Italia attuale: un tentativo di analisi
In un tempo recente della propria storia repubblicana, l’Italia è stata investita da una serie di eventi che hanno lasciato un segno purtroppo pericolosamente quasi indelebile. Dico “quasi” perché dentro di me coltivo la speranza che il meccanismo possa ancora essere invertito e che il nostro amato Paese abbandoni il pericoloso declivio che la porterà inevitabilmente ad essere prima un non-Stato e poi una preda da essere spartita tra quelle potenze europee, ma non solo europee, che gli ingenui, gli stupidi, i venduti e i traditori qui da noi ancora si ostinano a considerare come amiche ed alleate.
Per cercare di far luce su questa situazione e sulle sue possibili soluzioni, ho intervistato il professor Gianfranco La Grassa, per molto tempo ordinario di economia politica nei due prestigiosi atenei di Pisa e Venezia e tra i responsabili del sito di analisi geopolitiche “Conflitti e Strategie”.
D) Grazie di essere qui con noi, professore. Come prima domanda, ci spiegherebbe perché un blog come Conflitti e Strategie?
R) Il sito è la continuazione di uno di nome “Ripensare Marx”, creato da due giovani pugliesi nel gennaio 2006. Essi mi chiesero subito di collaborare ed io accettai. Tre o quattro anni dopo, si decise di mutare il nome poiché il quadro degli interessi si era allargato fin da subito. Vi era pur sempre l’interesse a riformulare in modo adeguato il pensiero di Marx, profondamente alterato e frainteso dalla stragrande maggioranza dei movimenti e studiosi che a questi si sono richiamati. Tuttavia, dalla coerente formulazione di quel pensiero (su cui molti libri ho scritto ed uno, “In cammino verso una nuova epoca”, è di prossima uscita) i nostri interessi si erano allargati all’analisi dell’attuale fase storico-politica e anche ad eventi contingenti susseguitisi in tutti questi anni.
D) Lei non ha mai fatto mistero di ritenere l’inchiesta Mani Pulite un colpo di Stato contro l’Italia. Una rivoluzione colorata in stile giudiziario. Perché?
R) Una risposta esauriente richiederebbe alcune pagine per collocare l’evento nella sua più corretta prospettiva. Fin dall’inizio ne afferrai il proposito di far cadere la “prima Repubblica”, fondata sull’ormai lungo periodo di governo del pentapartito e soprattutto di DC e PSI, principali suoi protagonisti almeno a partire dal governo Moro del dicembre del 1963. Dalla fine degli anni ’60, ma soprattutto dall’inizio di quelli ’70, avvenne l’inavvertito dai più (anzi da tutta la popolazione) spostamento di campo del PCI (guidato da Berlinguer) verso l’atlantismo. Numerosi i contatti tra questo partito ed “ambienti” americani, culminati nel viaggio “culturale” di Napolitano negli Usa (1978) proprio durante il rapimento Moro, conclusosi come ben si sa. Su questo evento invito semmai a leggere l’intervista a Pasquale Squitieri sul “Fatto quotidiano” del 17 settembre 2016, che non mi sembra sia mai stata smentita. In ogni caso, saltando molte cose da dire, rilevo che, dopo il “crollo del muro” (1989) e la dissoluzione dell’Urss (1991), si compì definitivamente lo spostamento di campo del Pci che – dopo un dibattito durato alcuni anni (e soprattutto dalla svolta della Bolognina nell’89) – giunse nel 1991 a mutare nome nel PDS (poi, via via, divenne DS e infine PD). Il mutamento di campo del PCI – perfezionatosi soltanto quando infine sparì il “campo socialista” e pure l’URSS – è fondamentale per comprendere i reali motivi dell’operazione giudiziaria, che sostituì un più chiaro e netto confronto politico, piuttosto pericoloso per i vari protagonisti poiché avrebbe meglio fatto comprendere quanto l’Italia sia stata una pedina fondamentale (e ben servile) nella politica statunitense. E continua ad esserlo in forma sempre più spinta.
D) Eppure molte delle accuse ascritte ai partiti usciti distrutti dalla vecchia Prima Repubblica erano vere….
R) Da tempo, si sapeva della corruzione e dei pagamenti di tangenti, ma non si andò mai avanti fin quando esistette il sistema bipolare ed era pericoloso creare instabilità in Italia. Proprio per questo, ogni tanto DC e PSI si permisero azioni non del tutto piaciute agli Stati Uniti. Si pensi a certi contatti con i palestinesi e anche con Paesi dell’Europa orientale, ecc. E del resto, la corruzione è stata in seguito minore? E oggi, come siamo messi? “Mani pulite” liquidò di fatto la parte decisiva della DC e in pratica l’intero PSI, salvando PCI e “sinistra DC”, che non credo affatto fossero meno colpevoli. Ricordo il miliardo di Gardini, seguito fino alle Botteghe Oscure, ma poi l’inchiesta si arenò perché non si trovava chi materialmente avesse preso quei soldi. Ricordo che il magistrato Tiziana Parenti, che s’interessava delle tangenti al PCI, fu di fatto ostacolata nei suoi compiti (si legga, fra l’altro, una sua interessante intervista a l’“Avanti” il 30/8/2012). Adesso è impossibile in poco spazio riferire di un certo numero di notizie, dalle quali non potevo non concludere che l’operazione giudiziaria era servita ad un cambio di regime, al fine di avere una dirigenza italiana assai meglio allineata agli USA (come poi si constatò, con speciale evidenza, nel 1999 quando, D’Alema al governo, l’Italia fu particolarmente servile nell’aggressione alla Serbia al seguito di Bill Clinton). In definitiva, per farla breve, mi orientai fin da subito su chi volle quell’operazione giudiziaria, che sostituì una più aperta battaglia politica “di cambiamento”. Da allora, in molteplici occasioni allo scontro politico, chiaro e netto, si è sostituito l’intervento della magistratura. Questo non è stato l’unico motivo dello scadimento del quadro politico che è veramente impressionante; ma ha di sicuro contribuito in tal senso.
D) Ci può descrivere la situazione attuale dell’Italia? Che cosa è cambiato da allora?
R) Francamente, è impossibile rispondere a questa domanda in poche parole. Invito soltanto a comprendere come la situazione italiana sia oggi, ancor più di ieri, assai influenzata, direi quasi legata, a quella internazionale. La fine del sistema bipolare (Usa-Urss) ha determinato la fine della “prima Repubblica” e ha ancor più ristretto i margini di autonomia dell’Italia rispetto al Paese predominante in campo “occidentale”. Anche all’interno dell’Europa – e in specie dopo la nascita della UE – noi siamo fortemente condizionati dai due Paesi principali, Germania e Francia, che conducono “le danze”, pur esse in preciso collegamento con i vertici statunitensi. Oggi, siamo in una fase di accentuazione del multipolarismo, soprattutto per merito (perché per me è un merito) di Russia e Cina (secondo il mio avviso, contrariamente a quanto pensano in molti, la Russia sarà nuovamente il principale antagonista degli USA). Attualmente – e l’elezione di Trump ne è stato l’indice – si sta sviluppando nel Paese d’oltreatlantico un contrasto assai più forte di quelli già verificatisi in passato. Vi è un certo declino di quel Paese, un andamento della sua politica estera solo apparentemente deciso, in realtà caratterizzato da qualche incertezza sul da farsi, che si è fatta sempre più evidente dall’inizio di questo secolo. Non posso diffondermi in merito, ma diverse sono state le strategie attuate durante le presidenze di Bush jr. e Obama; e oggi, con Trump, l’incertezza e l’andamento ondivago aumentano, in conseguenza dell’acutizzarsi del conflitto tra diversi orientamenti. Anche il vertice della UE è stato investito da questo scontro; esso tende a essere ancora schierato in prevalenza con l’establishment della precedente presidenza statunitense, che è sempre in attacco della nuova. Di tutto questo fa le spese in particolare il nostro Paese. In realtà, si aprirebbero prospettive di sganciamento da una eccessiva dipendenza sia dagli Usa che dai vertici UE. Tuttavia, non mi sembra vi siano ancora le forze capaci di sfruttare certe occasioni; i cosiddetti “vincitori” delle ultime elezioni sembrano muoversi in modo diverso dal PD (e anche dal Berlusconi che si sottomise a Obama al G8 di Deauville nella primavera del 2011), ma appaiono assai incerte e compromissorie.
D) Parliamo delle elezioni politiche del 4 marzo… perché lei non è andato a votare?
R) Non vado a votare dal 1979 (ho fatto un’eccezione solo alle europee del 1999 per motivi su cui non è importante qui diffondersi). Mai creduto alla bontà della sedicente “democrazia” basata sulla sfilata alle urne. Per me non ha nulla a che vedere con il decantato “governo del popolo sovrano”. Il popolo è concetto improprio di una realtà inesistente. Esistono popolazioni variamente stratificate in ceti sociali a diverso tenore di vita, che si riflette nei vari modi di pensare e di valutare i propri interessi. Anche in senso orizzontale – per gli stessi livelli di reddito e modi di vivere – esistono differenti gruppi sociali con loro intenti specifici. Nelle fasi storiche di relativa tranquillità e stabilità – come fu per l’Europa occidentale e anche per l’Italia (a parte particolari turbolenze soprattutto nel boom economico del 1958-62 e poi negli anni ’70 per motivi su cui non ci si può qui diffondere) il periodo del sistema bipolare (1945-1991) – questo tipo di “democrazia” equivale ai sondaggi che si fanno sulle preferenze dei consumatori relativamente a varie marche di un dato prodotto. I consumatori, in tutta evidenza, non sanno un bel nulla di quel prodotto e con quali specifici procedimenti questo viene ottenuto da ognuna delle diverse imprese produttrici. Semplicemente, essi tendono a preferire quelle imprese che riescono a prevalere nell’ambito della pubblicità e di varie tecniche di marketing. Così pure è per i vari partiti; e ancor più quando si dissolvono le ideologie di cui tali organizzazioni erano state portatrici. Quando si arriva alla situazione odierna di scontri sempre più accesi tra Paesi vari (multipolarismo) – e in fondo siamo all’inizio di una fase del genere – l’appello alle urne si fa via via più inadatto a risolvere i gravi problemi che si vanno producendo all’interno di tali Paesi a causa degli urti in atto. Occorrono ben altri sistemi, che vengono esorcizzati dai gruppi al potere da molto tempo, e dunque profondamente reazionari, come tendenze “populiste”, alla “dittatura” e altre menzogne simili.
D) Siamo oramai ai primi di aprile e non abbiamo ancora un governo. Che ne pensa dei risultati elettorali? C’è qualche speranza?
R) Secondo me il voto è stato espressione, da parte di una buona maggioranza di coloro che si sono recati alle urne, di un deciso “vaffa….”. Il malcontento è notevole, ma tutt’altro che consapevole di ciò che ci vorrebbe (sia chiaro che nemmeno io lo so bene, non fingo di saperne molto). Dubito però che le due forze vincenti conoscano veramente quanto serve di più al Paese e, di conseguenza, esse si avvitano in continui compromessi che prendono per “alta politica”. I “5 Stelle” non afferrano che occorre un netto spostamento di alleanze in campo internazionale (ribadisco che la politica attuata in tale orizzonte dovrebbe guidare anche gli intendimenti di quella interna) e hanno fatto tutto il possibile per rassicurare i “predominanti” (Usa in testa, e perfino la NATO, la UE, ecc.). La Lega vorrebbe rappresentare i ceti piccolo-imprenditoriali e professionali (e le partite Iva). Intenzione in buona parte giusta, ma che non deve essere privilegiata rispetto ad una politica tesa allo spostamento (certo graduale e tenendo conto delle basi Nato, cioè americane, ecc.) di alleanze “verso est”: in definitiva, verso la Russia, guardando anche alle subpotenze regionali che abbiamo a sud, Turchia e soprattutto Iran. Al nostro interno, è poi necessario battere le tendenze al “piccolo è bello”, al “made in Italy”, al “turismo” e via dicendo. C’è bisogno di potenziare settori strategici; continuiamo a perdere terreno nel settore energetico, in quello delle telecomunicazioni, non parliamo dell’elettronica o dell’aerospaziale e via dicendo. Ovviamente, per difendere dati settori c’è bisogno anche di una specifica politica di alleanze con altre forze in alcuni Paesi europei, forze che si pongano nella stessa ottica delle nostre e contrastino i vari “Merkel e Macron” e guardino appunto a “est”. Per quanto riguarda in specifico il governo, mi sembra che i contorcimenti in atto (e l’incapacità di liquidare definitivamente i forzaitalioti che, guidati da Berlusconi, continuano subdolamente a tramare con i piddini renziani) non condurranno a soluzioni positive, bensì a nuovi inganni. Tuttavia, il 60% dei parlamentari è costituito da neoeletti; faranno tutto il possibile per non andare a nuove elezioni.
D) La diplomazia italiana è praticamente assente dalla scena politica internazionale. È il prezzo da pagare per essere sempre servizievoli ai voleri altrui?
R) Appunto, siamo assenti. Forse qualcuno, nei partiti vincenti alle elezioni, pensa a qualche cambiamento; ma c’è molto da fare per ristrutturare Servizi, apparati e comandi dell’esercito (integrati nella Nato con quelli statunitensi), forze di polizia (fra cui però c’è malcontento; non so, forse qualche possibilità esiste, ma non mi pronuncio in modo netto e sicuro). Nessuna prospettiva di uscire dall’atteggiamento servizievole senza una politica, lo ripeto con forza, in grado di proiettarsi fuori dalla Nato e dalla UE. Tuttavia, al momento sembrano in sostanza ancora assenti forze effettivamente nuove sia in Italia sia in alcuni Paesi europei. È evidente la necessità che non soltanto l’Italia sia interessata dallo sviluppo di nuovi orientamenti politici coerentemente autonomisti. Nessun bisogno che questi ultimi si affermino in tutti i Paesi dell’ormai dissestata “unione europea”; semplicemente in un certo numero d’essi, capaci di stringere forti collegamenti fra loro e di guardare alla Russia quale assai utile elemento equilibrante rispetto all’arrogante prepotenza degli Stati Uniti.
D) Secondo lei quali sono le differenze di principio tra Italia e Russia?
R) Domanda cui non è facile rispondere; di sicuro non in poche parole. In ogni modo, i due Paesi sono certo molto differenti per dimensioni, storia, risorse e potenza. Non so bene che significato attribuire a quel “di principio”. L’Italia, comunque, è sempre appartenuta al sistema capitalistico, anche durante il ben noto “ventennio” (fascista). La Russia ha alle spalle, per tre quarti del secolo XX, l’URSS, cioè l’esperienza nata con la “rivoluzione d’ottobre” (1917), che fu guidata dal partito comunista e dette inizio, nella credenza che a tal proposito dura tuttora, alla “costruzione del socialismo”, alla quale poi, con la seconda guerra mondiale e successivamente, si collegò un numeroso gruppo di Paesi. I due “campi” (capitalistico e socialistico) diedero vita al mondo detto bipolare, che ha caratterizzato la seconda metà del secolo scorso. Per quanto mi riguarda, da molto tempo ormai sono critico di quanto, nella sostanza, si pensa tuttora. È da rivedere intanto il concetto di capitalismo perché quello nato dalla prima rivoluzione industriale (1760-70/1830-40) in Inghilterra è assai diverso da quello affermatosi con lo sviluppo della formazione sociale statunitense. Quanto al preteso “socialismo”, c’è ancora più da dire, ma non certo in questa sede. Occorrerebbe costituire un serio gruppo di studio (teorico e storico) che non riesco a mettere in piedi. Vi insisto da tempo, ma siamo alla fin fine ancora solo in due. Termino, dicendo soltanto che la Russia odierna, a mio avviso, deve molto all’Urss che si pensava essersi dissolta. In un certo senso lo è stata, ma con molti lasciti “ereditari” (e non credo proprio tanto negativi) all’attuale Paese, pur ridotto di dimensioni; non però nella sua area, sociale ed economica, essenziale. La Russia, secondo il mio parere, diverrà nuovamente, pur con il dovuto tempo, l’antagonista principale degli Stati Uniti. Tuttavia, tale antagonismo dovrà essere – almeno penso sia da augurarselo – soltanto uno dei fattori del ripensamento generale delle trasformazioni da perseguire in un’epoca, che si annuncia notevolmente diversa da quella finora vissuta da molte generazioni. Meglio terminare qui.
D) E tra Italia e Korea del Nord? O con la Siria degli Assad?
R) Direi semplicemente di svolgere una politica estera che non segua minimamente gli USA e i vertici UE per quanto riguarda i comportamenti ostili nei confronti del nord Corea e della Siria di Assad. Tuttavia, non mi perderei troppo a immaginare chissà quali interventi in quelle aree. Soltanto una netta indisponibilità ad attuare politiche aggressive e campagne propagandistiche diffamatorie nei confronti dei sedicenti “dittatori” nordcoreano e siriano. Qualcuno, di tempo in tempo, vorrebbe deferire il secondo al Tribunale Internazionale per crimini contro l’umanità. Si ridicolizzino simili intenzioni, così come le “convulsioni” in merito all’avvelenamento della ex spia russa e altre manovre che dimostrano solo il decadimento di quest’“occidente”. Si rifiuti con decisione ogni richiesta di sanzioni contro la Russia, di espulsione di suoi diplomatici e altre provocazioni poste in atto da chi non sa più come riprendere il predominio di fronte al multipolarismo in avanzata. Non sto pensando ad alcun passaggio di servitù dagli USA alla Russia. Tuttavia, entro dieci anni o poco più, dovremmo riconquistare piena autonomia e stabilire contatti estremamente positivi con i russi, anche indisponendo, se necessario, gli “Yankee”; perché solo questo atteggiamento potrebbe determinare un nuovo equilibrio di forze e ostacolare coloro che aspirano a confronti bellici definitivi.
D) Qual è la sua soluzione per uscire da questa crisi di identità e amor proprio?
R) Mi sembra di aver già risposto nel corso di quanto affermato fin qui. Idee del tutto precise non posso averne. Non ho in mano apparati dei Servizi, militari, diplomatici, e via dicendo. Di più non sono in grado di dire. Continueremo a seguire l’evolversi della situazione e si dirà, di volta in volta, che cosa sembra necessario o almeno più utile compiere.
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Costantino Ceoldo – Pravda freelance
Videointervista su YouTube:
https://www.youtube.com/watch?v=0Kt8ZKUJvTc&t=926s
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