Libia: le mani della Cina sulla Cirenaica? Considerazioni aspettando Trump

24.11.2016

La Cirenaica potrebbe diventare una nuova provincia cinese nel cuore del Mediterraneo, colpendo l'Occidente in uno dei teatri dove appare oggi più debole: l'ex Jamahiriya del defunto colonnello Muhammar Gheddafi, ovvero la Libia.

L'ipotesi rischia di diventare realtà con l'attuazione di un maxi-accordo da 36 miliardi di dollari per un pacchetto di progetti e investimenti infrastrutturali da realizzare nella Libia orientale; un'intesa annunciata a fine ottobre da Abdullah al Thinni, primo ministro del governo "di transizione" di al Bayda, sul versante di Tobruk. Il colossale programma di opere infrastrutturali include la realizzazione del più grande porto di acque profonde del paese, un aeroporto, una ferrovia meridionale lungo il confine con l'Egitto e il Sudan, 10.000 unità abitative, un ospedale da 300 posti letto e un'università.

Al Thinni ha detto in un'intervista all'emittente televisiva "Al Hadath", citata dal quotidiano locale "Libya Herald", che una cordata di investitori cinesi dovrebbe portare a compimento le opere in soli tre anni, con un impatto sull’economia locale quasi immediato.

La notizia, impossibile da verificare sul campo, assume particolare rilevanza se si considera che il presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, ha più volte attaccato le aggressive pratiche commerciali della Cina, ed è ragionevole credere che egli cercherà di contenere l’espansione cinese nel mondo: quella commerciale, ma anche quella militare. Il governo di Pechino ha favorito un’impressionante espansione della presenza cinese sui mercati internazionali, che è passata attraverso l’acquisizione di importanti aziende, in particolare nei settori delle infrastrutture e dei macchinari e l’occupazione di interi settori commerciali con pratiche sul filo del dumping.

Particolarmente forte è stata la penetrazione in Africa, un continente in cui, ormai, la Cina vanta un’influenza assai superiore alle ex potenze coloniali. Sul piano militare, Pechino ha enormemente aumentato le spese per la difesa, in particolare nel settore aerospaziale ed in quello navale. Poter garantire il controllo delle rotte marittime commerciali è di vitale importanza per una potenza che, come la Cina, dipende sempre più dall’importazione di petrolio e dall’esportazione di prodotti finiti.

Secondo Nicola Latorre, presidente della commissione Difesa del Senato, la notizia dei mega-investimenti cinesi in Libia potrebbe essere una bufala. "Ho qualche dubbio sul fatto che questa notizia, che andrebbe verificata accuratamente, abbia il minimo fondamento: che la Cina stia puntando sull'Africa è una cosa arcinota", ha detto Latorre ad "Agenzia Nova". "Continuo ad auspicare un accordo fra Tobruk e Tripoli", ha aggiunto il senatore, ribadendo l'importanza di "unire la Libia e trovare un'intesa tra le due parti, portando tutte le modifiche ritenute necessarie e superando le resistenze ad una trattativa chiara anche con Haftar", il generale 'rinnegato' della Cirenaica. "Il destino dei libici e anche dei rapporti relativi a possibili investimenti stranieri - ha aggiunto Latorre - è giusto che sia una prerogativa dei libici: a noi interessa che si raggiunga quanto prima un'intesa per superare questa spaccatura".

Mattia Toaldo, analista sulla Libia dell'European Council on Foreign Relations (Ecfr) a Londra, ha detto ad "Agenzia Nova" che "in questo momento il valore di un accordo firmato da qualsiasi governo libico, e in particolar modo da quello non riconosciuto dalla comunità internazionale, è molto basso". La cosa sorprendente, ha detto ancora Toaldo, "è che i cinesi si siano prestati a un'operazione del genere". Quanto al possibile scontro Cina-Usa in Libia, l'analista ha invitato a considerare che Trump "sarà certamente meno duro con Haftar e Tobruk" di quanto lo sia stato il suo predecessore Barack Obama: "Questo dimostra che americani e cinesi non avranno molti motivi di farsi la guerra su questo punto", ha sottolineato ancora l'esperto di Ecfr.

La vittoria di Trump alle elezioni presidenziali negli Usa rischia dunque di mutare radicalmente i delicati equilibri in Libia. Non è un caso che l’autoproclamato esercito nazionale libico (Lna), ostile al governo di accordo nazionale (Gna) con sede a Tripoli, abbia subito auspicato che la nuova amministrazione presidenziale statunitense agisca a favore della formazione militare comandata da Haftar, recentemente promosso "feldmaresciallo" dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk, il parlamento libico riconosciuto dalla comunità internazionale. "Ci aspettiamo una presa di posizione degli Stati Uniti a favore della Forze armate libiche”, ha affermato ad “Agenzia Nova” il colonnello Ahmed al Mismari, portavoce dell’Lna, la scorsa settimana. L’ufficiale libico, fedelissimo di Haftar, ha voluto rimarcare il ruolo dell’esercito nella lotta al terrorismo. “Ci aspettiamo anche un radicale cambiamento a livello internazionale verso l’Lna, ammettendo francamente che sta lottando contro il terrorismo”, ha dichiarato al Mismari.

Secondo al Mismari la posizione degli Usa verso il Gna di Tripoli potrebbe mutare in maniera sensibile. “L’approccio degli Usa potrebbe decisamente cambiare verso il governo di accordo nazionale del (premier designato) Fayez al Sarraj dal momento che è controllato dai terroristi e dalla Fratellanza musulmana”, ha concluso al Mismari. Donald Trump ha ribadito più volte che l’Alleanza atlantica dovrebbe rivolgere le sue attenzioni verso sud, collaborando con la Russia nella lotta al terrorismo islamico. A ben vedere, l’insistenza del presidente-eletto sulla necessità di dichiarare guerra al terrorismo dovrebbe preoccupare soprattutto alcuni paesi che, negli ultimi anni, hanno favorito, finanziato, ospitato o armato gruppi estremisti come lo Stato islamico, al Qaeda e le sue derivazioni, i gruppi radicali dell’Afghanistan. Paesi che spesso vengono indicati anche pubblicamente da osservatori ed esponenti politici: l’Arabia Saudita e i suoi alleati del Golfo, la Turchia ed il Qatar, ed il Pakistan per quel che riguarda l’Afghanistan.

Se davvero gli Stati Uniti dovessero esercitare forti pressioni su questi paesi, la capacità che essi oggi hanno d’influire sugli scenari internazionali sarebbe ridotta. Un simile sviluppo rivestirebbe grande importanza anche per il nostro paese, poiché, ad eccezione del Pakistan, si tratta di paesi coinvolti più o meno direttamente nel sostegno alle diverse milizie armate che si contendono il controllo della Libia. Una riduzione dell’impegno di sauditi, emiratini, turchi e qatarini, consentirebbe forse all’Italia di accelerare il processo di stabilizzazione della Libia, riguadagnando, fra l’altro, almeno una parte di quello che fino a 25 anni fa fu l’area d’influenza del nostro paese. Va inoltre tenuto conto di altri due attori internazionali che, per un motivo o per l'altro, svolgono un ruolo in Libia: l'Egitto e la Russia. Il primo è già fortemente impegnato nella crisi libica ed è apertamente schierato con Haftar; Mosca è in attesa di vedere gli sviluppi della situazione, ma non ha mai nascosto le proprie simpatie per le forze della Cirenaica che, peraltro, utilizzano quasi esclusivamente armamenti russi.

Il colonnello al Mismari ha confermato ad "Agenzia Nova" che la Russia potrebbe inviare consiglieri militari Cirenaica, una volta rimosso l'embargo Onu sulle armi. "Tutti i contratti per la manutenzione o per la fornitura di armamenti saranno effettivi solo dopo la fine dell'embargo. Sicuramente quando riceveremo le nuove armi accoglieremo anche esperti e consiglieri militari", ha detto il portavoce dei Haftar. Secondo al Mismari, il 99 per cento degli armamenti in dotazione all'Lna sono russi."Io stesso ho ricevuto una formazione militare in Russia negli anni Novanta, così come la maggior parte degli ufficiali dell'Lna. I nostri tecnici addetti alla manutenzione si sono diplomati tutti nelle accademie militari russe", ha spiegato ancora il colonnello libico. "Con la Russia abbiamo diversi contratti permanenti per la manutenzione e la fornitura di pezzi di ricambio. Nel 2010 abbiamo firmato con Mosca anche altri contratti per la fornitura di armi avanzate, ma l'embargo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha fermato tutto".

Il presidente-generale egiziano Abdel Fatah al Sisi è stato fra i primi capi di Stato straniero a telefonare per congratularsi con il neoeletto presidente Usa. Non va dimenticato gli Stati Uniti forniscono all'Egitto circa 1,3 miliardi di dollari all’anno in aiuti militari. Nella telefonata al Sisi ha sottolineato il desiderio di rafforzare i legami bilaterali con gli Stati Uniti, dopo un periodo non proprio idilliaco con l'amministrazione di Barack Obama, auspicando una maggiore cooperazione con Washington nelle crisi in Medio Oriente. Da parte sua, secondo quanto riportato dall’agenzia egiziana "Mena", Trump ha espresso il suo apprezzamento per il presidente al Sisi, sottolineando di voler incontrare presto l’omologo egiziano e lodando l’incontro avvenuto a fine settembre a New York a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Durante quell'incontro, secondo la stampa egiziana filo-regime, Trump aveva promesso ad al Sisi di dichiarare la Fratellanza un "gruppo terroristico", dicendo di essere non solo un alleato ma anche un "fedele amico" dell'Egitto. Fratellanza musulmana che, secondo le accuse di Haftar, "manovra" il governo di accordo nazionale di Tripoli.