Richard Black parla ancora

25.09.2019

L’attacco degli Houthi yemeniti contro le installazioni petrolifere saudite è stato inatteso quanto improvviso ed ha messo gli Occidentali di fronte ad una realtà che preferivano ignorare. Gli Houthi dello Yemen non sono, cioè, una tribù di cavernicoli male in arnese che si illudono di resistere ai più preparati eserciti sauditi ed occidentali ma soldati disciplinati e pieni di ardore, esperti della guerra moderna e che possono ottenere risultati notevoli con i mezzi che hanno a disposizione. 

Lo stupore che ha colto le cancellerie occidentali dopo il successo dell’attacco yemenita contro le installazioni ARAMCO fa capire quanto l’Occidente in crisi si sopravvaluti e si ostini a guardare al resto del mondo con l’aria di sufficienza di chi non ha capito quale piega abbiano realmente preso gli eventi.

La guerra dell’Arabia Saudita contro gli Yemeniti è una sporca guerra di procura per conto degli Stati Uniti, parte del rimodellamento del Medioriente progettato ben prima dell’11 settembre e avviato subito dopo gli attacchi del 2001 sul suolo americano. A pagare il prezzo di questa follia, che aveva ed ha ancora adesso come bersaglio finale la distruzione della Russia e il confinamento della Cina, sono state le popolazioni di Nazioni un tempo prospere come la Libia, la Siria e l’Iraq che si sono viste finire nel tritacarne di guerre civili senza fine.

Vale la pena ricordare una volta ancora come l’attacco degli Houthi abbia dimostrato quanto sia difficile, se non impossibile, difendere le migliaia di chilometri di oleodotti che attraversano il deserto saudita. La guerra contro l’Iran, la guerra che i falchi dello Stato Profondo americano vogliono fortemente assieme ai loro amici israeliani, non sarebbe quindi una tranquilla passeggiata mattutina ma qualcosa pieno di terribili incognite.

Sul versante americano, l’attacco yemenita ha accelerato l’allontanamento del super falco John Bolton che il presidente Trump ha sostituito con Robert O’Brien come nuovo consigliere per la sicurezza nazionale. Il passato di negoziatore di ostaggi di O’Brien lascia sperare un approccio diplomatico diverso. Invece di negoziati muro contro muro, con la pistola sul tavolo, qualcosa di più smussato, con una sensibilità diversa. Questa è la speranza, ma la realtà?

L’Occidente ha poche persone che cercano di contrastare la follia insensata e senza fine dei neoconamericani. Una di esse è il Repubblicano Richard Black, del senato statale della Virginia.

Secondo Black, John Bolton non deve essere sottostimato, dal momento che è realmente un bullo molto aggressivo, privo di scrupoli e disonesto. Un individuo, Bolton, orgoglioso di mentire ed assetato di sangue, che molte volte ha posto il presidente Trump in situazioni che avrebbero potuto innescare una guerra. Anche il nuovo consigliere per la sicurezza nazionale, O’Brien, è connesso allo Stato Profondo americano come i suoi predecessori e vicino al falco Mitt Romney ma si commetterebbe un errore pensando che Bolton ed O’Brien siano semplicemente intercambiabili. Bolton si è dimostrato incompetente nel gestire la crisi nel Venezuela, cercando di imporre ai venezuelani uno sconosciuto Juan Guaidò come nuovo presidente e mettendo alla fin fine in imbarazzo la stessa Casa Bianca. I suoi continui tentativi di scatenare una guerra contro l’Iran hanno fatto capire a Trump come la sua rielezione sarebbe diventata impossibile in caso di uno scontro con Teheran. La stessa composizione del Parlamento americano ne sarebbe risultata stravolta, con la possibile scomparsa del partito Repubblicano stesso.

L’appoggio di John Bolton (e Mike Pompeo) ai miliziani anti-ayatollah del MEK, organizzazione anti-iraniana che ha in Albania una enorme base operativa creata e finanziati dagli Stati Uniti, questo appoggio ha aggravato la frattura tra Bolton e il presidente Trump.

È opinione di Richard Black che le primavere arabesiano state una delle operazioni di maggior successo della CIA. Ma è un successo che ha causato enorme sofferenza al mondo intero e che ha permesso unicamente l’avvio di guerre contro le Nazioni bersaglio. La Libia, per esempio, che prima dell’intervento americano (e NATO) era una delle Nazioni più prospere e in rapido sviluppo del Nord Africa. O la Siria, dove le donne godevano e godono ancora adesso di grande libertà e diritti, ancora sotto attacco da parte dei miliziani jihadisti spalleggiati da Washington. Prima ancora l’Iraq, contro il quale si scatenò l’estro creativo di John Bolton che fece entrare in guerra gli Stati Uniti con la scusa di inesistenti armi di distruzione di massa. Quindi no, il mondo non ha tratto beneficio dalle primavere arabe.

Ma allora perché gli Stati Uniti non sembrano in grado di concludere le guerre che iniziano? Qui Black non ha timore di parlare chiaro, come sua abitudine: sono i grandi interessi economici e politici che stanno dietro alle guerre e che le seguono, ad impedire la fine dei conflitti, anche quando è sempre più evidente che le enormi spese militari, causate da un continuo stato di guerra, stanno portando il Paese alla bancarotta. Questa è ben più di una semplice eco dell’avvertimento che il generale Eisenhower, nel suo discorso di addio, lanciava quando metteva in guardia contro la crescente influenza del pur necessario complesso militare-industriale e contro i suoi insaziabili appetiti.  È un’affermazione netta, chiara, leale su un oggettivo stato delle cose e per questi motivi rimarrà, ahimè, inascoltata.

Nel tentativo di ridisegnare il Medioriente, gli Stati Uniti hanno sempre più appoggiato e difeso l’Arabia Saudita, uno dei regimi dittatoriali più sanguinari che esistano ed hanno ostacolato in ogni modo l’Iraq, che pur non essendo una democrazia secondo i criteri occidentali, aveva sempre permesso quella libertà di religione che, se cercata in Arabia Saudita, può portare facilmente alla decapitazione.

Quello americano è quindi un atteggiamento che non paga: le Nazioni bersaglio di Washington si stanno riorganizzando e si aprono a mercati diversi da quelli occidentali. Cina ed India stanno realizzando grandi affari in Iran, affari che avrebbero potuto essere fatti dagli americani se non fosse prevalso un atteggiamento bellicista. 

Il senatore Black non sa dire da dove provenissero esattamente i droni che hanno colpito le installazioni petrolifere saudite ma si dice certo non provenissero dall’Iran. I danni sofferti dalle installazioni ARAMCO sono stati inflitti da soldati esperti, gli Houthi, che fronteggiano un nemico, i sauditi, incompetente ma spaccone: incapaci di usare le batterie Patriot che proteggevano gli impianti, si sono lasciati colpire da un nemico che reputano inferiore. Sono degli spacconi. Dei bulli.

Alla fin fine, il popolo americano è stanco della guerra, è stanco del continuo guerreggiare che dura da diciotto anni a questa parte. Possiamo dire che il presidente Trump è nel giusto quando cerca di evitare una nuova avventura militare dagli esiti incerti ma potenzialmente devastanti. 

Video intervista al senatore Richard Black:

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Costantino Ceoldo – Pravda freelance