Cambiamenti in Medioriente?
L'attenzione dei media sull'incontro al vertice tra i presidenti Joe Biden e Vladimir Putin ha in una certa misura spiazzato le notizie sul nuovo governo in Israele, guidato dal nazionalista intransigente Naftali Bennett. In quei media che stanno effettivamente discutendo del cambiamento c'è una strana percezione che il nuovo governo israeliano dovrà adeguarsi al nuovo regime di Washington. Ciò implicherebbe che gli israeliani dovranno mitigare alcuni dei loro comportamenti più oltraggiosi per adattarsi all'intenzione di Biden di intraprendere azioni che saranno disapprovate a Gerusalemme, per includere un possibile riavvicinamento con l'Iran sul suo programma nucleare e un nuovo impegno della Casa Bianca con il Piano d'Azione Congiunto Globale (JCPOA) del 2015.
Il New York Times ha un articolo interessante scritto dal suo corrispondente diplomatico dell'ufficio di Washington, Michael Crowley, con i contributi del suo nuovo corrispondente a Gerusalemme, Patrick Kingsley. L'articolo è intitolato “Il cambiamento in Israele fornisce a Biden una possibilità per legami migliori” con un sottotitolo che recita “L’addio di Benjamin Netanyahu come primo ministro è un sollievo per i democratici, ma l'Iran e i palestinesi potrebbero mettere alla prova le relazioni di Mr. Biden con un fragile nuovo governo israeliano”.
L'articolo sostiene che sia significativo il fatto che Biden non abbia chiamato Netanyahu per tre mesi dopo il suo insediamento ma abbia chiamato Bennett entro tre ore. Nella telefonata Bennett avrebbe accusato Netanyahu di aver “avvelenato” il rapporto con gli Stati Uniti, il che non dovrebbe sorprendere nessuno in quanto questo è stato uno dei problemi su cui Bennet ha ripetutamente martellato durante la sua campagna elettorale.
Ma bisogna guardare oltre e chiedersi: dove sono le prove che la personalità dichiaratamente acida e l'arroganza di Netanyahu abbiano portato a qualsiasi punizione da parte della Casa Bianca, sia sotto Barack Obama, Donald Trump o Joe Biden? È stato generalmente riferito e probabilmente è abbastanza corretto, che Obama non amava profondamente Netanyahu, anche una volta che è stato sorpreso da un microfono aperto mentre parlava con il presidente francese Nicolas Sarkozy e si rammaricava del fatto che avesse dovuto interagire con il petulante Primo Ministro israeliano ogni settimana. Eppure Obama si è poi girato e ha fatto qualcosa che nessun presidente americano aveva mai fatto, organizzando di dare agli israeliani 38 miliardi di dollari garantiti in assistenza militare nel corso di dieci anni. Il denaro non era condizionato al comportamento israeliano, non rifletteva gli interessi reali degli Stati Uniti e veniva poi addolcito di un altro mezzo miliardo all'anno per sostenere il sistema di difesa aerea Iron Dome dello Stato ebraico.
Nel 2015 l'amministrazione Obama ha effettivamente stipulato il JCPOA, un accordo multilaterale per monitorare e limitare l'attuale programma nucleare iraniano, una mossa che è stata fortemente osteggiata da Israele, ma l'unica volta in cui la Casa Bianca ha effettivamente dimostrato fastidio nei confronti di Israele è stata quando si è astenuta su un voto delle Nazioni Unite critico nei confronti degli insediamenti dello Stato ebraico poco prima che Obama lasciasse l'incarico. E va osservato che Obama è stato debitamente punito da Israele per il suo cattivo atteggiamento, con Netanyahu che si è presentato a una sessione congiunta del Congresso per denunciare l'imminente patto con l'Iran nel marzo 2015. Bibi ha ricevuto ventinove standing ovation da un raduno di “rappresentanti del popolo” completamente sottoposti a lavaggio del cervello.
E poi c'è Donald Trump, che è stato probabilmente il presidente più filo-israeliano nella storia degli Stati Uniti. Trump ha promosso ripetutamente gli interessi israeliani, spostando l'ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme, riconoscendo l'annessione delle alture siriane del Golan, approvando di fatto l'eventuale incorporazione della Cisgiordania palestinese in Israele e assassinando un anziano generale iraniano mentre chiudeva un occhio sulle espansioni degli insediamenti illegali e i bombardamenti [di Israele] sia in Siria che in Libano. Gli Stati Uniti hanno anche ripetutamente usato il veto alle Nazioni Unite per prevenire qualsiasi critica a Israele e alle sue politiche. L'ambasciatore di Trump in Israele, David Friedman, era noto per il suo assecondare gli interessi israeliani, approvando dure misure contro i palestinesi e crimini di guerra diretti contro i suoi vicini, tanto da essere percepito come un portavoce-apologeta di Israele piuttosto che degli Stati Uniti.
Non c'è molto "veleno" nella relazione come si evince dai fatti sul campo, vero? Il denaro ha continuato a fluire, il sostegno politico non ha vacillato e il governo degli Stati Uniti a tutti i livelli difficilmente poteva smettere di sgolarsi su come lo stato ebraico fosse una “democrazia” e uno “stretto alleato”, entrambe affermazioni che erano e non sono vere.
Quindi ora veniamo a Biden e parliamo di un reset. Il Times ammette stranamente che “il cambio di governo in Israele difficilmente cancellerà le profonde divergenze con l'amministrazione Biden: il signor Bennett, di destra, è ideologicamente più vicino a Netanyahu che a Biden. E non ha reso i problemi di vecchia data in Medio Oriente meno intrattabili. Ma le prime interazioni suggeriscono un cambiamento di tono e un'opportunità, hanno detto gli analisti, per stabilire una relazione meno controversa, con potenziali implicazioni per trattare con l'Iran, i palestinesi e la regione in generale.”
Mi si scusi, ma Bennett ha corso su una linea molto dura. Si oppone a qualsiasi accordo nucleare con l'Iran e non permetterà nulla di simile ad uno Stato palestinese. È in carica da poco tempo e ha già approvato attacchi aerei contro obiettivi in Siria e Gaza, nonché una marcia di migliaia di coloni attraverso Gerusalemme est palestinese per chiedere “Morte agli arabi”. Un cambiamento di tono potrebbe essere il benvenuto, ma poiché gli Stati Uniti già accettano supinamente di sostenere tutto ciò che viene affermato da Israele, cosa significherà sul campo? Niente. Ed è difficile da trovare anche la “relazione controversa”. Il tuono sentito lungo il Potomac diverse settimane fa consisteva nel canto sincronizzato del Congresso e della Casa Bianca su “Israele ha il diritto di difendersi!”. E poi c'è l'accordo sul nucleare iraniano, che sembra scivolare via mentre il segretario di Stato, Tony Blinken, aggiunge apparentemente “condizioni” al rientro degli Stati Uniti. Quindi quali sono, in realtà, le profonde differenze tra Gerusalemme e Washington che saranno più gestibili con un “tono migliore”?
Il Times sostiene, forse in modo più credibile, che il danno sia stato fatto nei rapporti del governo israeliano con lo stesso Partito Democratico. Dice "Mr. Biden ha a lungo considerato il signor Netanyahu un amico, anche se spesso non è d'accordo. Ma molti funzionari dell'amministrazione e democratici del Congresso disprezzano visceralmente il leader israeliano deposto, che sono arrivati a vedere come una forza corrosiva e un alleato politico di fatto dei repubblicani, incluso l'ex presidente Donald J. Trump.
Mi si scusi una volta ancora, ma questo pensiero è una torta nel cielo. A dire il vero, una manciata di progressisti del Partito Democratico ha criticato duramente il recente massacro di Gaza da parte di Israele, ma coloro che hanno un vero potere nel partito non hanno espresso una sola critica ai crimini di guerra commessi. Biden avrebbe potuto intervenire per abbreviare il conflitto, ma in realtà non ha fatto nulla per esercitare pressioni su Israele. La sua visione del problema della Palestina è di dare loro uno Stato, anche se è inevitabilmente confuso sui dettagli e non farà pressioni sugli israeliani affinché prendano iniziative di pace. In breve, lui e gli israeliani probabilmente lavoreranno dietro le quinte per ridurre la tensione in modo che non ci siano più uccisioni di massa e quindi non più media negativi. Se avranno successo, i palestinesi se ne andranno.
Joe Biden si è definito un “sionista” ed è orgoglioso di esserlo e la sua prima mossa dopo che Israele ha ucciso gli arabi è stata quella di inviare loro 735 milioni di dollari in aggiunta a quello che già ricevono dal contribuente statunitense. E la cosa più importante per lui sono tutti quei donatori ebrei le cui mani stringono i loro libretti degli assegni mentre i loro cuori sono in Israele, contribuendo con qualcosa come i due terzi di tutti i soldi che vanno al Partito Democratico. Sono guidati dal produttore di Hollywood, l'israeliano-americano Haim Saban, che ha affermato senza ambiguità di essere “un ragazzo con un problema e quel problema è Israele”. In un certo senso, Washington è anche governata da un duopolio che ha “un problema” in politica estera e quel problema è anche Israele.
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Articolo orginale di Philip M. Giraldi:
https://www.geopolitica.ru/en/article/change-middle-east
Traduzione di Costantino Ceoldo