzato da quella che l'antichista, studioso di filologia e direttore della rivista di studi geopolitici Eurasia Claudio Mutti, ispirandosi a Renè Guènon, ha definito nei termini di “chiusura verso l'alto” che ha inevitabilmente portato ad una “apertura verso il basso” e dunque allo scatenamento del caos subumano, viene contrapposto un Oriente delle luci (secondo la definizione dello Shaikh al-Ishraq Sohrawardi) la cui via contemplativa del raccoglimento è il presupposto essenziale per il superamento della modernità e della post-modernità che hanno prodotto il progressivo indebolimento del lato spirituale dell'essere umano.

La via contemplativa, attraverso la riscoperta del linguaggio, è lo strumento filosofico necessario per la de-costruzione dell'individuo “occidentalizzato” post-moderno in modo da riconquistarlo/riposizionarlo su posizioni di carattere spirituale e non sub-umane.

La contrapposizione geopolitica Occidente/Oriente esprime sul piano filosofico la sua reale essenza di scontro tra differenti visioni del mondo. Il pensiero di Martin Heidegger, in questo senso, può svolgere un ruolo di carattere geopolitico attraverso il riposizionamento dell'Europa nella sua tradizionale collocazione spirituale di “centro” naturalmente estraneo all'Occidente inteso nel senso di civilizzazione anglo-americana.

Nella sua opera In Cammino Verso il Linguaggio, il pensatore tedesco espone una teoria filosofica sotto molti aspetti impregnata di misticismo e dunque facilmente assimilabile alla Verità delle dottrine tradizionali. Per Heidegger l'Essere si svela nel linguaggio. Non nel linguaggio scientifico proprio della moderna civiltà della tecnica ma ne linguaggio autentico della poesia. Filosofare è poetare. Nella poesia non è l'uomo a parlare ma il linguaggio stesso. Il linguaggio non può essere definito soggettivamente ma occorre che sia il linguaggio stesso a parlare in noi. É il linguaggio stesso a fare dono di sé. Ed esso è nella sua essenza Ereignis (evento disvelante). Il corretto comportamento umano di fronte all'Essere è il silenzio e l'ascolto del linguaggio/voce dell'Essere6.

Tale prospettiva, come già sottolineato, non si discosta affatto dal misticismo proprio della religiosità orientale che di quella occidentale medievale. Mesister Eckhart parlò della necessità di tacere per lasciar parlare ed operare Dio. San Paolo invitò i cristiani ad accogliere interiormente il Cristo; mentre il Vangelo di Giovanni afferma: “I veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e Verità”. Questa è la via del raccoglimento e della teologia come contemplazione di Dio ed espressione dell'inesprimibile. È il superamento della dualità del corpo e dello spirito attraverso il linguaggio che si esprime nella preghiera interiore del cuore propria del esicasmo cristiano-ortodosso, ben descritto negli scritti di San Gregorio Palamas, o del sufismo islamico7. Infatti, secondo il verbo del Profeta Mohammed: “vi è per ogni cosa un mezzo per levigarla e ripulirla dalla ruggine. E ciò che serve a levigare il cuore, è il ricordo (dhikr) di Dio”8.

Esiste una parte dell'anima votata alla conoscenza spirituale che si trova elevata al di sopra del tempo e che non sa niente del tempo e del corpo. E l'anima stessa, come afferma Sant'Agostino, è creata come un punto tra il tempo e l'eternità. Con i sensi inferiori agisce nel tempo e con quelli superiori coglie le cose eterne, al di là del tempo.

San Paolo venne rapito al terzo cielo che rappresenta la conoscenza pura e diretta di Dio. Per questo la sua conoscenza è in Dio. Questa è pura Verità poiché è fuori dal tempo in quanto egli conobbe in Dio che è prima del tempo. Un'idea ripresa dalla tradizione islamica nell'esperienza del viaggio notturno del Profeta, anch'egli portatore di una conoscenza fuori dal tempo, lungo le direttrici dell'ampiezza (isra) e dell'esaltazione/elevazione (miraj).

Lo scopo dell'elevazione è abitare nella Verità che è allo stesso tempo Unità. Come afferma il grande tradizionalista Ananda K. Coomaraswamy “Verità, nel brahmanesimo, buddhismo, Islam e cristianesimo è così come Eternità, uno dei nomi di Dio”9. Dio viene generato interiormente in ogni virtù del giusto. E le virtù spirituali, nella dottrina del sufismo islamico, sono come i sostegni della Verità divina (al-Haqiqah) nell'uomo.

Come scriveva Burckhardt: “le differenti vie tradizionali sono come i raggi di un cerchio che si congiungono in solo punto: nella misura in cui i raggi si avvicinano al centro, si avvicinano pure tra di loro”10. E ancora Burckhardt, citando lo Shaikh Ahmed ben Mustafa ben Alliwa, affermava: “ammettendo un'interpretazione metafisica dei dogmi della Trinità e della Filiazione Divina non vi sarà più alcun ostacolo a che le due religioni, cristiana e musulmana, si riconcilino e combattano insieme la degenerazione modernista”11.

Ora, questo centro statico di cui parla Burckhardt è il punto dove ogni contrasto si placa; “luogo simbolico non soggetto alle leggi dell'entropia cosmica”. Per questo il movimento dell'intelletto verso Dio è una forma di elevazione statica. L'intelletto contemplativo, secondo Burckhardt è infatti quanto di più statico vi è nell'uomo12. E proprio la memoria e l'intelletto rappresentano il deposito del linguaggio inteso nel senso heideggeriano del termine.

L'ordine metafisico si esprime in primo luogo attraverso il linguaggio dei simboli. Per questo Renè Guènon sottolineò l'importanza del simbolismo come punto di appoggio fondamentale per la conoscenza intellettuale e sopra-razionale13. E per questo motivo Heidegger scelse il simbolo del Geviert (rappresentato dall'intersezione di due linee oblique) come modello intellettuale per indicare i quattro poli Cielo, Terra, Uomini e Dio. Nel centro, punto di riunione delle due linee, si trova il crocevia tra cielo e terra, tra umano e divino. Attraverso l'unione/riunione al centro dei quattro poli dell'Essere è possibile dispiegare la dimensione spaziale entro la quale è possibile abitare in vista del nuovo inizio e del superamento della modernità.

L'Unità è il modo di essere proprio di Dio. Dio è negazione della negazione affermava Meister Eckhart14. E solo negando hegelianamente quella negazione della Verità costituita dalla modernità occidentale che ha trasformato la metafisica in antimetafisica e dunque nella sua stessa antiessenza, è possibile operare quel processo filosofico rivoluzionario capace di riposizionare il pensiero europeo.

Terra e mare: l'unità dell'Eurasia come potenza tellurica.

Terra e mare, oltre ad Occidente/Oriente, è la seconda dicotomia fondamentale che caratterizza il pensiero geopolitico. In un'ottica tradizionalista la terra rappresenta la stabilità, la gravità, la fissità e lo spazio in quanto tale e dunque ciò che è eterno; mentre il mare indica mobilità, dinamicità e tempo storico. Al blocco tellurocratico eurasiatico si contrappone il blocco talassocratico dell'estremo Occidente.

L'Eurasia, come blocco politico e spirituale unitario15, rappresenta la sola forma concreta di opposizione all'occidentalismo talassocratico.

In questo senso l'opera del padre dell'eurasiatismo Nikolaj S. Trubeckoj è di fondamentale importanza. Il principe Trubeckoj riconobbe infatti la necessità di ricreare un sistema armonioso e coerente, basato a sua volta su un preciso sistema teologico, al quale deve corrispondere un altrettanto preciso sistema di azioni pratiche.

In netta opposizione con l'individualismo imperante proprio del modello progressista occidentale, Trubeckoj riteneva che non solo gli individui ma che anche i popoli fossero persone. “Ogni persona collettiva o individuale si manifesta concretamente in uno stato definito (o individuazione) […] La vita di ogni persona appare come una successione continua di individuazioni (serie di individuazioni) […] Un popolo, come persona può avere più individuazioni sincroniche di carattere locale (dialettico-linguistiche) […] Così tra il popolo da una parte e la persona individuale dall'altra si trovano più cerchi concentrici di individuazioni successive”16. Un popolo può dunque essere composto di più popoli. Una prospettiva ripresa nello studio sull'etnogenesi dallo storico e antropologo russo Lev N. Gumilev e ben espressa nei rispettivi concetti di ethnos e superethnos. L'Eurasia rappresenta alla perfezione quest'idea di popolo/persona collettivo-sinfonica. E l'uomo, così come l'Essere in sé, non può esistere senza il popolo, senza cultura e senza un linguaggio spirituale comune. Come affermava proprio Heidegger: “Dasein existiert volkish”.

A corroborare l'idea dell'unità eurasiatica proposta da Trubeckoj vi sono i suoi studi di linguistica. Membro della cosiddetta “Scuola di Praga”, Trubeckoj, oltre a dare rigore scientifico alla fonologia, cercò attraverso la localizzazione proto-linguistica di situare le coordinate entro le quali individuare l'insorgere del fenomeno indoeuropeo. Di fatto, lo studioso russo parlò espressamente di proto-patria indoeuropea e di proto-indoeuropeo come proto-lingua comune e diasistema linguistico: ovvero, come insieme di varietà linguistiche che condividono molte strutture comuni tanto da poterle descrivere in un grande sistema comune di corrispondenze.

Questa unità primordiale della famiglia linguistica indoeuropea si rifletteva nell'unità spirituale di quella che l'archeologa Marija Gimbutas ha definito come una “cultura di tipo guerriero”17. A tal proposito Herman Wirth ha parlato espressamente di “monoteismo primordiale” in quanto l'Unità del Divino si rifletteva nell'unità culturale e spirituale del popolo indoeuropeo.

Ora, l'essenza della decadenza europea, afferma il filosofo e politologo russo Aleksandr Dugin, è scaturita dal dominio del logos matriarcale di Cibele rispetto al logos patriarcale, apollineo e solare che è stato l'asse tradizionale della civiltà guerriera indoeuropea. Il logos di Cibele è un logos titanico e liberista che esprime il paradossale antieuropeismo della modernità e post-modernità europea18.

Il ritorno (Ruckker) al logos primordiale indoeuropeo attraverso il linguaggio del Dasein è la via per intraprendere una lotta sia spirituale che geopolitica contro un sistema di pensiero e dominio che inneggia alla distruzione di ogni forma culturale estranea al progressismo subumano della post-modernità.

 

1S. M. Ireton, An Ontological Study of Death: From Hegel to Heidegger, PA Duquense UP, Pittsburgh 2007.

2C. Mutti, Esploratori del continente. L'unità dell'Eurasia nello specchio della filosofia, dell'orientalistica e della storia delle religioni, Effepi, Genova 2011, p. 102.

3Su questo argomento si veda E. Montsalvat, The iranian precursors of the Fourth Political Theory, su www.katehon.com, e D. Perra, Heidegger in Iran, su www.eurasia-rivista.com.

4A. Dugin, Dalla geografia sacra alla geopolitica, questo testo è apparso con il titolo “Ot sakral'noy geografii k geopolitike” su Elementy n.4, Mosca 1996.

5K. Leont'ev, Bizantinismo e mondo slavo, Edizioni all'insegna del Veltro, Parma 1986, p. 15.

6M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, Ugo Mursia Editore, Milano 1999.

7Si vedano a tal proposito V. N. Losskij, Teologia mistica della Chiesa d'Oriente, EDB, Roma 2013, e T. Burckhardt, Introduzione alle dottrine esoteriche dell'Islam, Edizioni Mediterranee, Roma 1987.

8T. Burkhardt, Considerazioni sulla conoscenza sacra, Edizioni SE, Milano 1989, p. 66.

9A. K. Coomaraswamy, Tempo ed eternità, Luni Editore, Milano 2015, p. 88.

10T. Burckhardt, Introduzione alle dottrine esoteriche dell'Islam, ivi cit., p. 16.

11T. Burckhardt, Considerazioni sulla conoscenza sacra, op. cit., p. 88.

12Ibidem, p. 18.

13R. Guènon, Considerazioni sulla Via Iniziatica, Gherardo Casini Editore, Roma 2010, p. 130.

14M. Eckhart, Sermoni tedeschi, Edizioni Adelphi, Milano 1985, p. 23.

15Sull'idea dell'unità spirituale dell'Eurasia si veda anche la raccolta di saggi di Claudio Mutti, L'unità dell'Eurasia, Effepi, Genova 2008.

16N. S. Trubeckoj, Il problema dell'autocoscienza russa, su www.eurasia-rivista.com.

17Marija Gimbutas mette in connessione l'indoeuropeo con la cultura diffusa nelle steppe ponto-baltiche nota per la diffusione delle sepolture a cumulo (kurgan) e per le statue a stele (menhir) rintracciabili tanto nell'Europa orientale quanto in quella occidentale e mediterranea (soprattutto Corsica e Sardegna). Questo non esclude, come sostenuto dagli studi di Herman Wirth e dalle differenti tradizioni indoeuropee un'origine artica di questo popolo.

18A. Dugin, Dobbiamo far esplodere il sistema liberale, su www.geopolitica.ru.