Il ritorno della geopolitica classica e la dignità del popolo americano

05.05.2017
Nella storia della geopolitica moderna c’è stata una pausa molto breve, quando la situazione si è sviluppata in un modo tale che l’importanza dei metodi di questa scienza è stata relegata in secondo piano.

Nella storia della geopolitica moderna c’è stata una pausa molto breve, quando la situazione si è sviluppata in un modo tale che l’importanza dei metodi di questa scienza è stata relegata in secondo piano. L’elezione di Trump si è basata su un ritorno del realismo classico nello spirito di E. Carr e H. Morgenthau. Il realismo è l’approccio che sostiene che gli stati nazionali dovrebbero valutare i loro interessi nazionali e agire di conseguenza nei limiti del possibile — tenendo conto delle proprie risorse e del potenziale di altre potenze che difendono i loro propri interessi. Nelle relazioni internazionali, in questo caso domina il principio del caos (l’assolutizzazione della sovranità e il rifiuto della supremazia del diritto internazionale sul diritto nazionale). Ogni paese è sovrano e libero di fare ciò che vuole. Il solo ostacolo è il fatto che altri si comporteranno esattamente allo stesso modo riducendo così il campo del possibile. Se un paese è grande e potente, può costruire una propria politica prestando poca o nessuna attenzione agli interessi degli altri. Se è piccolo, allora è costretto a cercare alleanze con quelli grandi. Quindi il programma di Trump nelle relazioni internazionali era basato sul presumibile ritorno al sistema Westfaliano — con alcune aggiunte postmoderne — come il grande muro col Messico.

Se sviluppiamo le tesi pre-elettorali di Trump nel futuro prossimo e supponiamo che esse vengano attuate, allora l’agenda geopolitica cambierebbe qualitativamente. Io la chiamo una transizione verso la “geopolitica verticale”, che vede opporre i sostenitori del globalismo (la Palude Globale) ai sostenitori della sovranità, e l’opposizione Terra-Mare, Est-Ovest scompare. Questo programma è stato accolto da tutti i sostenitori di Trump — dagli europei euroscettici a Putin, ma prima di tutto è stato accolto con entusiasmo dagli elettori di Trump. Trump è stato eletto precisamente per questo programma nelle relazioni internazionali — l’elettorato lo ha capito razionalmente o lo ha intuito.

Tutto è proceduto più o meno senza intoppi. Io non potevo credere che Trump avrebbe vinto con un programma del genere, sapendo quanto la Palude lo odia, ma una volta che ha fatto l’impossibile, era possibile aspettarsi una tale svolta. Questo non significa che Trump avrebbe riconosciuto immediatamente la Crimea come russa o qualcosa del genere. Ma semplicemente non si sarebbe preoccupato di chi fosse la Crimea, perché ciò è irrilevante per gli interessi nazionali degli Stati Uniti.

L’atteggiamento di Trump con gli Sciiti era più allarmante. Nell’approccio strettamente realistico gli Stati Uniti teoricamente non dovrebbero essere preoccupati dall’Iran. Ma quel momento poteva essere attribuito alla sua feroce polemica con la scommessa di Obama di addomesticare l’Iran attraverso una rete di rappresentanti della Palude iraniana e alla sua simpatia per i realisti di destra in Israele (Netanyahu). Peraltro, una volta che Trump avesse fatto retrocedere la rete globalista in Iran, di ciò avrebbe beneficiato l’Iran e il suo schieramento più conservatore. In tali condizioni, tali forze rafforzerebbero la loro influenza. E la Russia acquisirebbe un nuovo ruolo nelle relazioni con gli Stati Uniti, parlando per conto dell’Iran — perché l’Iran ci riguarda direttamente, questa è la zona dei nostri interessi nazionali. Questa è la differenza con gli Stati Uniti. L’Iran è un vicino russo, così come il Messico o il Canada sono vicini degli Stati Uniti. Stessa cosa per quanto riguarda la Siria: se Trump volesse opporsi a Obama e al CFR distruggendo la rete del terrorismo islamico (Daesh), dovrebbe fare un’alleanza con la Russia e lasciar stare Assad esattamente dove sta. Questo è quello che normalmente ci si aspetterebbe da Trump, e che veniva ripetuto più volte durante la sua campagna.

Infine, il Sud-Est asiatico — la Cina, la Corea del Nord e la questione di Taiwan. Questa è una regione in cui gli Stati Uniti hanno interessi strategici concreti. E per la Russia, d’altra parte, questa regione è di importanza secondaria.

Quindi Trump aveva promesso un ritorno al realismo nelle relazioni internazionali, che sarebbe diventato il nuovo modello per interpretare la struttura della politica mondiale. Probabilmente, la geopolitica continuerà ad essere rilevante, ma in misura minore. Il gioco principale si sarebbe svolto sulla base di un approccio realistico e quindi tutte le grandi potenze avrebbero costruito le loro strategie nei nuovi contesti (post)geopolitici. Quindi un nuovo ravvicinamento tra Mosca e Washington sarebbe potuto diventare possibile.

È significativo che dalla mia conversazione con Alex Jones, il più appassionato sostenitore di Trump, è risultato che questi non aveva un’idea chiara sulla geopolitica e che considerava anzi “l’Atlantismo” come qualcosa che aveva a che fare con il libro di Francis Bacon “Nuova Atlantide”. Il format dell’intervista televisiva non ha consentito di evidenziare questo problema correttamente, ma è significativo che Alex Jones non si sia particolarmente preoccupato di questo. Alex Jones è realista e antiglobalista. Per lui l’America è il punto più alto della sovranità e non conta nient’altro. Ci aspettavamo da Trump qualcosa di questo genere.

Ovviamente Trump, a giudicare dalle sue parole e dai suoi libri, è molto lontano dalla geopolitica. Probabilmente ne ignora l’esistenza stessa. Sicché per lui la Russia dovrebbe essere solo uno dei fattori dell’equilibrio internazionale delle forze: puoi lavorare con i russi, puoi usarli, puoi ingannarli, puoi avere conflitti o pace con loro e così via, tutto dipende da circostanze concrete — non c’è niente di personale o ideologico, puro business.

Se continuiamo a immaginare ulteriormente, quali siano o debbano essere le azioni di Trump, possiamo pensare al conseguente attacco di Trump alla Palude, al globalismo, ai liberali. Allo stesso tempo — alla difesa della sovranità, del conservatorismo e della tradizione. A questo pensavano gli intellettuali di Breitbart, e anche grandi sponsor tra i miliardari americani di estrema-destra — i Mercer e i Koch. “America First” è uno slogan realistico perfettamente accettabile. Potrebbe riflettersi nel nostro caso nel simmetrico “Russia first!”. Washington e Mosca, essendo realisti entrambi, potrebbero colpire la Palude europea, sostenendo i realisti ed euroscettici nella Ue e ovunque. Tutto appariva molto promettente ed allettante.

La svolta atlantista

Ma questo idillio di un mondo multipolare, devo dirlo, non è durato troppo a lungo. Su scala storica — un battito di ciglia. Quando Trump ha attaccato la base siriana in risposta alle fake news circa l’uso di armi chimiche di Assad, l’intero quadro si è sbriciolato. Trump, che per anni era stato egli stesso il bersaglio di una valanga di fake news e l’oggetto della sorveglianza e provocazione dello Stato Profondo, come ha potuto credere a una menzogna globalista del genere?

La storia di Jared Kushner e Ivanka che lo descrivono come un idiota totale, molto probabilmente è destinata all’uso di massa. Ma il fatto rimane: Trump ha abolito il realismo come nuovo sistema della strategia internazionale americana ed è ritornato al solito modo di pensare e fare atlantista. Trump, ovviamente, non ha letto Mackinder, Brzezinski o il mio libro sulla geopolitica eurasiatica. Ha anche rimproverato Bannon che ha dedicato troppo tempo alla lettura di Charles Maurras. Ciò significa che egli non legge serie opere di filosofia politica o che lo fa raramente. Ma ora il suo comportamento (a differenza di quanto è avvenuto durante la campagna elettorale) mostra chiaramente tutte le tracce dell’Atlantismo — con alcune caratteristiche tipicamente neocon. La Siria è sotto il patrocinio della Russia. Assad non poteva effettuare un attacco chimico, prima di tutto perché sarebbe stato un suicidio e non aveva semplicemente alcun motivo per farlo. Chi è stato in realtà a farlo non importa: i militanti dell’ISIS o gli intrepidi assassini dei caschi bianchi, o entrambi con la segreta approvazione della CIA (che sta ancora lavorando contro Trump con falsificazioni su inesistenti hacker russi). Era pura disinformazione — come nel caso delle armi chimiche di Saddam Hussein che ha causato l’attacco all’Iraq e la completa distruzione del paese. Nel caso dell’Iraq le informazioni false erano preparate e pubblicizzate dai neocon. Anche questa volta sono certamente loro la fonte delle nuove notizie false. Quando Trump ha accettato di farsi ingannare, la Palude ha tirato un sospiro di sollievo: invece di combattere contro di essa in tutti i territori del pianeta, è ricominciato il nuovo round della battaglia tra la civiltà del Mare e della Terra, Talassocrazia contro Tellurocrazia. Ancora una volta nessuna “geopolitica verticale”, solo la famosa e classica grande guerra tra i continenti.

Ciò significa che la geopolitica classica è tornata. È evidente che Trump nel frattempo non ha studiato le leggi della geopolitica. D’ora in avanti egli sarà semplicemente un burattino nelle mani di chi prende le decisioni. E dietro le quinte ci sono ancora una volta i neocon. Saranno loro a dare il là nella Casa Bianca. L’unica differenza della loro versione della geopolitica è l’eccessiva attenzione per lo Stato di Israele e l’islamofobia radicale. Tutto il resto è diretto e semplice Atlantismo, unipolarità, imperialismo ed egemonia, accompagnati a diverse forme di interventismo. E tutte queste caratteristiche le abbiamo viste chiaramente durante l’escalation in Siria con il bombardamento della base aerea di Shayrat e nel ridicolo scandalo nordcoreano.

Trump non c’è più. È finita. L’illusione ottica del realismo non è durata a lungo.

Eppure, è impossibile entrare nello stesso fiume due volte, ogni ciclo porta qualcosa di nuovo. Pertanto, dobbiamo guardare attentamente i fattori che hanno reso possibile la vittoria di Trump. Se osserviamo la storia del successo di Trump, troveremo un fattore molto importante che è stato decisivo. Trump è stato scelto non per il neo-conservatorismo, che anzi molte volte ha rifiutato e criticato. Il suo programma era radicalmente diverso. Si basava sul conservatorismo vecchio stile dell’epoca pre-wilsoniana (paleo-conservatorismo) nella politica interna e sul realismo nelle relazioni internazionali. Era un insieme concettualmente coerente di dottrine e principi che chiaramente contraddicevano non solo il globalismo dei democratici di Obama e sostenitori del CFR del Governo Mondiale, ma anche il colonialismo egemonico e l’unipolarità dei neocon con il loro pervertito (post)trotskismo ultraliberale. L’establishment americano (CFR e neocon) non ha accettato Trump come parte di esso prima delle elezioni. Così c’era una sola strada per diventare Presidente: sfidare l’establishment in quanto tale e cercare di ottenere il sostegno di circoli anti — establishment del popolo americano. E questo ha funzionato bene. Trump ha vinto rivolgendosi alle masse.

Quindi la domanda è: Trump ha tradito la sua dottrina nei primi tre mesi in cui è stato alla Casa Bianca. Come è stato possibile? Chi c’era dietro di lui fin dall’inizio?

Ora possiamo rispondere a questa domanda facilmente. Il programma di Trump è stato preparato e portato con grande abilità alle masse attraverso Breitbart, la rete di Steve Bannon (tra cui la Alt-Right), Alex Jones di infowars.com e la sondaggista Kelly Conway. Il ruolo dei sondaggi è importante. Qualsiasi sondaggio sociologico è orientato per definizione. Pierre Bourdieu ha spiegato come e perché. L’opinione pubblica non è qualcosa di naturale che i sociologi dovrebbero scoprire. I sociologi e soprattutto i sondaggisti creano l’opinione pubblica, la costruiscono. È il gioco del dominio del discorso. La Palude ha usato i propri sondaggi che hanno trattato i cittadini americani a partire dalla loro presunzione di come questi dovrebbero essere, non di su questi sono realmente. Così i loro sondaggi sono apparsi orientati fin dall’inizio. Kelly Conway ha applicato altre tecnologie — i cosiddetti sondaggi reali che accettano la società per come essa è e non per come dovrebbe essere. Ciò è servito molto a Trump. Dietro a questo gruppo c’era l’ombra della famiglia di miliardari Mercer. Il ruolo di Rebekah Mercer nell’inserire Bannon e Conway nelle sedi della campagna di Trump è ormai noto a tutti.

Un ruolo fondamentale è stato svolto da altri miliardari, i fratelli Koch, che hanno sostenuto tradizionalmente diverse reti di paleoconservatori americani. I banchieri di Wall Street hanno sabotato i prestiti di denaro a Trump durante la campagna elettorale essendo parte dell’establishment (che lavora a nome dei globalisti del CFR e dei neocon Atlantisti). Ma i Mercer e i Koch sono entrambi indipendenti e hanno deciso di scommettere su Trump. Proprio perché anche loro sfidano l’establishment. O meglio, erano loro a sfidare realmente l’establishment — non Trump.

Tutti gli architetti chiave del trionfo di Trump scommettono su Trump in quanto presidente dell’America first!— ciò significa realismo nelle relazioni internazionali e tradizionalismo e paleo-conservatorismo nella politica interna. Non hanno bisogno di un altro neocon alla Casa Bianca.

La dignità del popolo americano

Ma c’è stato un altro fattore importante e, di fatto, il principale nella vittoria di Trump — il popolo americano. Questa realtà negli ultimi decenni era scomparsa quasi completamente dalla scena politica, sostituita da un simulacro, una caricatura dei media. I globalisti hanno deformato l’immagine stessa del popolo americano, sostituendola con una chimera costruita artificialmente —un’entità di sinistra, supporter degli LGBT, politicamente corretta e conformista. Le persone reali che non rientravano nella formula accettata erano qualificate come “deplorabili”.

Quando la Palude si è trovata di fronte alla realtà del popolo americano che eleggeva Trump, questa immagine perversa coltivata durante i decenni passati è crollata. Ed è venuto fuori il volto dell’americano vero che non ha nulla a che fare con la figura del tollerante o del transgender, immigrante-femminista che viene descritta come “americano” tipico dai media del Sistema. È chiaro che una maggioranza americana silenziosa e diseredata, priva di qualsiasi rappresentanza politica, esiste ancora. E quando è arrivato il momento è apparsa sulla scena sostenendo il suo Presidente e comunicando con lui attraverso i veri canali di informazione — come per esempio infowars.com del coraggioso Alex Jones. Durante la campagna abbiamo visto questa vera America — l’America che fa Resistenza (Voi siete la resistenza! — ripete Alex Jones). La vittoria di Trump è stata la vittoria di questa stessa Resistenza, del vero popolo americano. Per questa America è stato un segno molto importante — il gusto della forza e del potere, il gusto della vittoria.

Pertanto, non dovremmo abbandonare completamente la “geopolitica verticale”. Sì, dobbiamo riconoscere che abbiamo perso Donald Trump — che è sembrato essere solo un altro bluff, manipolato dai soliti CFR e dai neocon. Ma abbiamo ottenuto un alleato molto più potente — il popolo americano.

La lotta del popolo contro l’elite globalista e contro la Palude con Trump come simbolo non è durata a lungo. Ma essa rappresenta un sintomo. La delusione verso Trump è un fenomeno naturale e i traditori sono generalmente avviati ad un destino vile. Ma non possiamo più identificare direttamente l’Atlantismo e il globalismo con gli Stati Uniti d’America. In questa elezione abbiamo visto un’altra America, l’America profonda, dignitosa e coraggiosa. E anche se siamo costretti ad impegnarci in un conflitto globale contro la Talassocrazia (in quanto Tellurocrazia non abbiamo altra scelta), saremo obbligati a operare una distinzione tra l’élite americana, che ha iniziato una guerra e che necessita di esser ripagata con lo stessa moneta, e l’America reale, l’America americana. L’élite americana non è americana. È formata da usurpatori della vera volontà del popolo americano. Quindi abbiamo bisogno di trasformare la guerra imperialistica che è in arrivo in una guerra planetaria di popoli dotati di loro identità e culture contro le élite globaliste che sfruttano qualsiasi popolo — americano, russo, francese, tedesco — ma anche arabo, iraniano o turco. La “geopolitica verticale” diventa così l’invito alla Rivoluzione Conservatrice globale. E in questo processo noi siamo alleati degli americani, non loro nemici.

L’antiamericanismo non è più all’ordine del giorno, non solo a causa delle promesse filo-russe di Trump, peraltro non ispirate da lui, ma perché il popolo americano ha fatto prova della sua dignità avendo votato per la giusta Idea. E non è colpa sua se il portatore di questa Idea si è rivelato una nullità. È la Scelta che è importante.

E poi, abbiamo visto un fenomeno nuovo — gli intellettuali conservatori americani, e anche i tradizionalisti. Questo distrugge l’immagine del tipico americano come un completo deficiente globalista e uno zombie consumista. Questa America sa pensare. Questa è una scoperta.

E, infine, questa vera America è schierata contro i potenti e influenti rappresentanti dell’élite finanziaria globale. I ricchi sostenitori di Trump hanno dimostrato che esiste ancora una capitale nazionale. Non tutti i tipi di capitalismo sono globalisti e internazionalisti per definizione — non importa quanto questa affermazione risulti in contrasto con il marxismo. Non c’è solo un’oligarchia internazionale, anche se questa prevale, ma ve ne è una nazionale e persino nazionalista. Quindi abbiamo veri e potenti alleati tra gente importante. Procederanno ad un’analisi corretta della storia di Trump e ne trarranno certamente delle conclusioni.

Quindi non tutto è perduto. Siamo solo all’inizio.

 

 

Il traduttore: Donato Mancuso