Itinerarium mentis in Dugin. O, della fecondità della lettura
La censura culturale – ideologica, metapolitica, filosofica, che dir si voglia – fa il suo ritorno in Italia. La questione incendia la programmazione dell’Università d’Estate 2019 – “Strade di Eurasia”, organizzata dall’associazione REuropa per portare in Italia, in un denso (Grand) Tour di conferenze, il filosofo e politologo russo Aleksandr Dugin. Le polemiche non sono mancate, così come i tentativi di boicottaggio. I vessilli sotto cui i corifei della Società Aperta di popperiana memoria si sono raccolti recano i consueti e roboanti titoli: liberalismo (de iure, di certo non de facto), difesa della democrazia (come se ce ne fosse una sola, eternata in un iperuranio cui post-Nietzsche è francamente ingenuo affidarsi), anti-fascismo e anti-nazismo (utili strumenti nel caso di un autore dichiaratamente non fascista e non nazista), anti-imperialismo (che alle critiche di Dugin all’unico Impero in atto, quello di Hardt e Negri, per intenderci, proprio non si vogliono interessare), apertura pluralistica all’altro (solo quello privo di identità, ça va sans dire).
Superando per un attimo la vicenda contingente, che pure ha visto coinvolto Noam Chomsky, e l’analisi articolata che ne può esser fatta – e che è già stata condotta da alcuni intelligenti commentatori – vorremmo lanciarci in una provocazione. Una sfida ardita, forse un po’ eccentrica, a tratti utopistica. Perché non tentare di discutere nel merito le tesi di Dugin? Perché non partire dalla lettura dei suoi testi disponibili in lingua italiana, grazie allo sforzo e alla passione di editori encomiabili? (Per i poliglotti, ricordiamo che le opere di Dugin sono acquistabili, fra le altre lingue, in inglese, francese, spagnolo, portoghese, tedesco, russo ovviamente – insomma, giusto per precisare, i suoi saggi possono essere letti; se lo si desidera, bastano pochi euro e un click, lo garantiamo).
Si potrebbe scoprire, ad esempio, che la bibliografia e le fonti impiegate dallo studioso russo sono ampie e variegate. Non intendiamo affatto sminuire le radici evoliane e guénoniane della posizione duginiana. Ma potrebbe essere sorprendente, per alcuni perlomeno, scoprire che oltre alla scuola tradizionalista e agli autori tedeschi della Konservative Revolution (Schmitt, Heidegger, Jünger e Niekisch – sì, proprio lui, l’anti-nazista Niekisch) Dugin si abbevera a studi storico-religiosi e antropologici (Eliade, ad esempio), approfondisce il tema dell’immaginazione e dell’immaginario (Durand e Caillois, fra gli altri), tematizza il fondamento filosofico del postmodernismo (Deleuze, Guattari, Lacan, Baudrillard), indaga le radici mistiche e teologiche dell’ortodossia cristiana, si confronta persino col cinema e la cultura pop a lui contemporanea.
La filosofia politica di Dugin e la sua iper-(mal)-citata Quarta Teoria Politica – cui, si badi bene, va tutto il nostro interesse e a cui abbiamo intensamente lavorato – sono una sola declinazione disciplinare di una proposta teoretica, metodologica ed esistenziale assai più ampia. La quale, ridotta con il liberalissimo rasoio di Ockham, è in ultima istanza un invito all’esercizio di una riflessione organica sulla contemporaneità postmoderna, sui suoi limiti, e sulla possibilità, nel confronto critico e pluralistico con le diverse tradizioni, di una riconquista da parte dell’uomo di una integralità che sia insieme interiore ed esteriore. Di quella “libertà per” – e qui ci spiace scomodare Julius Evola, che in questi giorni ne ha viste delle belle – che «è l’assoluta negazione e l’assoluta affermazione, l’abisso, l’eternità da cui fiorisce un mondo libero, nudo, aprovvidenziale, un mondo di autarchie in luce e in tenebre». Così è scritto a conclusione di Fenomenologia dell’Individuo Assoluto, un modernissimo affresco di irradiazioni anticonservatrici e, proprio per questo, tradizionali (nel senso della Sophia Perennis).
Torniamo a Dugin. Il macrocosmo politico e geopolitico è intrinsecamente connesso, nella sua prospettiva, col microcosmo in interiore hominis. Una lezione, questa, di origine tutta rinascimentale – giacché anche al Rinascimento italiano, e agli studi della Yates e di Culianu a esso dedicati, s’interessa Dugin. Più che i militanti di qualsivoglia partito, club o associazione, i veri nemici del suo pensiero sono gli engagés di un’Idea perniciosa e bifronte: la fine della storia e l’impossibilità della creazione di destini (con le sue svariate declinazioni: liberismo economico, liberalismo politico, neopositivismo, filosofia analitica, postmodernismo sclerotizzato, dualismo filosofico, materialismo del virtuale, riduzionismo ontologico).
Chi davvero intende, seriamente, attaccare Dugin, si misuri (anche) con questi temi. Con Teoria e fenomenologia del Soggetto Radicale, di prossimissima pubblicazione per AGA, lanciamo questa sfida. In fondo, sulla fecondità della lettura e del contraddittorio, siamo tutti d’accordo. O forse no?