Per una Psicologia e una Sociologia dell’Essere umano in sintonia con la visione della Quarta Teoria Politica
La Psicologia Transpersonale e la Sociologia clinica ad orientamento neuromeditativo, intese come discipline scientifiche di taglio umanistico, per la loro adesione ai principi antropologici propriamente olistici che considerano l’essere umano nella visione corpo-mente-anima cosciente, rappresentano un coraggioso ritorno alle fonti dell’Essere. Queste scienze dell’Umano testimoniano che si può andare oltre la brutalità dello scientismo materialista, che ha condizionato egemonicamente la cultura e la scienza nei secoli della Modernità e dell’attuale era Postmoderna, per approdare alla stessa weltanschauung della Tradizione espressa nella Quarta Teoria Politica di Aleksandr Dugin, di cui queste stesse discipline possono essere considerate preziose alleate e parte integrante nel progetto culturale e geopolitico del multipolarismo.
La Psicologia Transpersonale
Venuta alla luce negli USA intorno al 1960, figlia della corrente di Psicologia umanistica che si rifà agli insegnamenti di Abraham Maslow, secondo l’accreditata opinione della psicoterapeuta Laura Boggio Gilot:
«Integrando la psicologia con la tradizione meditativa, la psicologia transpersonale rileva che lo stato dell’io considerato sano e normale è limitato, distorto e affetto da una sofferenza autoprodotta e distruttiva».[1]
I suoi precursori sono stati William James, Carl Gustav Jung, Roberto Assagioli e Victor Frankl. I più qualificati portavoce della psicologia transpersonale di questi ultimi decenni sono stati invece Stanislav Grof, Roger Walsh, Frances Vaughan, Claudio Naranjo, Charles Tart, James Fadiman, Pierre Weil. Sul primo numero della rivista scientifica Journal of Transpersonal Psychology, stampata nei primi mesi del 1969, Antony Sutich dovendo presentare al pubblico la Psicologia Transpersonale la definisce come la Quarta forza della Psicologia, dando di essa un insolito quanto originale profilo contenutistico:
«Con il nome di Psicologia Transpersonale si definisce una forza emergente composta da un gruppo di psicologi ed altri professionisti interessati alle facoltà e potenzialità umane ultime, cioè a quelle facoltà che non trovano spazio all’interno di sistemi quali il positivismo e il comportamentismo (prima forza), la psicoanalisi tradizionale (seconda forza) e la psicologia umanistica (terza forza). L’emergente psicologia transpersonale (quarta forza) si interessa specificamente, oltre che dell’indagine empirica e scientifica, anche della implementazione responsabile delle scoperte relative a: trasformazione, meta-bisogni individuali e della specie, valori ultimi, consapevolezza dell’unità, esperienze di vetta, valori B, estasi, esperienze mistiche, venerazione, esistenza, autorealizzazione, essenza, felicità, miracoli, significato ultimo, trascendenza del sé, spirito, unità, consapevolezza cosmica, sinergia individuale e della specie, incontri interpersonali profondi, sacralizzazione della vita quotidiana, fenomeni trascendentali, umorismo interiore e giocosità, coscienza sensoriale ottimale, ricettività ed espressione; e inoltre i concetti, le esperienze e le attività a tutto questo collegati. Per quel che riguarda l’accettazione del suo contenuto – come essenzialmente naturalistico, soprannaturalistico, teistico, o comunque lo si voglia catalogare – questa definizione va lasciata alla libera interpretazione, totale o parziale, dell’individuo o del gruppo». [2]
Finalità della Psicologia Transpersonale
Charles T. Tart, chiarisce il significato di Psicologia Transpersonale come quarta forza e la sua indipendenza dalla Psicologia umanistica nell’anno 1991, tratteggiando le sue finalità e la sua missione nonché prendendo posizione contro l’emergente movimento New Age attraverso una sintetica ma altrettanto ferrata critica:
«La psicologia transpersonale, quale studio di quella parte della natura umana che trascende (trans) il nostro sé personale, normale e limitato, è l’espressione del tentativo di comprendere e sviluppare questo quarto aspetto. Al pari dello sviluppo umanistico dell’intelligenza, del cuore e del corpo, lo sviluppo personale e sociale di una psicologia transpersonale non è facile. Mescolata alle esperienze ed alle realtà transpersonali più profonde vi sono notevoli dosi di fantasia, sogno, immaturità e psicopatologia. Un esempio attuale è il movimento della new age, in cui una conoscenza transpersonale autentica e preziosa si mescola a fantasie immature ed assurdità.
«Per quanto ancora ad uno stadio infantile, la psicologia transpersonale mira definitivamente a crescere, per poter separare ciò che ha significato da ciò che non lo ha, e porre interrogativi come quelli che seguono: l’esperienza della cosiddetta coscienza superiore ha a che fare con una realtà autentica o è soltanto un’illusione? L’amore è solo una faccenda biologica di intelligente interesse per sé stessi, il programma di un “gene egoistico”, o è invece, come sostengono i mistici, un’energia autenticamente transpersonale? L’esperienza mistica dell’unità è la vera e propria trascendenza dei limiti del corpo e della materia, o è solo il sogno inebriante di una creatura totalmente limitata, dotata solo di un corpo fisico organicamente separato, destinato a morire portando con sé nel nulla ciò che chiamiamo mente, cuore e personalità? Che cosa si può fare perché l’esperienza mistica, da esperienza quasi accidentale di pochi, diventi un bene comune a tutti gli uomini? In che modo possiamo dirigere gli effetti dell’esperienza trascendentale dal fanatismo religioso ad una maggiore maturità psicologica? Le risposte a queste domande sono fondamentali per tutti, non solo per quanti nutrono un interesse specifico nei confronti delle questioni spirituali, ed eserciteranno un ruolo importante nel decidere la sopravvivenza umana su questo pianeta.
«Se veramente non siamo nient’altro che accidenti chimici e la nostra realtà è esclusivamente di ordine fisico come sostiene lo “scientismo” – la potente religione del materialismo elevato a dogma – allora la gratificazione materiale è il nostro interesse primario… Se, invece, esiste una dimensione autenticamente spirituale che ci unisce, per la quale siamo tutti fratelli e sorelle nel profondo del nostro cuore, allora vuol dire che esistono le basi per preoccuparci sinceramente l’uno del bene dell’altro, e per creare la pace nel mondo. Nel momento in cui scopriamo la realtà del transpersonale siamo ricchi a un livello ben più importante di quello materiale, e questa ricchezza trasforma il nostro mondo al meglio». [3]
Abraham Maslow, i bisogni e la “autorealizzazione” dell’essere umano come persona
Laura Boggio Gilot, Presidente della Associazione Italiana di Psicologia Transpersonale, visiona le teorie di Abraham Maslow sulla autorealizzazione come fondazione della “quarta forza” psicologica transpersonale:
«Autorealizzazione è un concetto sviluppato da Abraham Maslow, il padre fondatore della psicologia umanista. I suoi lavori e le sue teorie sono stati il risultato di profonde ricerche su persone psicologicamente sane per un periodo di più di trent’anni. Maslow è stato il primo psicologo che ha studiato le persone sane. Era profondamente convinto che lo studio di queste avrebbe costituito un solido fondamento per le teorie e i valori di una nuova psicoterapia». [4]
Maslow manifesta una piramide dei bisogni nella quale, gradualmente, soddisfando le necessità dei livelli più bassi della scala, ci si orienta a esaudire bisogni più elevati:
Bisogni fisiologici associati alla sopravvivenza o bisogni primari: fame, sete, sessualità, sonno, ripararsi dagli elementi e dominarli, sono i bisogni fondamentali legati agli istinti di conservazione e di sopravvivenza della specie umana.
Bisogni di sicurezza: danno alla persona protezione e tranquillità.
Bisogni di appartenenza: sentirsi parte di un gruppo, sentire di essere amato e di amare, bisogno di integrazione e cooperazione con gli altri.
Bisogni di stima: bisogno di rispetto, apprezzamento, approvazione, di sentirsi competente e produttivo.
Bisogni di autorealizzazione: realizzare la propria identità, le proprie aspettative, occupare una posizione soddisfacente nel proprio gruppo. [5]
Bisogno di trascendenza: stimolo vitale ad andare oltre sé stessi, per sentirsi integrati con la realtà più vasta, cosmica o divina. [6]
Il fenomeno Stress
Dopo il crollo dell’utopia freudiana nei primi anni ’90 del XX Secolo – come effetto domino a livello ideologico della capitolazione dell’ultimo totalitarismo, simbolizzato nel crollo del muro di Berlino e della cortina di ferro – si afferma in crescendo nel mondo scientifico la weltanschauung olistica. Il movimento olistico, in campo antropologico: rimette in discussione la riduttiva binarietà corpo/mente propria della Psicologia moderna a favore di una costituzione antropologica tridimensionale corpo-mente-anima cosciente; va a ridimensionare la portata terapeutica del sostantivo patologia affiancandogli quello di benessere.
Il passo successivo, quello di considerare sociologicamente la struttura umana corpo-mente-anima cosciente come prima manifestazione microsociale è stato breve e così, da questo nuovo corso che convalida sempre più neuroscientificamente la realtà dell’anima cosciente o coscienza, trova luce e muove i suoi primi passi la Sociologia clinica in Italia. Intanto, questi ultimi decenni ci hanno anche mostrato come le vecchie e nuove tendenze del pensiero psicologico in ambito nazionale sono state incapaci di smarcarsi in toto dall’obsoleta visione di Freud, quella cioè di una psicologia intesa come intervento terapeutico idoneo a sanare o a depotenziare le patologie della mente.
Il lasso di tempo che ingloba gli ultimi quattro decenni, ha visto la società italiana, come il resto del mondo occidentale, convertirsi più volte tramite accelerazioni tecnologiche: da società industrializzata a società postindustriale, agli inizi informatica e infine multimediale, per sfociare nella attuale società globale postmoderna proprietà dell’alta finanza, della tecnocrazia e delle multinazionali in vista di un “nuovo ordine mondiale” (cit. David Rockefeller). Le modificazioni a livello socioeconomico di tali passaggi epocali accompagnati da ripetute crisi finanziarie sono ancora in atto, tuttavia l’atomizzazione del corpo sociale si è sempre più diffusa fino a determinare, come abbiamo già delineato, una nuova condizione di tensione sociale non più interclassista ma intrasociale, ossia radicata all’interno delle persone, delle società, dei popoli e conosciuta come Sindrome da Stress. Tipico delle società industriali ed opulente, lo stress si è quindi dilatato all’interno della nuova società globalizzata, la quale, vittima del crollo dei mercati favorito dalla crisi finanziaria planetaria, ha dato origine ad una crisi sociale ancora più profonda denominata Disagio sociale.
Il fenomeno dello stress ‒ già presente nelle grandi metropoli statunitensi altamente industrializzate, almeno dai primi anni del XX Secolo ‒, è oggi così universale ed universalmente conosciuto nel mondo occidentale e in quello occidentalizzato, da essere già definito come il male oscuro del XX e del XXI Secolo. Lo stress come tensione pervadente e onnicomprensiva, capace di permeare e inficiare la vita individuale, i rapporti interpersonali e di lavoro, la convivenza sociale e la stessa civiltà, a causa di questa sua universalità ha però fatto perdere progressivamente agli occhi delle masse liquide postmoderne il senso dei suoi connotati patologici, divenendo un fattore di partnership obbligatoria e quasi connaturale alla vita delle città e dei grandi circuiti metropolitani.
Lo stress oggi è considerato a tal punto “normale”, che l’opinione pubblica e il sentire della gente comune sono riusciti, attraverso un rifiuto istintivo e motivato, a “mettere in soffitta” gran parte delle soluzioni proposte in merito dalla farmacologia e dalla psicoterapia, a favore di pratiche olistiche psicofisiche di ogni genere, le quali vedono nella realizzazione del benessere psicofisico (wellness) e non nella cura della patologia, il fondamento e il fine ultimo di ogni loro agire salutistico. Bisogna però tener presente che, se non tutte le pratiche salutistiche sono state sufficientemente vagliate dalla ricerca scientifica ‒ tranne i sistemi meditativi storici che dal secondo dopoguerra ad oggi continuano ad essere ampiamente analizzati e vagliati dalle neuroscienze ‒, tuttavia il ricorso sempre più frequente ad esse ci fa percepire il cambiamento di mentalità socioculturale in atto nella società globale, a favore del “raggiungimento della condizione di benessere” piuttosto che a quello di “cura e dipendenza farmacologica o psicoterapica”.
Sotto questa nuova luce e in questa nuova direzione va indubbiamente letto anche l’esordio e la discreta ma efficace affermazione a livello italiano della Sociologia clinica in questo primo quarto del XXI Secolo. La Sociologia clinica, nella nuova struttura reticolare del network scientifico odierno, per gestire in modo socioterapeutico le problematiche poste dal conflitto sociale interiore generatore di stress e quelle innescate dal Disagio sociale, ha saputo trarre arricchimento epistemologico nonché stimolo metodologico e tecnologico da discipline ad essa correlate quali l’approccio sistemico globale proprio dell’Olismo, le diverse branche dell’antropologia, la fenomenologia, le tecniche meditative testate dalle neuroscienze. Lo ha fatto e continua a farlo relazionandosi con il sapere medico e neuroscientifico universalmente condivisi, evitando in modo intelligente quegli aspetti protocollari analitici, diagnostici, metodologici e terapeutici intrapsichici attribuiti ex lege alla Psicologia nazionale. Lungi dell’essere un meticciato pseudoscientifico, in realtà la Sociologia clinica ha attinto al sapere delle discipline sopra elencate, integrandole a peculiari metodologie e tecnologie sociologiche quali la gestione dei conflitti e della devianza, la mediazione familiare e civile, la relazione d’aiuto e di accompagnamento esistenziale, il mentoring educativo e sociale.
Questo modo di procedere interdisciplinare, è in linea con la storia della moderna Sociologia, la quale computa tra i suoi iniziatori eminenti ed insigni personaggi che de facto non sono stati solamente dei sociologi: Auguste Comte, filosofo e sociologo; Émile Durkheim, sociologo, antropologo e storico delle religioni; Karl Marx, filosofo, economista, storico, sociologo e giornalista; Vilfredo Pareto, ingegnere, economista e sociologo; Max Weber, economista, sociologo, filosofo e storico; Georg Simmel, filosofo e sociologo. Inoltre le linee di ricerca sociologica più rilevanti del pensiero di Durkheim, rappresentano i prodromi vitali della sintesi interdisciplinare epistemologica e metodologica socioclinica attuale e si ritrovano presenti in essa, pur coi correttivi del mutato scenario storico-sociale: dall’enunciazione del “fatto sociale” all’analisi sociale del “reato”, dei “tipi sociali”, della “coscienza collettiva”, del “suicidio”, della “religione”, del “sistema e dell’ambiente”, della “coercizione” e della “coesione sociale”; il tutto correlato dal principio fondante (che anticipa Husserl e imita il procedimento delle scienze naturali) dell’imparzialità e dell’impersonalità nell’analisi oggettiva del “fatto sociale”, rigorosamente scevra da preconcetti ideologici.
Nel campo propriamente tecnologico di gestione dello stress poi, l’aggregarsi della Sociologia clinica attorno alla realtà meditativa va letta sicuramente in chiave olistica e non certo come un riduzionismo teso a confinarla nel ghetto del divieto giuridico di operare attraverso terapie psicologiche intrapsichiche. La trasformazione antropologica operata dalle tecnologie meditative infatti ha una grandissima rilevanza sociologica, in quanto è fautrice di concordia, unità e pace sociale. Inoltre, il fondamento olistico che caratterizza l’essere umano come basilare microsocietà corpo-mente-anima cosciente, getta i presupposti per una nuova antropologia della coscienza intesa come anima cosciente, in cui viene fatta luce epistemologica sul governo stesso di questa microsocietà da parte della stessa anima cosciente. Questo modo di procedere, in linea con i criteri scientifici di osservazione empirica e di riflessione critica propri della fenomenologia filosofica husserliana, ha anticipato storicamente alcuni dei risultati della ricerca neuroscientifica attuale attorno al funzionamento dei meccanismi della coscienza. Dal punto di vista teorico, inoltre la Sociologia clinica neuromeditativa che ora andremo a scoprire, è stata influenzata dalla Psicologia Transpersonale soprattutto nel concentrare i suoi sforzi attorno al fenomeno meditativo. Anche se, rispetto a quest’ultima, essa ha concentrato maggiormente i suoi studi non tanto sugli stati alterati della coscienza provocati da situazioni traumatiche o dall’uso di stupefacenti, quanto invece sugli stati apparentemente non ordinari dell’anima cosciente detti anche stati mistici, nonché sulla struttura della stessa anima cosciente.
La Sociologia clinica [7]
Abbiamo già sinteticamente affermato che è proprio di questi ultimi decenni l’interesse e lo sviluppo della Sociologia italiana verso tematiche di ordine antropologico, ossia legate alla singola “persona” intesa olisticamente come microsocietà, come società interiore, capace di oltrepassare le riduttive visioni dell’uomo che hanno caratterizzato i secoli precedenti: quella cartesiana di agglomerato corpo/mente, quella freudiana di libidica tensione corpo/mente, quella umanistica psicosomatica di unità corpo/mente. Interesse e sviluppo sociologici nei confronti dell’uomo microsociale, sono e continuano ad essere sia di ordine teoretico sia di ordine pratico, o meglio, sviluppano un interesse teorico stimolato principalmente da necessità pratiche, legate all’attuazione di una nuova professionalità ad indirizzo socioclinico che si sta consolidando anche nel nostro Paese.
Il motivo di questa nuova attenzione sociologica verso la persona e le sue relazioni sociali, è dato dalla disgregazione sempre più accentuata del corpo sociale postmoderno. Disgregazione che nel corso di questi ultimi decenni è andata via via dilatandosi, fino a consolidare una nuova condizione di conflitto sociale radicalizzato nella odierna società liquida, sempre meno formata da persone e da comunità vive e sempre più composta da una massa globalizzata di individui consumatori (Baumann 2000)[8]. Questo conflitto, non si attualizza più nella lotta tra le classi sociali, ma si è radicato profondamente e si è ramificato all’interno dei corpi intermedi, delle strutture sociali, delle realtà comunitarie, delle famiglie, nonché nell’intimo delle persone. È quindi un conflitto “interno” che ha realizzato l’implosione di una tensione esistenziale, pervasiva e totalizzante conosciuta come Sindrome da Stress con le sue filiazioni quali Burnout e Mobbing in campo professionale, nonché con le sue principali forme odierne di Disagio sociale quali cronica disoccupazione, baby prostituzione, riduzione dell’età nel consumo di stupefacenti, morte psichica e suicidio, femminicidio, dipendenza multimediale e autismo sociale, solo per elencare quelle più note.
La Sociologia clinica [9], pur vantando nel XX Secolo un inizio glorioso nell’America negli anni ’20 e, sempre sul suolo americano, la sua affermazione negli anni ’30, il suo declino poco dopo e il suo definitivo successo negli anni ’70, quale analisi e proposta terapeutica di intervento nei confronti del disagio sociale e della criminalità, comincia ad essere conosciuta in Italia solo nei primi anni ’90 del secolo scorso.[10] Il crollo del socialismo reale nell’Est Europa, della Prima Repubblica sul suolo nazionale, la crisi del pensiero freudiano, il dilagare dell’inquinamento ambientale e urbano, l’isolamento sociale favorito in parte anche dalla capillare diffusione del personal computer, spingono i sociologi di quel periodo ad identificare una nuova forma di conflitto sociale non più su base classista ma di autodemolizione delle strutture sociali a partire da una fragilità strutturale dell’essere umano, e, quindi, di proporre adeguate soluzioni terapeutiche di tipo socioclinico. Tale conflitto, di ordine intrasociale ossia che trova il suo punto focale all’interno della persona stessa e del suo nucleo familiare in ambito psichiatrico e psicoterapico, è stato denominato Sindrome da Stress [11], mentre in campo socioclinico è da noi definito come Conflitto intrasociale da Stress proprio per identificarne maggiormente le caratteristiche di disgregazione individuale e di autodemolizione sociale.
Anche se il termine “clinica” a quei tempi risultava eccessivamente ospedalizzato e veniva quindi timidamente celato (kliniké tuttavia indica sostanzialmente accudire, soccorrere la persona malata o bisognosa), da allora in poi la Sociologia italiana trova finalmente anche una sua dimensione terapeutica: «Il termine clinico (…) riportato nell’ambito della pratica sociologica, implica vicinanza, disponibilità e per questo è ritenuto da Wirth un termine appropriato per definire le osservazioni, i metodi di approccio e le tecniche mediante i quali la sociologia può offrire un contributo per la comprensione e la cura delle persone che presentano problemi concreti». [12]
Il sociologo, all’interno delle sue abilità sia nel settore pubblico nazionale dove già viene richiesto come conduttore di equipe multidisciplinari, sia in ambito aziendale dove opera come sociologo dell’organizzazione, è ora in grado di offrire anche interventi socioclinici adeguati nel campo della prevenzione della salute e del trattamento dello stress, nel campo del benessere psicosomatico, iniziando ad operare come libero professionista nella mediazione sociale e familiare, facilitatore delle relazioni interpersonali, esperto del lavoro di squadra nelle risorse umane aziendali, nonché specialista nell’accompagnamento esistenziale della persona ferita all’interno di equipe sociosanitarie. Ai nostri giorni il termine clinica ha assunto finalmente un connotato estremamente positivo, se pensiamo ad esempio come esso venga spesso associato a parole legate al wellness quali sono appunto clinica della salute, clinica della bellezza o clinica del benessere. Quindi, oggi parlare di Sociologia clinica significa sostanzialmente parlare di una disciplina scientifica votata alla concreta realizzazione della salute e del benessere personale e comunitario.
Le correnti sociocliniche italiane
La Sociologia clinica italiana ha generato diverse correnti operative e di pensiero. Al momento attuale, possiamo certamente distinguerle in due orientamenti fondamentali. Il primo riguarda la Socioanalisi e la Socioterapia, le quali pur evitando di sconfinare nell’esercizio delle terapie intrapsichiche consentite ex lege solo agli psicologi psicoterapeuti, tuttavia sono in continuo dialogo teorico coi fondamenti della Psicologia freudiana e post-freudiana, postulano quindi una visione binaria corpo-mente riguardo la costituzione dell’essere umano e propongono un sociocounseling di tipo rogeriano. [13] Il secondo orientamento socioclinico è invece rappresentato dalla Sociologia neuromeditativa (già Sociologia olistica) e dalla Neurosociologia, le quali trovano i loro fondamenti nell’olismo sistemico e nelle neuroscienze, leggono la struttura della persona all’interno del trinomio corpo-mente-anima cosciente e del cervello sociale, operano attraverso una relazione d’aiuto fondata su tecniche di mediazione sociale e sistemi neuromeditativi, dove per Neuromeditazione devono intendersi esclusivamente quelle tecniche di meditazione lungamente vagliate e testate dalle neuroscienze nel corso degli ultimi cinquant’anni. [14]
Senza trascurare i settori di analisi e di intervento sociale in cui è da sempre storicamente posizionata, la Sociologia italiana ha operato questa epocale svolta antropologica attraverso il grande lavoro che la ANS Associazione Nazionale Sociologi – soprattutto attraverso l’opera continua ed indefessa del suo dinamico Presidente Pietro Zocconali – porta avanti per il riconoscimento ministeriale della professione e la affermazione di una nuova professionalità clinica a favore dei sociologi. In questa linea di svolta, per molti anni si è mosso il compianto sociologo Andrea Rocca, Direttore del Laboratorio ANS di Sociologia di Roma (il primo in Italia), investito anche di personalità giuridica propria col nome di A.R.CO.S. (Associazione Romana di Counseling Sociologico e delle Scienze Umane). Il Dott. Rocca, nel corso del Convegno Nazionale ANS svoltosi a Roma il 18 Dicembre 2006, esordì presentando ai colleghi sociologi la nascita della figura professionale del Counselor Socioanalitico, segnando così una grande vittoria per l’attuazione pratica e originale della professione di sociologo nel campo terapeutico. Nella medesima direzione si muove da molto tempo il collega ANS Giuseppe Milia, sociologo clinico e socioterapista, fondatore dell’Istituto di Ricerche Sociologiche di Barletta, che ha sviluppato da anni un notevole lavoro di ricerca e di codificazione dell’aspetto metodologico e tecnico nel campo della socioterapia, del counseling familiare, del mobbing aziendale e della mediazione dei conflitti, oltre ad avere dimostrato una elevata competenza e vitalità sul campo come professionista di prassi socioterapeutica.
Nel campo dell’Olismo si è invece orientato il nostro personale lavoro trentennale di ricerca (sfociato temporaneamente, dal 2005 al 2010, anche nella realizzazione del Laboratorio ANS di Sociologia & Scienze della Meditazione di Castellanza (VA) e nel finale riconoscimento, da parte del Direttivo Nazionale ANS nel giugno 2005, della Sociologia olistica (ora conosciuta come Sociologia neuromeditativa) quale parte costitutiva della Sociologia italiana nell’ambito dello studio, della ricerca, della analisi e della consulenza. Il medesimo riconoscimento, da parte dell’ANS, è stato ottenuto nel 2014 dalla Neurosociologia, ultima novità clinica in campo sociologico, disciplina che si interfaccia costantemente con le neuroscienze nella ricerca dei meccanismi neurobiologici che regolano il funzionamento del cervello sociale. Il suo iniziatore in Italia è il sociologo Massimo Blanco, fondatore della Università internazionale UNISED e professore a contratto presso l’Università Sapienza di Roma, il quale è in costante relazione coi Professori Rizzolati e Jacoboni dell’Università di Parma, ricercatori universitari e luminari di fama internazionale nel campo delle neuroscienze, balzati all’onore della cronaca internazionale per aver scoperto i neuroni specchio (mirror neurons).
La panoramica sin qui descritta non è certamente esaustiva. Dobbiamo sicuramente aggiungere tutta una lunga serie di colleghi sociologi docenti universitari e/o presenti nel campo sociosanitario pubblico e privato, i quali svolgono a monte una doppia azione epistemologica e di prassi socioclinica, la quale oltre a donare una sempre più corposa letteratura scientifica a riguardo, contribuiscono al radicamento della Sociologia clinica nelle strutture sociali. Ricordiamo qui solo i più conosciuti: Everardo Minardi, Massimo Corsale, Roberto Cipriani, Luca Mori, Giuseppe Costa, Ivonne Citarella, Maria Tognetti Borgogna, Giuseppe Gargano, Massimiliano Ruzzeddu per la ricerca teorica, epistemologica e statistica; Stefano Cifiello, Teresa D’Alterio e la sociologa criminologa Deborah Capasso De Angelis (attuale Rettore della UNISED), per la loro presenza sul territorio nelle strutture pubbliche ASL.
Dalla Sociologia olistica alla Sociologia neuromeditativa
Sociologia neuromeditativa, rappresenta il termine più scientifico ed evoluto di Sociologia olistica. Insieme a Socioanalisi e Socioterapia, la Sociologia olistica rappresentò nei primi anni del 2000 un movimento all’interno del mondo sociologico italiano iniziato nel decennio precedente, detto di “svolta antropologica della Sociologia”, in quanto spostava l’attenzione dal conflitto tra le classi sociali o intersociale al conflitto interiore o intrasociale. La novità di questa svolta antropologica in senso olistico-sistemico, sostenuta dalla Sociologia neuromeditativa: considera la struttura umana nella visione corpo-mente-anima cosciente; ritiene questa struttura tripartita come la prima forma di organizzazione sociale, quella microcellula (cellula minor) antecedente la prima macrocellula (cellula major) rappresentata dalla famiglia. La Sociologia neuromeditativa prospettando una comprensione olistico-sistemica della persona umana, intesa come unità inscindibile corpo-mente-anima cosciente e prima forma di organizzazione sociale interiore o intrasociale, si discosta ipso facto sia dalla individualistica visione corpo-mente propugnata dalla Psicologia, sia dalla duplice utopia ideologica della struttura mentale freudiana Inconscio, Preconscio, Conscio ed Es, Io, Super-io.
Quindi, all’interno del settore proprio della Sociologia clinica, la Sociologia neuromeditativa si distingue per la sua adesione esplicita ai principi di realtà dell’Olismo, il quale legge i vari aspetti della realtà universale in chiave di struttura reticolare, ossia come un network da analizzare in modo sistemico/strutturale (visione einsteiniana) e non in modo settoriale (visione positivista newtoniana). Alla luce di questa weltanschauung olistica, la struttura umana viene perciò esaminata in chiave tripartita come corpo-mente-anima cosciente e, di conseguenza, la Sociologia neuromeditativa attribuisce a questa anima cosciente ossia alla coscienza neuroscientifica, un valore centrale nella identificazione, nella gestione e nel trattamento delle sociopatologie. Dove per “coscienza” si intende il sostantivo attuale con cui le neuroscienze, attraverso studi sperimentali che coinvolgono anche i sistemi meditativi, delineano ciò che in passato la philosophia perennis e i sistemi religiosi definivano con il sostantivo “anima”, ossia il centro cosciente della persona, quel centro direzionale che governa e presiede l’attività corporea-mentale. Il termine anima cosciente, sintesi di anima e di coscienza, è quello che rappresenta meglio i fondamenti epistemologici dell’attuale discorso socioclinico neuromeditativo sulla realtà dell’anima.
La Sociologia neuromeditativa, viene detta appunto “neuromeditativa” perché fonda una parte della sua relazione di aiuto, sulle solide basi teoriche, metodologiche e tecnologiche di quei sistemi meditativi lungamente vagliati dalle neuroscienze. La Sociologia neuromeditativa è essenzialmente prassi, scienza applicata, è la risposta di coloro che vogliono contribuire alla trasformazione della società operando sulla persona, sull’essere umano quale essere individuale e di relazione sociale, e che si pongono come obiettivo un nuovo ordine internazionale dal volto umano fatta di solidarietà, giustizia sociale rispetto per la storia e per la tradizione dei popoli e delle nazioni nella prospettiva multipolare della Civiltà.
Vista dal punto di vista metodologico, la Sociologia neuromeditativa è una disciplina scientifica sperimentale fondata sulla relazione di aiuto in funzione di accompagnamento esistenziale. Essa dà luogo al Trattamento socioclinico, che si organizza tecnologicamente attraverso processi dialogici e meditativi nell’area di recupero del benessere psicofisico e della relazione sociale, o per mezzo di appropriati protocolli socioclinici nell’area del disagio sociale e delle sociopatologie. Rappresenta una relazione d’aiuto e di accompagnamento esistenziale realizzata in clima meditativo, se l’utenza finale sono il mondo manageriale e la gente comune che vivono il malessere dello stress (management e common people); in questo caso assume le caratteristiche di processo di liberazione interiore finalizzato al recupero del benessere, quindi non di terapia intesa in senso classico. È invece una relazione d’aiuto e di accompagnamento esistenziale attuata nei confronti della persona fragile, quando vengono coinvolti la vittimizzazione, il disagio giovanile, la disabilità, la demenza senile nelle sue più varie forme, gli stati vegetativi, la malattia terminale; in questo caso essa si qualifica come socioterapia non farmacologica e viene annoverata dalla medicina ufficiale nel contenitore delle cure palliative.
Ciò che accomuna la relazione d’aiuto neuromeditativa alla relazione d’aiuto alla persona fragile, sono le tecniche meditative zen di rilasciamento neuromuscolare, vuoto mentale, profondità respiratoria, nonché le tecniche di silenzio interiore della tradizione monastica occidentale, entrambe utilizzate esclusivamente a fine salutistico o terapeutico. Ciò che differenzia la relazione d’aiuto neuromeditativa dalla relazione d’aiuto alla persona fragile, sono le tecniche di dialogo socioclinico, che nella prima sono tecniche orientate al processo di autoguarigione e di piena autonomia del soggetto che decide con le proprie forze di uscire dal suo disagio esistenziale; mentre nella seconda sono tecniche di relazione socioterapeutica finalizzate all’accompagnamento esistenziale della “persona ferita” dalla vittimizzazione, dal disagio giovanile, dalla disabilità, dalle demenze senili, dagli stati vegetativi, dalla fase terminale oncologica.
Le metodologie di dialogo interpersonale appartenenti alla Sociologia neuromeditativa, si fondano su consolidati sistemi propri della tradizione salutistica orientale/occidentale, dove la relazione docente/allievo si risolve nella piena maturazione e indipendenza, e dove la relazione socioterapista/paziente viene attuata per mezzo di sperimentati modelli socioclinici basati su empatia, significato dell’esistenza umana, accettazione del presente, risveglio emozionale, condivisione esistenziale, libera espressione corporea ed artistica, realizzazione della personalità, sublimazione positiva del ricordo, riconciliazione con sé stessi e con gli altri, pace interiore.
Ricapitolando, la Sociologia clinica neuromeditativa è una relazione d’aiuto in cui confluiscono in modo paritetico accompagnamento esistenziale e tecniche neuromeditative, finalizzate al ripristino di condizioni umane e di rapporti interpersonali ottimali. Essa, almeno per quanto riguarda le persone afflitte da Sindrome da Stress o da disturbo da Depressione sociale, sostanzia la sua relazione d’aiuto attraverso un dialogo socioclinico paritetico, subordinato ed indivisibile dalla pratica della neuromeditazione, ossia quella di tecniche meditative vagliate lungamente dalla ricerca neuroscientifica.
I riferimenti teorici della Sociologia neuromeditativa, muovendosi dalle primordiali indagini di Durkheim, si sviluppano a partire da un orientamento di ricerca e di riflessione critica totalmente differente rispetto ai canoni della Psicologia classica e delle Psicoterapie, Proprio a causa di questo realismo supportato neuroscientificamente, gli addentellati teorici su cui la Sociologia clinica ha costruito la sua epistemologia sono: olismo sistemico strutturale come visione scientifica antropologica; realismo fenomenologico come metodo di indagine; neuroscienza meditativa come prassi socioclinica.
René-Henri Manusardi
[1] Estratto dal website www.aipt.it.
[2] Charles T. Tart, Psicologie Transpersonali, Ed. Crisalide, Latina 1994, vol. I, p. 15.
[3] Ibidem, p. 11 e segg.
[4] Estratto dal Sito www.aipt.it.
[5] A. Maslow, Motivation and Personality, New York Harper 1954.
[6] A. Maslow, “Theory Z” The Farther Reaches of Human Nature, NY Viking 1972. Il bisogno di trascendenza rappresenta lo sviluppo tardivo e finale del pensiero di Maslow.
[7] Rielaborazione integrale attuale con numerose aggiunte della seconda parte dell’Articolo Sociologia, scienza dell’uomo tra passato, presente e futuro, apparso sulla Rivista di Sociologia La Società in Rete, Anno 2006, N° 3, pp. 46-49, già parzialmente inserito nel vol. R. Manusardi, L’Arte Zen della Direzione Aziendale. La pratica del mind management per l’eccellenza delle risorse umane, Maggioli 2009, pp. 176-180.
[8] Cfr. Z. Baumann, Modernità liquida, Laterza 2002.
[9] Per l’attribuzione del nome, la storia, i contenuti propri e i campi di attuazione della Sociologia clinica, A cura di L. Luison, La Mediazione come strumento di intervento sociale. Problemi e prospettive internazionali, Franco Angeli 2006, pp. 21-22, 83 e ss.
[10] Per il tema della tossicodipendenza cfr. A. Silvestri, L’intensità negativa. Studi e ricerche di Sociologia clinica, Bonanno 1996. Per il rapporto tra Sociologia clinica e Psichiatria cfr. A Debernardi, Le reti di Pietra. Dai residui manicomiali alle pratiche e modelli per il superamento. Sociologia clinica e pratica psichiatrica, Centro Documentazione Pistoia 1997. Per la descrizione della Sociologia clinica cfr. M. Tosi, F. M. Battisti, Sociologia clinica e sistemi sociosanitari, Franco Angeli 1995 e L. Luison, Introduzione alla Sociologia clinica, Franco Angeli 1998.
[11] Cfr. H. Selye, The Stress of Life, McGraw-Hill 1984; versione ITA: Stress senza paura, Rizzoli 1976.
[12] Remo Siza, Le professioni del Sociologo, Franco Angeli 2006, p. 23; L. Wirth, Clinical Sociology, in American Journal of Sociology, n. 37, 1931, p. 49.
[13] Cfr. G. Catelli, Socioanalisi. Sociologia dei comportamenti latenti della comunità, Franco Angeli 1989; G. Milia, La Socioterapia nella mediazione dei conflitti, SRS Bisceglie 2002; L. Benvenuti, Malattie Mediali. Elementi di Socioterapia, Baskerville 2002; L. Luison, Introduzione alla sociologia clinica, Franco Angeli 1998.
[14] Cfr. R. Manusardi, Sociologia, scienza dell’uomo tra passato, presente e futuro, Rivista di Sociologia La Società in Rete, Anno 2006, N° 3, pp. 46-49; R. Manusardi, L’Arte Zen della Direzione Aziendale. La pratica del mind management per l’eccellenza delle risorse umane, Maggioli 2009; R. Manusardi, M. Grappeggia, Scienza Noetica per manager. Il potere dell’intuizione da Jules Verne a Dan Brown, Maggioli 2010; M. Blanco, Fondamenti di Neurosociologia, Primiceri 2016. R. Manusardi, Visiologia. Un contributo socioclinico alla neuroscienza della meditazione, Primiceri, 2018.
Fonte: IdeeAzione