La dissacrazione di cui nessuno parla

11.06.2024

In questi giorni è uscito nella sale il nuovo film di Paolo Zucca: Vangelo secondo Maria. L’opera non è affatto una personale rilettura dei Testi Sacri, ma è tratta dal romanzo omonimo, uscito nel 1979, della scrittrice Barbara Alberti, che qui firma insieme al regista anche la sceneggiatura. Protagonisti sono una giovane Maria, e Giuseppe, interpretati da Benedetta Porcaroli e Alessandro Gassmann. Il film, come d’altra parte il libro, vuole descrivere il desiderio e la caparbietà di una donna, Maria appunto, di emanciparsi e studiare andando addirittura ad Alessandria d’Egitto, rompendo le regole della società nella quale viveva. Un’ode quindi ad una certa idea di libertà, ad un femminismo che si fa lotta al patriarcato, tema che tanto oggi è di moda e cavalcato in alcuni ambienti.

Ci immaginiamo come il film possa ricevere critiche, anche feroci, da buona parte del mondo cattolico, ma anche da altri ambienti “non allineati” alle ideologie e al pensiero oggi dominante. Tuttavia, crediamo che si resterà sempre alla superficie delle cose, in un dibattito che vive di fazioni, le quali, senza esserne consapevoli, condividono però il medesimo terreno di scontro, ovvero la mentalità dell’era moderna, la quale è tutta intrinsecamente profana, come abbiamo già più volte delineato.

Noi qui allora proveremo a condurre il lettore volenteroso al di fuori di quella cornice mentale mostrando come la dissacrazione compiuta da alcune opere, la banalità di molte altre, ma anche la solo presunta bontà di alcune, nasca da un presupposto che davvero raramente viene esplicitato.

Nei primi secoli, nelle chiese campeggiava il segno solare e trionfante della nuda Croce. Non si insisteva visivamente così sul supplizio di Gesù, ma si indicava la vittoria definitiva sulla morte, perché l’arco terreno del Signore si conclude con l’Ascensione e non sul Calvario. Il Crocifisso è comparso molto dopo e nelle prime raffigurazioni non aveva i tratti dolorosi a cui ci si è via via abituati. Nel corso del tempo si sono infatti sempre più umanizzate le figure di Gesù e della Vergine, tanto che all’arte propriamente sacra si è alla fine sostituita quella tutt’al più religiosa.

Questa umanizzazione ha un’origine lontana ma ben precisa: si è abbandonata la lettura simbolica della Rivelazione di cui erano maestri i Padri della Chiesa, primi fra tutti quelli della scuola di Alessandria e Agostino. Senza minimamente mettere in dubbio la storicità dei fatti e dei soggetti protagonisti delle Scritture, nella lettura bisognava oltrepassare il piano letterale, che Agostino definiva addirittura “teatro”, per cogliere i plurimi sensi teologici. Giustamente come qualcuno ci faceva notare, se esiste una Sacra Scrittura, deve esserci allora anche una Sacra Lettura. Per tutto il Medioevo, però, si conservò e si coltivò la piena coscienza della realtà simbolica del Cosmo, secondo la legge dell’analogia. Di conseguenza ogni attività umana aveva da costruirsi secondo il simbolo, anche l’ordinamento della Civitas. Lo possiamo vedere ancora oggi, ad esempio, nelle splendide cattedrali, opere in cui il simbolo erompe da ogni pietra, da ogni proporzione. Ma anche di questa sapienza, nell’arco di pochi secoli, non restò più nulla.

Oggi viviamo la fase più bassa di tale declino. Lo storicismo e lo psicologismo sono ormai le guide su cui si costruisce l’esegesi. Del simbolo, come elemento fondante della Realtà, non restano che tracce in alcuni circoli di studiosi, o poco più: il popolo “credente” non ne sa più nulla.

Tornando dunque alle figure di Gesù e della Vergine e alla nostra incapacità di coglierle nella loro piena maestosità, vogliamo qui proporvi alcune parole di fuoco di un vero sapiente vissuto nel secolo scorso, il padre Agostino Zanoni, che fu anche priore dell’Abazia Benedettina di Farfa.

«Gesù e Maria hanno comune con noi la natura, ma la possiedono in forma e funzioni assai diverse dalle nostre. Gesù, perché la sua natura umana sussiste nel Verbo e si esprime unicamente attraverso il Verbo; Maria perché è la Concezione Immacolata e quindi l’immortale, l’incorruttibile, la piena di grazie e di scienza fin dal suo concepimento. In Gesù e Maria non vi era, né vi poteva essere, l’ombra di difetti e di imperfezioni anatomiche come non ve ne erano nelle funzioni del loro metabolismo; e il sistema nervoso aveva sortito con la perfettissima disposizione anatomica un potere funzionale il più perfetto possibile. Gesù e Maria sono la nostra perfetta antitesi e solo l’ignoranza nostra può spingerci a far loro da maestri. [...] Si tenga anche conto dell’impeccabilità e indefettibilità di Gesù e Maria. Il male morale, la tendenza, l’inclinazione al mal fare, le passioni, la seduzione dell’ambiente, il demonio ecc. non avevano alcun rapporto o alcun potere su di loro, e anche questo concorre efficacemente a dare una impostazione psichica, morale e spirituale, a noi completamente ignote ed estranee. [...] La Madonna non aveva la scienza beata ma aveva la pienezza della scienza infusa, e come fu “gratia plena” sin dal primo istante di sua esistenza, così fu anche “scientia plena”».

Nello specifico dell’arte ancora il padre Zanoni ci lumeggia: «L’arte è pure, in gran parte, responsabile del disonore che noi gettiamo sul Verbo Incarnato e sulla divina sua Madre. È soprattutto nella tragedia del Calvario (ma dovunque del resto, quando si tratta di Dio e di sua Madre) che l’arte vien meno e si disonora. [...] Coloro che vanno in estasi dinanzi alle Madonne ritratte dall’Arte, non hanno compreso affatto la definizione che Lei ha dato di se stessa: Io sono la Concezione! Io sono l’Immacolata! D’accordo che non la si può ritrarre, ma d’accordo anche che è un delitto dare a Lei e a Lui eccessivamente del nostro».

Se queste parole vi sembrano forti è solo perché siamo talmente impastati di materia, anche quando ci definiamo credenti, che non intendiamo più il vero linguaggio dello Spirito. Vi sarebbe invero da approfondire, e molto. Qui ci basti ricordare come anche padre Dante insegna che la Vergine è «umile e alta più che creatura». E S. Ireneo, discepolo dei discepoli di Giovanni Evangelista, attesta che con la nascita di Maria la Storia “compie un rigiro” oltre Adamo.

La profanazione a cui si assiste in modo ancor più evidente negli ultimi tempi è dunque, prima di tutto, quella di aver perduto il reale valore di tali Soggetti Divini. E le rappresentazioni cinematografiche, anche quando non sono manifestamente blasfeme, sono però l’esaltazione della fisicità, della carnalità di corpi che avevano invece ben altra natura rispetto ai nostri, delle vicende narrate come semplici racconti da cui far emergere un insegnamento morale, mentre tutto ha da intendersi nel significato simbolico che si cela sotto la superficie della “lettera”. Si esalta la storia e si è sempre più estranei allo Spirito.

Similmente, anche se con le dovute proporzioni, assistiamo allo scempio che si compie nelle opere che narrano vicende dell’antichità, non solo biblica, ma anche della Grecia, dell’Egitto, di Roma. Si rivestono i personaggi della psicologia dell’uomo d’oggi, mentre la loro struttura psichica e intellettuale era affatto diversa, diciamo, senza pericolo di esagerazione, “altra”. Quegli uomini vedevano, pensavano, sentivano in un modo completamente diverso da noi.

Tutto questo lo si compie per ignoranza e per una più o meno subconscia presunta superiorità rispetto a coloro che ci hanno preceduto. Sta di fatto che alimenta la stessa ignoranza nello spettatore che osservando personaggi non troppo dissimili da lui verrà coinvolto con facilità nella storia e riuscirà ad immedesimarsi con loro.

Con facilità si leveranno obiezioni in difesa di opere cinematografiche che hanno saputo rendere la bellezza e la profondità degli eventi narrati nella Bibbia o in quelle ambientate in antiche civiltà, come quelle citate sopra. Non neghiamo che vi sia del talento e una sensibilità non comune in alcuni, pochi, autori e quindi degli elementi da elogiare in alcune pellicole prodotte lungo un secolo di cinema. Ma non è questo il punto. Così infatti si rimane confinati nella cornice mentale della nostra era.

Davanti ad opere che irridono la fede di milioni di persone, o che tentano letture personali e “ardite” le critiche finiscono sempre per trovare come unico colpevole quelle forze rivoluzionarie che si pongono in chiara antitesi alla religione e ai suoi princìpi. Forze che non solo dominano la scena artistica moderna, ma che paiono essere padrone della società tutta. Come facile controprova del resto, vengono portati autori che rispettano i contenuti di fede e sanno raccontare con efficacia le vicende evangeliche.

Questa lettura ha anche il grande vantaggio di trovare subito il favore di tutti quegli ambiti reazionari che vengono così sollevati da ogni responsabilità, avendo sede, il male, tutto dalla parte avversa. Si raccolgono applausi e facili attestati di stima, ma non si fa cultura.

Noi qui, al contrario, vogliamo condurre i lettori a vedere questa realtà, ma non solo questa in verità, secondo il pensiero tradizionale. Vi è una linea netta che divide coloro a cui basta “avere ragione” e quelli che vogliono cercare il tesoro nascosto nel campo: a questi ultimi noi ci rivolgiamo. Non troveremo folle entusiaste ad applaudirci, ben lo sappiamo scrivendo e testimoniando queste cose da molti anni, perché il discorso che abbiamo sviluppato ci getta fuori dalla cornice di pensiero della modernità. Ed è quanto di più doloroso e per certi versi incomprensibile alle menti odierne. E perché tale discorso ci chiama in causa personalmente tutti, evidenziando la nostra corresponsabilità ai mali d’oggi. Certo vi sono cause più prossime, come quelle che conducono ad alcuni ambienti progressisti. Ma questo è non volersi allontanare più di tanto dal sintomo ultimo, terminale. Bisogna invece risalire alle cause prime, non importa quanto lontane.

La dimensione del sacro è qualcosa che noi abbiamo perduto. E non da poco tempo! L’invisibile è a portata di mano, ma tutto questo, se va bene, ci fa sorridere.

Cosa può allora l’arte e in particolare il cinema? Addentrarsi in questo mistero, riconoscere la nostra piccolezza di moderni e comprendere che per esprimere l’ineffabile, l’indicibile occorre adeguare ad esso il linguaggio dell’arte. Un linguaggio poematico, potremmo dire. Perché anche il cinema deve saper celare, deve saper evocare, deve sapere dire oltre le parole e le immagini, deve parlare all’anima. E vi deve essere un pubblico disponibile a lasciarsi condurre su questi territori.

Come dice Andrej Tarkovskij: «L’immagine non è questo o quel significato espresso dal regista, bensì un mondo intero che si riflette in una goccia d’acqua, in una goccia d’acqua soltanto!».

Fonte