Eroi comuni: Ouday Ramadan, il vecchio siriano

31.07.2018
Un tempo il poeta ha scritto “Quando il tuo cuore chiama, tu come rispondi? Damasco, Tu sei il calice, il pennello, la spada…
 
Ho conosciuto Ouday Ramadan navigando l’oceano di Facebook, seguendo coste di post roboanti, costeggiando isolotti di notizie vere e notizie false, approdando in porti di luoghi comuni dopo aver veleggiato mari di banalità. 
 
Ne è nata un’amicizia dei tempi moderni, fatta di like, sorry, repost, di risposte brevi e salaci e, forse in futuro, chissà, di qualcosa di più profondo. 
 
Grazie a lui, ho scoperto una Siria che ignoravo e non sospettavo esistesse: una Siria vista con gli occhi di chi l’ama profondamente, occhi pieni di gratitudine e rispetto. Profondamente “assadista”, come lui stesso si definisce, Ouday si è speso per difendere con le parole la sua Siria fin dall’inizio della terribile guerra che la insanguina da quasi sette eterni anni. Dove altri hanno cambiato e ricambiato bandiera seguendo il vantaggio del momento, lui è rimasto invece sempre lo stesso. Non è un militare, non è un agente dei Servizi, non è a libro paga della famiglia presidenziale.
 
In realtà, il vecchio siriano ha anche radici libanesi e vive qui in Italia da molti anni, rispettato immigrato non clandestino. Poiché è così diverso dall’italiano medio che ci è stato astutamente imposto negli ultimi anni da forze che nulla hanno a che vedere con l’Italia, gli ho chiesto di raccontarci qualcosa di sé e della sua Siria. Ne è nata una conversazione amichevole, a tratti affettuosa, ben più lunga di quel che avevo pensato inizialmente e che mi è impossibile trascrivere dal parlato.
 
Ouday ci racconta la sua fanciullezza trascorsa tra Libano e Siria, tra due mondi completamente diversi come solo il Libano capitalista poteva esserlo rispetto alla Siria socialista del Baath. Erano gli anni della rinascita siriana dal giogo feudale del colonialismo ma anche quelli della guerra civile libanese. La necessità di emigrare all’estero per sfuggire a delle violenze sempre più pericolose, porta il giovane Ouday in Italia dove risiede ancora oggi. Vive nel nostro Paese amandolo e rispettandolo in un modo così profondo che non è comune nemmeno tra gli italiani. 
 
Dice Ouday: “… giri l’Italia per lungo e per largo, ti innamori di questa terra, ti innamori dell’uva, ti innamori del pomodoro, ti innamori della gente, ti innamori delle chiese, della Storia, … scopri che l’italiano per sua indole è aperto agli altri…”. Sono parole di chi ha vissuto senza l’iPhone tra le mani, in anni fortunati in cui internet era ancora solo l’idea perversa di qualche chilometro di cavi buttati alla meno peggio.
 
Per alcuni versi, Ouday mi ricorda il vecchio zingaro Melquiades di Cento anni di solitudine, così abilmente tratteggiato da Garcia Marquez: come in Melquiades, anche in Ouday si percepisce l’eco di una civiltà altra, antica, che contempla il tempo e l’umano con occhi diversi, con una intensità ed una profondità che non sono quelle occidentali.
 
L’amore per la sua terra natia è riemerso possente con l’iniziare della guerra. Una guerra che non è civile, come i media occidentali vorrebbero farci credere, bensì una guerra per procura, in cui attori stranieri si sono spartiti in anticipo quelle che avrebbero dovuto essere le spoglie della Siria, distrutta allo scopo di colpire con comodo Mosca e Pechino.
 
Ma ora che è quasi terminata la liberazione di Daraa, la città in cui hanno avuto inizio più di sette anni fa le proteste pilotate dall’Occidente, Idlib è lì che attende. I figli e le figlie della Siria si preparano per la madre di tutte le battaglie, quella che porterà a compimento la liberazione e la riconquista della Patria.
 
È geopolitica, ma non solo: l’Iran è presente sul suolo siriano per onorare il debito contratto quando Assad padre aiutò la Repubblica Islamica aggredita dall’Iraq di Saddam Hussein, la Russia è impegnata a difendere i suoi interessi nel Mediterraneo e preoccupata di una vittoria jihadista, pericolo che aveva scampato in Cecenia e nel Caucaso a costo di due guerre sanguinose e chissà quante operazioni da Servizi Segreti.
 
È dominio sul mondo. Capitalismo finanziario, globale ma agonizzante, che cerca di sopravvivere depredando le ultime Nazioni che lo rifiutano.
 
È Israele: perché non ci può essere pace con lo Stato sionista finché almeno non restituisce il Golan occupato. Quello stesso Israele che protegge i miliziani jihadisti e contro il quale loro non hanno mai sparato nemmeno un petardo. Quello stesso Israele che mette al sicuro quasi 800 Caschi Bianchi, la cui missione infame era evidentemente fallita. Quello stesso Israele che abbatte il Sukhoi-22 siriano ai suoi confini. Quello stesso Israele che fa di tutto per convincere Mosca a non fornire a Damasco moderni sistemi di difesa antiaerea.
 
Tuttavia, la trama delle potenze Occidentali si è disfatta: l’aiuto di Iran e Russia e soprattutto l’immane sacrificio del soldato siriano hanno permesso alla Siria di sopravvivere. Così ci dice Ouday, il vecchio siriano.
 
E Idlib è lì che attende, madre di tutte le battaglie.
 
 
*********************
Video dell’intervista su YouTube (solo italiano):