L’inquietudine di Davos e la paura non dichiarata del fallimento
Il timore inespresso che inquieta i partecipanti a Davos è la paura di un’altra débacle, dopo quella dell’Afghanistan.
Klaus Schwab, appassionato di Ucraina, ha essenzialmente configurato il Forum Economico Mondiale (WEF) per mettere in mostra Zelensky [1] e per far leva sull’argomento che la Russia dovrebbe essere cacciata dal mondo civilizzato. L’obiettivo di Schwab era la crème de la crème dei leader economici mondiali riuniti lì. Zelensky ha fatto le cose in grande: “Vogliamo più sanzioni e più armi”; “Tutti gli scambi commerciali con l’aggressore dovrebbero essere fermati”; “Tutte le imprese straniere dovrebbero lasciare la Russia in modo che i vostri marchi non siano associati a crimini di guerra”, ha detto. Le sanzioni devono essere onnicomprensive; i valori devono essere importanti.
L’inquietudine ha attraversato il pubblico di Davos: Il WEF è un evento ad alto tasso di globalizzazione, giusto? Eppure, questa linea di Schwab suggerisce un disaccoppiamento “sui trampoli”. Inverte esattamente l’interconnessione. Inoltre, i generali occidentali in carica affermano che questo conflitto potrebbe durare non solo anni, ma decenni. Cosa significherà per i loro mercati nelle parti del mondo che rifiutano un’azione contro la Russia, si chiedono i finanzieri?
È improbabile che questa ventata di disorientamento fosse nelle intenzioni di Schwab. Forse quest’ultimo era più in linea con il successivo intervento di Soros [2], secondo cui una rapida vittoria sulla Russia era necessaria per salvare la “società aperta” e la civiltà stessa e questo era il messaggio del WEF 2022.
La “maggiore inquietudine” di Davos è emersa tuttavia da una parte inaspettata. Poco prima dell’inizio del WEF, il NY Times aveva pubblicato un articolo [3] della redazione che esortava Zelensky a negoziare con la Russia. L’articolo sosteneva che tale impegno implicava il compimento di dolorosi sacrifici territoriali. L’articolo ha suscitato reazioni indignate e rabbiose in Europa e in Occidente, forse perché – pur essendo formulato come un consiglio a Kiev – il suo obiettivo era evidentemente Washington e Londra (gli arci-belligeranti).
Eric Cantor, ex capogruppo alla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti (un legislatore ben informato sulle sanzioni all’Iran), anch’egli presente a Davos, si è chiesto [4] se l’Occidente sarà in grado di mantenere un fronte unito nel perseguire obiettivi così massimalisti [5] come Zelensky e il suo capo dell’intelligence militare hanno richiesto. “Potremmo non ottenere il prossimo voto”, ha commentato Cantor (sulla scia del voto di 40 miliardi di dollari apparentemente [6] destinati all’Ucraina).
Cantor ha detto che escludere completamente la Russia richiederebbe sanzioni secondarie contro altri Paesi. Ciò porrebbe l’Occidente in uno scontro frontale con la Cina, l’India e i quasi 60 Stati che si sono rifiutati di appoggiare una risoluzione delle Nazioni Unite che denuncia l’invasione russa. Ha avvertito che gli Stati Uniti potrebbero rischiare di tirare troppo la corda.
A Davos ha parlato anche il temibile Henry Kissinger. Ha avvertito l’Occidente [7] di smettere di cercare di infliggere una sconfitta schiacciante alle forze russe in Ucraina, affermando che ciò avrebbe conseguenze disastrose per la stabilità a lungo termine dell’Europa. Secondo Kissinger, sarebbe fatale per l’Occidente farsi trascinare dall’umore del momento e dimenticare il giusto posto della Russia nell’equilibrio di potere europeo.
Kissinger ha affermato che non si deve permettere che la guerra si trascini e ha quasi invitato l’Occidente a chiedere all’Ucraina di accettare condizioni che siano molto lontane dai suoi attuali obiettivi bellici: “I negoziati devono iniziare nei prossimi due mesi, prima che si creino sconvolgimenti e tensioni che non saranno facilmente superati”.
Cosa sta succedendo? In poche parole, stiamo assistendo ai primi segni di frattura nella posizione degli Stati Uniti sull’Ucraina. Le fratture in Europa sono già molto evidenti, sia per quanto riguarda le sanzioni che gli obiettivi della missione. Ma il commento di Cantor, secondo cui “potremmo non ottenere il prossimo voto”, necessita di ulteriori approfondimenti.
In un precedente articolo [8], ho sostenuto che la vittoria del senatore JD Vance alle primarie dell’Ohio per un seggio al Senato potrebbe essere indicativa. La sua candidatura è stata sostenuta da Trump, che in seguito ha lanciato un appello a “porre fine alla guerra”. Ora l’indizio chiave è il senatore repubblicano Josh Hawley, ambizioso e noto per le sue aspirazioni di leadership.
All’inizio della guerra in Ucraina, il senatore Hawley ha chiamato Zelensky, lodandolo e incoraggiandolo. Ma poi ha cambiato rotta. Hawley ha poi criticato i 40 miliardi di dollari di aiuti proposti all’Ucraina, dopo aver votato “no” alla votazione procedurale per portare avanti il pacchetto di aiuti “in quanto non è nell’interesse dell’America”.
All’inizio, come qualcuno ricorderà, la Camera aveva espresso 6 voti contrari alla proposta di legge – poi 60. E al Senato, prima zero, poi 11 voti. La legge è stata approvata in fretta e furia perché i responsabili delle votazioni temevano che il voto potesse sgretolarsi ulteriormente.
Cosa sta succedendo? Beh, la corrente “populista” repubblicana, mai innamorata degli aiuti esteri, è rimasta scioccata dai 40 miliardi di dollari per l’Ucraina, quando gli Stati Uniti non hanno latte per bambini (e hanno dovuto fare affidamento sugli aiuti stranieri per il latte per bambini). Questa corrente politica sta diventando più significativa e ha un impatto maggiore a causa di un cambiamento strutturale. I candidati politici e ora anche alcuni think-tank statunitensi si stanno rivolgendo al crowd-funding come principale fonte di finanziamento, allontanandosi dai donatori “consolidati”. In questo modo, l’ampio sentimento “anti-intreccio con l’estero” sta guadagnando consistenza.
Naturalmente, i 40 miliardi di dollari non andranno tutti all’Ucraina [9]. Non lo sono affatto. Secondo i dettagli del disegno di legge, la maggior parte andrà al Pentagono (per le attrezzature già fornite dagli Stati Uniti e dai loro alleati). E una grossa fetta andrà al Dipartimento di Stato, per finanziare tutti i tipi di attori non statali e ONG “utili” – in altre parole, si tratta di un bilancio dello Stato profondo con un imballaggio per l’Ucraina. I sei miliardi stanziati direttamente per nuovi armamenti all’Ucraina comprendono in realtà sia l’addestramento che le armi e quindi gran parte di questi finiranno nelle tasche di Stati come il Regno Unito e la Germania, che forniranno addestramento “fuori dal teatro” agli ucraini nel proprio territorio o in quello dei Paesi vicini.
Eric Cantor e altri americani presenti al WEF possono inquadrare la loro inquietudine per gli obiettivi occidentali in una “compagnia educata” come una semplice espressione delle loro incertezze [10] sulla grande strategia americana: se gli Stati Uniti stiano cercando di punire la Russia per la sua aggressione o se l’obiettivo sia un uso più sottile della politica che offra al Cremlino una “via d’uscita” dalle sanzioni, se dovesse cambiare rotta. Ma dietro la narrazione si nasconde una paura più oscura. La non detta paura del fallimento.
Che cosa significa? Significa che gli obiettivi bellici finali dell’Occidente in Ucraina sono stati finora in grado di rimanere opachi e indefiniti, i dettagli messi da parte dall’umore del momento.
Paradossalmente, questa opacità è stata mantenuta nonostante il fallimento pubblico della prima dichiarazione degli obiettivi dell’Occidente: il sequestro delle riserve estere offshore della Russia, l’espulsione delle banche russe da SWIFT, le sanzioni alla Banca Centrale e l’ondata di altre sanzioni avrebbero, di per sé, ridotto in macerie la moneta russa, provocato una corsa al sistema bancario nazionale, fatto crollare l’economia russa e provocato una crisi politica a cui Putin avrebbe potuto non sopravvivere.
In breve, la “vittoria” sarebbe rapida, se non immediata. Lo sappiamo perché i funzionari statunitensi e il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire se ne sono vantati pubblicamente.
Questi funzionari occidentali erano così fiduciosi in un rapido successo finanziario-guerresco che sembrava non ci fosse bisogno di investire una profonda riflessione strategica sugli obiettivi o sul corso della spinta militare secondaria ucraina. Dopo tutto, una Russia già economicamente collassata, con la moneta in rovina e il morale a pezzi, avrebbe probabilmente opposto poca o nessuna resistenza quando l’esercito ucraino avrebbe attraversato il Donbass e la Crimea.
Ebbene, le sanzioni si sono rivelate un fallimento e le entrate valutarie e petrolifere della Russia sono abbondanti.
E ora i politici occidentali vengono avvertiti dai media e dai loro stessi militari che la Russia è “vicina a una grande vittoria” nel Donbass.
È questo il timore inespresso che inquieta i partecipanti a Davos: il timore di un’altra débâcle, dopo quella dell’Afghanistan. Una disfatta resa ancora più grave dal fatto che la “guerra” alla Russia si traduce in un collasso economico in Europa e che si riducono in polvere gli otto anni di investimenti [12] della NATO per costruire un esercito per procura di successo secondo i suoi standard.
Questo è ciò che i commenti di Kissinger – decodificati – invitano a fare: “Non procrastinare”; ottenere un accordo rapido (anche se sfavorevole), ma che possa essere mascherato e in qualche modo fatto passare per una “vittoria”. Ma non aspettate e lasciate che gli eventi portino gli Stati Uniti verso un’altra inequivocabile, innegabile débacle.
Per ora negli Stati Uniti si tratta ancora di “chiacchiere da tavola”, perché il potere di una narrazione, investita da così tante emozioni e sostenuta da una pressione da pari a pari senza precedenti, ha mascherato questi pensieri dall’espressione pubblica. Tuttavia, le fratture cominciano a essere evidenti. Qualcosa si muove – e l’Europa inevitabilmente seguirà il cammino dell’America. Ma per ora i falchi restano saldamente sulla “sedia” (negli Stati Uniti, a Londra, in Polonia, alla Commissione UE e a Kiev).
La grande domanda, tuttavia, è perché Mosca dovrebbe accettare una tale “via d’uscita” (anche se le venisse offerta). Un accordo di compromesso verrebbe visto come una semplice possibilità per Kiev di riorganizzarsi e riprovare.
[1] https://www.politico.eu/article/volodymyr-zelenskyy-davos-more-sanctions-more-weapons/
[2] https://www.politico.eu/article/george-soros-slams-merkel-for-special-deals-on-russian-gas
[3] https://www.nytimes.com/2022/05/19/opinion/america-ukraine-war-support.html
[5] https://www.defenseone.com/threats/2022/05/the-d-brief-may-23-2022/367262/
[6] https://greenwald.substack.com/p/twenty-two-house-republicans-demand?s=r
[8] https://www.strategic-culture.org/news/2022/04/25/the-dynamics-of-escalation-standing-with-ukraine/
[9] https://greenwald.substack.com/p/twenty-two-house-republicans-demand?s=r
[11] https://www.wsj.com/articles/ukraine-military-success-years-of-nato-training-11649861339
Traduzione a cura di Costantino Ceoldo