Il mondo multipolare appartiene ai popoli, non ai padroni

12.06.2024

È al tramonto che gli imperi dimostrano la loro più spietata brutalità. Questa legge storica trova la più evidente conferma nell’odierna crisi dell’imperialismo, che sempre di più difende la propria egemonia a scapito delle classi popolari. L’origine di questi cambiamenti e dei conflitti che ne derivano risiede nelle strutture economiche che regolano l’attività umana e nella conseguente divisione del mondo in classi sociali in lotta tra loro. Svaniti i vani miti delle mani invisibili nel migliore dei mondi possibili, le contraddizioni intrinseche e terminali del capitalismo cercano di rallentare il proprio inevitabile collasso ricorrendo all’espansione tramite la forza bruta. Con i sempre più numerosi fronti di guerra che vanno dall’Ucraina a Gaza, il blocco occidentale guidato dagli USA cerca di difendere e ampliare i propri spazi finanziari.

Nel contesto di una crisi generale del capitalismo afflitto dalla sovrapproduzione, le classi dominanti occidentali vedono minacciate le proprie mire dai popoli in lotta per l’autodeterminazione e dall’interesse delle nuove potenze emergenti del mondo multipolare.

Da ciò è evidente che lo scontro tra il vecchio mondo monopolare e il nuovo mondo multipolare costituisce la principale contraddizione dialettica, o minaccia – per i meno marxiani – del sistema in atto.

La natura epocale di questa contraddizione risiede nel fatto che l’Occidente, armato dai propri dogmi derivanti dalla sovrastruttura ideologica del liberalismo, è per definizione la più piena espressione della tirannia neoliberale. Agendo a tutti gli effetti come ausilio del capitale, il liberalismo si distingue dalle altre sovrastrutture per il culto che dedica all’individuo, innalzato a soggetto della Storia. Secondo i principi di questa filosofia, l’individuo deve essere “liberato” da ogni identità collettiva e superindividuale, quali ad esempio etnia, sistema valoriale e nucleo familiare, visti come barriere all’espressione della propria volontà. Nella sua evoluzione post-ideologica odierna, il liberalismo moderno arriva a concepire la liberazione del soggetto dalla propria natura, o in altre parole da se stesso, partorendo – ad esempio- l’idea che il sesso biologico sia un fattore relativo alla soggettività individuale. La conseguenza di tutto ciò è il proliferare di ciò che Nietzsche definì l’Ultimo Uomo, una società di consumatori lasciati atomizzati e sradicati alle grazie dell’anonimo strapotere del globalismo capitalista.

Se è vero che il capitalismo oggi non ha bandiere, è altrettanto vero che solo in Occidente esso ha raggiunto, tramite l’ausilio della sovrastruttura liberale, la sua più mostruosa metamorfosi.

Questa chiave di lettura ci permette di vedere l’emergere dell’aurora multipolare come un processo intrinsecamente contrapposto all’interesse del capitalismo imperialista. La ribellione delle nuove potenze emergenti è una reazione diretta al progetto di totale vittoria del liberal-totalitarismo occidentale, che, come descritto nel celebre libro di Francis Fukuyama, ambisce al proprio “Fine della Storia” Washington-centrico.

Ed è qui, nell’interesse della piena attuazione dell’ideale stesso di multipolarità, che bisogna sottoporre questi profondi cambiamenti a una minuziosa analisi. Per quanto rappresenti un miglioramento, è innegabile che nell’attuale fase le spinte per un mondo multipolare derivano principalmente dall’interesse delle borghesie nazionali degli stati in questione. In essi si può osservare, senza quasi nessuna eccezione, uno scontro nei ranghi delle proprie élite finanziarie, tra chi propone un riavvicinamento alla sfera occidentale e chi invece sostiene una maggiore autonomia dal controllo unipolare.

Non è una coincidenza che questa spaccatura sia più evidente nello Stato che più radicalmente ha deciso di rompere i rapporti con Washington: la Russia di Putin.

L’inizio dell’Operazione Speciale ha segnato una rottura definitiva tra lo Stato russo e l’ala filo-occidentale del ceto dominante. Tra i molti casi spicca l’esempio dell’oligarca Oleg Tinkov, fondatore della Tinkoff Bank con un patrimonio di oltre 4 miliardi. Tinkov, condannato negli Stati Uniti per aver evaso oltre 200 milioni di dollari, si riscopre un paladino della democrazia schierandosi contro il “regime fascista di Putin” e rinunciando alla propria cittadinanza. Un altra chicca viene da Mikhail Fridman, banchiere miliardario che finanziò il governo Yeltsin ed il crollo dell’Unione Sovietica, nonché oppositore di Putin, che all’inizio del conflitto scappò, guarda caso, proprio in Israele.

Lo stato britannico, infatti lo ringraziò per aver cambiato casacca senza esitazione, togliendo le sanzioni a entrambi gli oligarchi.

Le azioni di Putin rappresentano un cambio di rotta rispetto ai venti anni di occidentalizzazione imposta dalla stessa oligarchia russa. Le ardite scelte politiche del Cremlino sicuramente hanno irritato più di qualche oligarca, ma nonostante le spaccature trovano tacito consenso, se non sostegno, anche tra il ceto dominante. Questo dimostra che i capitalisti russi, come quelli di tutti gli Stati BRICS, vedono nel nuovo ordine una prospettiva di pacificazione tra i rispettivi padronati e dunque un riordino, non un superamento, dello status quo.

Il multipolarismo rappresenta una tappa fondamentale nella lotta per un mondo più giusto, ma non può essere quella finale. Qualora le condizioni materiali che stanno alla base del disumano mondo moderno restassero immutate, le attuali problematiche si manifesterebbero in altra forma.

Il capitalismo è il nemico di ogni popolo; un suo riordino non basterà a liberare l’umanità dal suo giogo.

L’idealismo di chi, nell’area dell’antagonismo politico parla di un’imminente utopia multipolare – da qui a pochi anni – è da considerarsi una chimera controrivoluzionaria.

La pura autodeterminazione dei popoli, liberi di svilupparsi e cooperare in pace e prosperità, non è nei piani della finanza internazionale, indipendentemente dai poli in cui è distribuita.

Il multipolarismo inteso propriamente non è la speranza di un nuovo ordine, bensì quel caos dinamico che sgretola il vecchio. Un caos che cela al suo interno una forza creatrice irrefrenabile che permette ai popoli di sognare un’alternativa ai modelli valoriali, sociali ed economici imposti dall’ imperialismo.

La fedeltà a questa visione implica fatalmente che auguriamo la storia riservi la stessa sorte ad ogni oligarca, unipolare o multipolare che sia.

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