L’Occidente ha provocato un’ondata di russofobia
Traduzione a cura di Costantino Ceoldo
Durante la seconda settimana dell’operazione militare in Ucraina, il mondo intero ha assistito ad uno scoppio di odio verso i russi. Non sono stati diffusi solo slogan astratti contro la Russia, ma anche specifici appelli all’omicidio. Abbastanza spesso tali discorsi di odio si sono trasformati in azioni. In Irlanda, un camion ha speronato l’ambasciata russa e, a Vancouver, vandali sconosciuti hanno versato vernice sulle porte del teatro russo. In Germania sono state incendiate le porte di una scuola russa. A Oxford, la Chiesa ortodossa di San Nicola è stata svaligiata mentre raccoglieva aiuti per i rifugiati ucraini. E negli Stati Uniti è stato vandalizzato un ristorante chiamato “Russian Samovar”, di proprietà di un ebreo ucraino.
Altre cose assurde hanno cominciato ad accadere in Europa, dove la cultura e la storia russa sono state ostracizzate. In Italia ci furono tentativi di bandire Dostoevskij, ma l’intervento attivo dei russi locali ha prevenuto questa follia politica alla maniera dei nazisti tedeschi che avevano bruciato una letteratura ritenuta non corrispondente allo “spirito ariano”. Anche Čajkovskij è stato bandito.
La scorsa settimana Meta, contrariamente alle sue regole abituali, ha consentito temporaneamente di pubblicare su Facebook e Instagram appelli alla violenza contro l’esercito russo. Ciò risulta dalle comunicazioni interne viste dai giornalisti di Reuter. Un rappresentante della società ha commentato all’agenzia di stampa che ciò sarebbe stato consentito solo nel contesto della guerra in Ucraina e solo contro i militari (ma non contro i prigionieri di guerra). Tuttavia, non sarebbe stato autorizzato lo scrivere cose del genere sui civili. Secondo Reuters, il 14 marzo il vicepresidente di Meta, Nick Clegg, aveva già annunciato il divieto di desiderare di morte per i presidenti, come ha scritto in proposito nella sua lettera allo staff.
Ma Facebook e Instagram sono già stati bloccati in Russia e molti utenti si sono precipitati in segno di protesta sui social network nazionali. Le azioni di Meta sono crollate sul mercato azionario. Ovviamente l’auto-screditamento di questa azienda continuerà e non saranno solo gli utenti russi che la lasceranno, percependola come una piattaforma tossica
Ma accanto alla russofobia, sono stati chiaramente smascherati anche i problemi del razzismo. Inoltre, i primi segnali sono arrivati dall’Ucraina, dove agli studenti stranieri che erano tra i profughi che cercavano di lasciare il Paese e di recarsi in Polonia sono stati negati i servizi necessari. Sono stati semplicemente fermati e fatti aspettare, provocando una tempesta di indignazione in diversi Paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina.
Un caso significativo si è verificato in Messico, dove anche l’ambasciata ucraina a Città del Messico, che recluta mercenari, è stata oggetto di scandalo a causa della discriminazione razziale. Un giornalista messicano, Gabriel Infante, ha fatto un’osservazione sull’account Twitter dell’ambasciata ucraina che il governo ucraino aveva chiuso i media dell’opposizione: 112 Ukraine, ZIK, NewsOne e Страна.ua. In risposta, i diplomatici ucraini hanno affermato che “Sta ancora diffondendo propaganda russa senza essere mai stato in Ucraina. Quindi abbiamo una domanda per lei, signor giornalista: viene pagato in rubli o tamale?”.
Il fatto è che nel discorso messicano la parola “tamale” può essere un termine dispregiativo a seconda del contesto in cui viene usata. È un piatto tradizionale centroamericano di tortillas di mais avvolte in una banana o foglia di mais. Negli Stati Uniti, i messicani o i chicanos sono spesso soggetti a questo tipo di insulti, perché lì sono imputati all’amore obbligatorio per tamales, burritos e tacos e il messaggio è che l’unico lavoro che meritano è quello di essere un bidello o uno spacciatore drogato.
Questo messaggio sulla pagina ufficiale dell’ambasciata ucraina ha portato subito ad accuse di razzismo. I diplomatici ucraini hanno tentato di giustificare le loro azioni, ma si sono rivelati completamente incompetenti. Anche il presidente del Messico, Andrés Manuel López Obrador, ha reagito al caso definendo l’ambasciatore ucraino un “ambasciatore di un Paese sconosciuto” che “non sa nemmeno cosa sia un tamale” e dicendo che grazie ai social tutto viene fuori, compreso razzismo.
Ma i social network sono conseguenze strumentalizzate. Qual è la causa? Indubbiamente, l’élite politica e corporativa dell’Occidente ha svolto un ruolo importante nel fomentare la russofobia. Invece di frenare le esplosioni spontanee di odio e condurre misure preventive sulla tolleranza, di cui i democratici e i liberali amano parlare, l’Uniove Europea e gli Stati Uniti hanno messo in moto la macchina del razzismo. L’ex ambasciatore degli Stati Uniti in Russia, Michael McFaul, ha persino affermato che “non ci sono russi innocenti”. Certo, con la sua esperienza in Russia ha capito che la nostra società è fondamentalmente diversa da quella occidentale. Ma qual è la colpa dei neonati, degli anziani e dei comuni cittadini russi che sono lontani dalla politica?
Qui possiamo vedere una manifestazione delle cause alla base del razzismo epistemologico occidentale. Probabilmente il primo russofobo sistematico fu il marchese francese de Custine, famoso per il suo libro sul suo viaggio nella Russia dello zar Nicola I. Dopo di lui, ci sono state molte opere di altri autori che hanno accusato la Russia di inferiorità e sottosviluppo e considerava i russi selvaggi e barbari. Né le conquiste scientifiche né culturali della Russia, e poi dell’URSS, hanno cambiato questo punto di vista. Nel 1983, il britannico Andrew Cockburn chiamò l’Unione Sovietica “l’Alto Volta con i razzi”. E Ronald Reagan usò il termine “impero del male” lo stesso anno. I razzi in seguito divennero armi nucleari nel discorso occidentale, sebbene l’Alto Volta rimasse. La demonizzazione della Russia è continuata negli anni ’90 dopo il crollo dell’Unione Sovietica e si è intensificata solo con la rinascita del suo precedente potere.
Nikolay Danilevsky ha collegato la paura della Russia con il pensiero sulla dimensione sapziale degli europei. Nel suo libro “La Russia e l’Europa”, ha fatto una semplice tesi: basta guardare una mappa per capire che un’enorme massa di terra che incombe sulla piccola penisola occidentale dell’Eurasia spaventa gli europei. Probabilmente da questa paura è derivato il desiderio di abbattere la Russia, di renderla debole e non indipendente. Ed ecco una decisione sovrana sull’Ucraina, che va contro la volontà e gli interessi dell’Occidente!
La seconda ragione dell’attuale russofobia è la condizione stessa della società occidentale. Dopo il successo dei test con Black Lives Matters, Cancel Culture e le azioni disciplinari sotto le spoglie di misure anti-Covid, i cittadini un tempo attivi in materia di decisioni democratiche sono diventati, al massimo, una maggioranza silenziosa. Le persone oneste rischiano di finire in galera per le loro opinioni e libertà di parola. La diagnosi è molto grave e questa grave malattia sarà difficile da curare. Ma bisognerà farlo, in un modo o nell’altro.