L'epoca dell'eterno presente e l'evaporazione del futuro

01.12.2021

In Essere senza tempo, ho qualificato il nostro presente con le due espressioni complementari di “nichilismo della fretta” e di “accelerazione senza futuro”, a segnalare come l’odierno paesaggio del “capitalismo assoluto” necessiti della velocizzazione dei ritmi – funzionale al trionfo della logica dello scambio, della produzione e del profitto, oltre che alla logica illogica della crescita smisurata – ma non dell’avvenire. Buona parte delle sue energie vengono, anzi, spese in direzione di una desertificazione delle aspettative e di una sinergica eternizzazione del presente, in modo da scongiurare preventivamente, stroncandola alla radice, l’eventualità di un futuro diverso e di una trasformazione dell’assetto vigente.

Se, nei suoi esordi, il capitalismo aveva bisogno del futuro per potersi pensare come una realtà destinata a diventare globale, ora che ha effettivamente guadagnato tale statuto, nella forma della globalizzazione del mercato e dell’uniformazione planetaria del pensiero e degli stili di vita, può accontentarsi di un presente eternamente riprodotto. L’odierna “eclissi del futuro” (Marc Augé) – con annessa assolutizzazione del presente come orizzonte unico e, insieme, con naturalizzazione della dimensione storica – deve essere posta in relazione con una “società dei consumi” che aspira a mantenersi storicamente sempre uguale a se stessa, accelerando all’inverosimile i tempi di produzione e di consumo e, insieme, negando alla radice ogni possibilità e ogni pensabilità di un futuro diverso, dunque neutralizzando ogni passione utopica.

Per questa via, il presente invade il futuro, erodendolo dall’interno fino a disintegrarlo del tutto: l’odierno fanatismo dell’economia non ha più bisogno di futuri alternativi, ma mira semplicemente a un’eterna riproposizione dello stesso presente compiuta a velocità sempre maggiore, in coerenza con la crescita di profitto a velocità sempre più vertiginosa. In questa cornice, il solo futuro che il nostro mondo sembra potersi permettere è quello misurato tramite gli indici di incremento positivi della produzione, dell’economia e del PIL globale. Il mercato come prodotto storico e sociale dell’azione umana dispiegantesi sub specie temporis – e, conseguentemente, come esito di un fare sociale che si realizza tramite la mediazione della temporalità storica – rimuove le tracce della propria determinazione storico-sociale. Lo fa con il duplice e sinergico obiettivo di annullare la propria genesi e cancellare la propria eventuale estinzione. Viene, per questa via, portata a compimento quella dinamica di naturalizzazione del sociale e di fatalizzazione della storia che è coessenziale al capitalismo post-1989.