Una visione sul futuro

05.03.2021

I dossier aperti sulla scrivania di Joe Biden non sono solo quelli della sua neonata amministrazione ma anche e soprattutto quelli che ha ereditato da chi lo ha preceduto, che non è il solo Donald Trump. Ci sono infatti delle precise linee politiche che cambiano di poco da amministrazione ad amministrazione e che rispecchiano gli interessi dell’apparato americano e la sua visione del mondo.

Nell’era moderna è il mondo ad essere il teatro dell’azione di una Super Potenza come gli Stati Uniti d’America ma ci sono punti e fronti che sono più caldi di altri o che lo stanno per diventare.

Al confronto “storico” con la Russia si aggiungono quindi quello con la Cina (che della Russia è tornata ad essere uno stretto alleato) e quello con l’Iran. Teheran persegue infatti con tenacia una sua politica di indipendenza da Washington e vuole che gli americani lascino il Medioriente, magari anche costringendoli con la forza di una guerra di logoramento. La Repubblica islamica è ostile anche ad Israele e l’intenzione degli ayatollah di sviluppare una propria industria atomica li mette in aperta rotta di collisione con Tel Aviv che teme che Teheran voglia dotarsi di armi atomiche oltre al poderoso arsenale missilistico che già possiede.

Per avere un quadro un po’ più chiaro della situazione, ho intervistato l’analista italiano Paulo Mauri di InsideOver [1], riservandoci una domanda finale sull’Italia e la sua dottrina internazionale.

1) Potrebbe ricordare ai lettori i principali teatri di confronto tra Stati Uniti da una parte e Russia e Cina dall’altra?

R) Attualmente i principali teatri di scontro tra Stati Uniti e Russia si sviluppano lungo i confini occidentali della Federazione Russa. In particolare i fronti caldi sono quelli del Baltico (Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia), della regione artica divisa tra i Paesi della Nato e la Russia ed il Mar Nero (considerandovi l'Ucraina e la Georgia, sempre più in orbita NATO). Senza dimenticare il confronto, spesso acceso, in Siria dove si trovano a stretto contatto le forze militari delle due potenze globali. Per quanto riguarda la Cina lo scontro è principalmente per il Mar Cinese Meridionale e Taiwan. Da un lato Washington si fa garante del diritto internazionale alla libertà di navigazione per contrastare il lento ma costante processo di nazionalizzazione delle acque del Mar Cinese Meridionale da parte di Pechino, dall'altro si è fatta garante della libertà e indipendenza dell'isola considerata dalla Cina come una “provincia ribelle”.

2) La zona artica ha visto di recente un dispiegamento impressionante di uomini e mezzi, sia russi che americani. Perché questo interesse per una zona dai ghiacci apparentemente eterni?

R) Il riscaldamento globale ha radicalmente mutato il paesaggio dell'Artide. Se prima il pack ricopriva i mari glaciali per la maggior parte dell'anno, ora grazie al clima più mite si sono aperte due vie d'acqua prima impercorribili. Una di queste, che è motivo di scontro tra Russia, Stati Uniti e Cina, è il cosiddetto “Passaggio a Nordest”, o “Rotta Nord” per i russi: un collegamento tra il Mare di Barents e il Mare di Bering che accorcia i tempi di percorrenza del naviglio che altrimenti per raggiungere l'Oceano Pacifico dall'Europa dovrebbe attraversare il Mediterraneo e l'Oceano Indiano. Il controllo degli accessi a questa nuova e strategica rotta diventa quindi fondamentale per qualsiasi Paese animato da un sentimento di dominio globale ed infatti anche la Cina, che non si affaccia sull'Artico, è diventata molto attiva in quest'area. Non secondaria è la possibilità, proprio per via dello scioglimento dei ghiacci, di avere un più facile accesso alle risorse minerarie che si trovano nei giacimenti e nei depositi offshore della piattaforma continentale artica, principalmente idrocarburi. Si parla di 90 miliardi di barili di petrolio, 44 miliardi di barili di condensati e la cifra astronomica di 47mila miliardi di metri cubi di gas naturale. Queste sono le stime fornite dall’USGS, il servizio geologico degli Stati Uniti, nel lontano 2008, delle riserve presenti in tutta la regione; una regione enorme, il cui offshore, calcolato sino alla profondità massima dei 200 metri, misura 1.191.000 chilometri quadrati, quasi 4 volte la superficie totale dell’Italia per intenderci. La piattaforma continentale però potrebbe nascondere altre risorse minerarie che diventeranno essenziali: si tratta dei noduli di manganese e degli idrati di metano.

3) È corretto pensare che il confronto sia ancora tra Stati Uniti e Russia, percepita in ogni caso come una minaccia?

R) Il confronto, nello specifico, non è solo tra Stati Uniti e Russia, ma tra Occidente e Oriente, appunto per la presenza della Cina e anche perché nell'Artico non ci sono solo gli Stati Uniti a reclamare il proprio “posto al sole”, ma tutte le nazioni che vi si affacciano e anche qualcuna più lontana, come ad esempio la stessa Italia che recentemente ha implementato la sua attività di ricerca scientifica/oceanografica in quelle regioni. In senso generale si scontrano due visioni “globaliste”: quella statunitense classica, che vede la libertà di navigazione (dei mari e dei cieli) come elemento fondamentale da salvaguardare per assicurarsi il controllo delle rotte e quindi la possibilità di controllare il traffico commerciale e dall'altra quella russo/cinese che tende a nazionalizzare ampi tratti di oceani ma continuando a propugnare un sistema di commercio globale stabilendo proprie “teste di ponte” in Paesi stranieri per offrire un'alternativa al sistema americano. Ecco perché nelle ultime linee guida di politica estera di Washington, Paesi come la Cina e la Russia vengono esplicitamente indicati come una “minaccia” al pari di Corea del Nord e Iran. 

4) Che posto occupa la Cina nelle analisi occidentali e, in particolare, in quelle dell’amministrazione Biden?

R) Il dossier Cina è stato al centro della politica di Washington sin dall'amministrazione Obama. Attualmente il presidente Biden si è messo nel solco del suo predecessore varando degli ordini esecutivi e delle linee guida per contrastare l'espansionismo cinese. Si pensi alla richiesta di maggiore collaborazione tra i Paesi del QUAD (Quadrilateral Security Dialogue), di cui fanno parte Giappone, India, Australia e Usa, oppure al recente ordine della Casa Bianca di rivedere e migliorare la catena di approvvigionamento di beni essenziali per gli Stati Uniti, tra cui compaiono le Terre Rare, dei minerali molto particolari che vengono usati nell'industria ad alta tecnologia – anche nella Difesa – e di cui la Cina detiene quello che è, a tutti gli effetti, una sorta di monopolio in quanto fornisce il 97% del totale mondiale di queste importanti risorse essendo l'unica a disporre di una catena di approvvigionamento e lavorazione che va dalla miniera al minerale raffinato. Liberarsi dalla dipendenza dalla Cina sulle Terra Rare significa non solamente avere tolto una possibile arma di ricatto a Pechino ma anche aprire la possibilità di aumentare il livello dello scontro.

5) E l’Iran degli ayatollah? Ci può essere un futuro per il JCPOA visto anche che mancano pochi mesi alle elezioni nella Repubblica islamica, vinte verosimilmente da un candidato conservatore?

R) L'Iran è uno dei dossier caldi, anzi bollenti, viste i recenti sviluppi in Siria, della presidenza Biden. Il nuovo inquilino della Casa Bianca già in campagna elettorale si era detto disposto a recuperare l'accordo sul nucleare iraniano – che fosse il JCPOA o un altro stipulato ex novo – ma questo non significa che Washington cederà alle condizioni di Teheran, che rimangono uno degli scogli verso il ritorno in vigore del trattato. L'Iran, ad esempio, considera il proprio programma missilistico “intoccabile”, mentre gli Stati Uniti ritengono che sia uno dei nodi cruciali per ottenere la stabilità regionale, intesa come il non irritare Israele – il vero oppositore di un nuovo accordo – ed evitare una corsa agli armamenti tra gli avversari arabi degli Ayatollah. Non va fatto l'errore, però, di considerare la volontà americana di ritrovare un accordo con Teheran un cambio di rotta rispetto al contrasto all'attività iraniana in Medio Oriente: il recente bombardamento USA in Siria contro obiettivi rappresentati dai miliziani filoiraniani lo dimostra, nonostante la decisione di ritirare il supporto all'Arabia Saudita nel suo conflitto contro i ribelli Houthi in Yemen, sostenuti proprio dall'Iran. L'esito delle elezioni iraniane pertanto non sarà così incisivo, dato che comunque, su questo tema, è già passata una linea precisa e irrevocabile e non ritengo che un eventuale presidente conservatore abbia l'interesse di imporre una linea più dura, ad esempio escludendo qualsiasi possibilità di accordo, stante la matematica certezza di vedere inasprito il regime sanzionatorio.

6) Come potrebbe essere un primo attacco contro la Repubblica Islamica e come potrebbe rispondere Teheran all’aggressione?

R) Non ritengo che gli Stati Uniti abbiano in mente di attaccare direttamente il territorio iraniano. Provando a ipotizzarlo “per assurdo” si può pensare a due scenari. Il primo di basso profilo comporterebbe un attacco di precisione contro i siti nucleari iraniani, con armamento altamente penetrante lanciato da bombardieri B-2 per colpire le installazioni corazzate all'interno delle montagne. Il secondo scenario, ma ancora meno verosimile perché comporterebbe una guerra aperta, sarebbe un attacco sul modello Guerra del Golfo del 1991: una campagna di attacchi aerei massicci, con tutti gli assetti utilizzabili all'uopo, per colpire i gangli vitali della Repubblica Islamica come i centri radar e della difesa aerea, gli aeroporti militari, i centri di comando, controllo e comunicazione e i siti missilistici noti. Essendo la Marina Iraniana praticamente inesistente (è dotata di numerose unità sottili per assalti mordi e fuggi) la U.S. Navy avrebbe gioco relativamente facile nell'attività di sea control: le motomissilistiche di piccole dimensioni difficilmente potrebbero sperare di superare l'ombrello protettivo delle navi di scorta dei CSG (Carrier Strike Group) americani, non essendo dotate di armamenti di ultima generazione, ma un attacco in massa potrebbe saturare le difese e infliggere qualche danno. Consideriamo però che la capacità di allarme precoce degli Stati Uniti, con satelliti, droni da ricognizione e velivoli AEW, è tale da rendere un attacco di sorpresa praticamente impossibile da effettuare.  Una risposta iraniana, pertanto, potrebbe essere messa in atto molto probabilmente utilizzando quanto resterebbe del proprio arsenale missilistico – con testate convenzionali per non innescare una pericolosa escalation che porterebbe facilmente all'uso di armi di distruzione di massa – su obiettivi statunitensi nell'area mediorientale e su Israele.  

7) In Occidente alcuni ritengono che si possa combattere (e soprattutto vincere) una guerra usando mini bombe atomiche, anche contro potenze nucleari. Lei condivide questa idea? Perché?

R) Non solo in Occidente. L'utilizzo di armamento nucleare tattico non è mai passato di moda in “Oriente”: il missile da crociera russo Novator 9M729 (Ssc-8 in codice Nato [2]), che si ritiene possa montare una testata nucleare e colpire un bersaglio sino a 2500 chilometri di distanza, dimostra che Mosca non ha mai abbandonato l'idea di poter impiegare armamento atomico in un contesto tattico anziché strategico, senza considerare che negli arsenali russi sono presenti bombe nucleari a caduta libera per cacciabombardieri, in numero molto maggiore rispetto agli arsenali della Nato. Quello che in realtà è destabilizzante è l'utilizzo di testate atomiche a basso potenziale su missili balistici intercontinentali o su nuovi IRBM (dato che il Trattato INF è ormai defunto). L'idea di effettuare uno “strike” nucleare di precisione, “tattico”, con questi vettori porta con sé il serio rischio di innescare un conflitto atomico generalizzato. Anche l'idea di montare testate convenzionali ad alto potenziale su missili balistici a lungo raggio estremamente precisi è potenzialmente disastrosa: un avversario non può sapere se i vettori in arrivo siano armati con testate atomiche oppure no e pertanto opterebbe per la possibilità peggiore, ovvero che quello in arrivo sia un primo attacco nucleare; quindi reagirebbe utilizzando il proprio arsenale nucleare strategico. La stabilità che si era ottenuta nel corso della Guerra Fredda è stata ottenuta proprio dall'assicurazione della mutua distruzione e qualsiasi cambiamento, che sia con vettori non convenzionali (tipo le testate HGV – Hypersonic Glide Vehicle), o dotandosi di una difesa antimissile estesa e con un certo grado di efficacia, rischia di minare questo equilibrio. In realtà siamo già in una condizione di “disequilibrio nucleare” proprio per via dei sistemi antimissile statunitensi, delle testate HGV russe e cinesi, dei missili da crociera e supersiluri a propulsione nucleare russi e di quanto sopra affermato riguardante i missili balistici convenzionali o le testate atomiche a basso potenziale.  

8) Un’ultima domanda, sul nostro Paese. Anche l’Italia ha una sua dottrina militare e geopolitica: può descrivere le sfide del nostro Paese e se le forze armate italiane sono in grado di affrontarle?

R) Servirebbe un trattato per descrivere le sfide geopolitiche del nostro Paese. Rapidamente posso dire che l'Italia ha una sfida fondamentale che deve vincere ed è quella di tornare a essere il Paese di riferimento per l'area mediterranea. Il Mare Nostrum è tornato, da tempo, crocevia di interessi strategici internazionali molto importanti, tanto che anche potenze lontane come la Cina vi sono sempre più presenti militarmente. Il concetto di Mediterraneo Allargato deve essere la guida di ogni agire in politica estera della nostra classe dirigente: è importante che l'Italia recuperi il suo ruolo di mediazione tra Oriente e Occidente, tra Africa ed Europa, che ha perso negli ultimi decenni per via di un crescente disinteresse interno passato, ma anche perché gli organismi sovranazionali di cui facciamo parte (NATO ed UE) e a cui ci siamo affidati (troppo), non hanno mai mostrato di voler farsi carico del “fronte sud”. Solo ora si sta muovendo qualcosa in tal senso, ma ormai ci sono altre entità, come la Francia e la Turchia, che hanno intrapreso una politica assertiva nel Mediterraneo che ci sta mettendo nell'angolo, anche confrontandosi aspramente tra di loro, come sappiamo. Il dialogo diplomatico, però, non è e non deve essere il solo strumento per recuperare una nostra sfera di influenza nel Mediterraneo Allargato: occorre che ci sia un'agenda di soft power, quindi intavolare legami bilaterali per lo sviluppo di commerci e di infrastrutture nei Paesi dell'area interessata, nonché un'agenda di hard power, che passa necessariamente per il rafforzamento delle nostre Forze Armate e della loro capacità di proiezione di forza. Del resto, anche nel 2021, il metodo più efficace per dimostrare la propria importanza e potenza resta sempre il “mostrare la bandiera”, che sia su una nave militare o su un cacciabombardiere.

[1] https://it.insideover.com/ ; https://it.insideover.com/?s=paolo+mauri

[2] https://missilethreat.csis.org/missile/ssc-8-novator-9m729/