Il sovranismo è morto, viva il sovranismo! La sfida di Salvini

18.09.2019

Dopo la formazione del nuovo governo Conte, ciò che è accaduto questa estate – le polemiche tra gli ex alleati, lo “strappo” di Salvini – acquista una nuova luce, e consente nuove riflessioni politiche. Gli errori tattici di Salvini, che senza dubbio ci sono stati, appaiono poca cosa, rispetto ad esempio al cambiamento strutturale che ha riguardato, invece, il M5S. Dagli sbagli di Salvini, non ne è uscita una Lega politicamente diversa da prima. Dai ripensamenti di Grillo è invece uscito un Movimento che non ha più nulla del precedente. Una vera e propria mutazione genetica.

Si sono trovate tante giustificazioni, ma il dato rimane: il M5S ha finito per stringere un’alleanza di governo non semplicemente con un partito della “casta”, ma con quel Pd che Gianroberto Casaleggio – il vero fondatore del MoVimento – indicava come il nemico assoluto, il partito dell’establishment, di “Renzie”, come lo chiamava una volta Grillo, l’“ebetino”. Ed ecco che proprio a Grillo è, invece, toccato di resuscitare l’ex segretario, perché è con lui, che controlla ancora i gruppi parlamentari Dem, e non con Zingaretti, che l’alleanza di governo si è conclusa. È a Renzi che Grillo ha venduto un Movimento, che è stato così “rivoltato come un calzino” (altro che il Parlamento!). Resta però da capire, però, perché tutto ciò sia avvenuto, e quale sia l’obiettivo di questa operazione. Certo, l’alleanza è, in apparenza, puramente “difensiva”: si trattava di impedire quelle elezioni in cui Salvini, presumibilmente, avrebbe vinto da solo contro tutti, superando il consenso raccolto alle elezioni europee. In realtà, però, il patto Pd-M5S, obiettivamente, spinge per una rideterminazione complessiva degli equilibri politici. Sembra che ci sia già dimenticati della novità che il governo Lega-M5S ha rappresentato, non solo per l’Italia, ma per l’Europa: quella che fino a quel momento si era tentata di far passare per la “minaccia populista”, eversiva, ha dato vita ad un “laboratorio politico” in cui si sono saldati un sovranismo identitario, quello della Lega, ed un sovranismo sociale, espresso dal M5S.

LA DIALETTICA

Con il governo giallo-verde è stata per la prima volta superata nella realtà politica la dialettica destra/sinistra, per cominciare a rendere possibile una nuova dialettica, quella tra due “poli” non opposti tra loro in quanto di “destra” o di “sinistra”, ma in quanto riflettessero, all’interno della realtà nazionale, i diversi modi di declinare il rapporto tra sovranità e globalità. Se quella tra destra e sinistra era, alla sua origine, una divisione ideologica, che si è nel tempo trasformata in una sempre meno marcata opposizione tra gruppi di interesse interni al capitalismo finanziario, quella tra sovranismo e globalismo è invece una distinzione che fa saltare le “idee” di destra e di sinistra, ma che riguarda il modo di pensare il rapporto che vogliamo tra le identità nazionali e il mondo globalizzato.

Il sovranismo, in sintesi, si fonda sulla differenza tra le identità (identità regionali all’interno degli Stati, identità nazionali all’interno dell’Europa), laddove il globalismo si fonda sull’identità delle differenze (sul modello, cioè, del “cittadino globale”, identico quale che sia la sua nazionalità, la sua cultura, etc.). Il sovranismo pensa ad una politica costruita dal basso verso l’alto (dal particolare all’universale: dalle Regioni allo Stato, dallo Stato all’Europa), dove invece il globalismo la pensa dall’alto verso il basso (dall’Europa agli Stati, dallo Stato alle Regioni).

Per la prima volta in Europa, l’Italia aveva creato un “laboratorio” in cui le idee sovraniste si sono trovate concretamente realizzate, in cui era stato possibile sperimentare una politica veramente al di là delle ideologie. Per questo doveva essere il più rapidamente possibile eliminato. Il destino dopo le elezioni europee era comunque segnato. La sua vittoria e la sua crescita di consensi nei mesi successivi avevano allarmato i poteri forti nazionali e sovranazionali. Salvini è stato messo tra l’incudine e il martello. Se continuava al governo lo avrebbero logorato impedendo la riduzione delle tasse e la manovra espansiva, se rompeva correva un grossissimo rischio ma avrebbe almeno potuto giocarsela. Ha rischiato e ha perso. Punto e a capo.

Ma la alleanza Pd-M5s non costituisce pertanto solo uno sporco accordo per escludere la possibilità, per la Lega, di vincere le elezioni, risponde infatti ad una strategia che punta a ricreare il vecchio equilibrio destra/sinistra, evitare ogni possibile discontinuità rispetto ai diktat europei e ristabilire, contro quelli che l’establishment chiama i “populismi”, o il “pericolo sovranista”, la più rigida separazione tra governanti e governati.

LICIO GELLI

È impressionante constatare, in questo senso, come le posizioni di Grillo, di fatto di nuovo capo del Movimento, ricalchino il piano della massoneria di Licio Gelli: a cominciare dal “taglio dei parlamentari”, che nel piano di Gelli era funzionale a “privatizzare le istituzioni”, consentendo la formazione di una oligarchia separata e rigida. Dimezzare i parlamentari e governo di tecnici, questo il progetto del futuro Movimento grillino. Una oligarchia al posto della democrazia. E non è che a questa oligarchia che Grillo rimanda quando parla degli “elevati”, di una élite la cui legittimazione passa, ancor prima che per il voto, per la “virtù” e la “levatura” dei suoi esponenti. Insomma: si tratta di trasformare il Parlamento e Governo in una specie di casta di uomini superiori – per cultura, educazione, ricchezza, etc. La rappresentanza viene, in questo modo, declinata in funzione oligarchica, a salvaguardia delle classi dominanti, dei gruppi del potere finanziario, degli interessi di Bruxelles. Ovviamente il tutto deve avvenire lasciando una parvenza di democrazia, una “democrazia di facciata”. Si potrà certo continuare a votare, ma entro posizioni apparentemente diverse, in realtà intercambiabili. Non il voto sarà manipolato, ma le menti, come si è visto – grazie a Grillo – nel recente voto sulla piattaforma Rousseau. Non vi è dubbio che su questa base Grillo possa trovare larghissimo consenso nei poteri forti, meno nel popolo, ma in questo progetto, che bene sia adatta al globalismo, esistono solo “elevati” e non c’è spazio per i popoli.

Per realizzare questo progetto, occorre però che la dialettica parlamentare ritorni ad essere polarizzata entro due categorie entrambe interne e complici del sistema, quali quelle di centrodestra/centrosinistra. Ed in effetti quello che ora abbiamo è un governo di centro sinistra: un nuovo centro sinistra con il Pd in posizione centrale e il M5s in posizione periferica. È qui che si gioca il destino di Salvini e della Lega. La “trappola” che lo aspetta, in fondo, è questa: che, spezzandosi l’alleanza tra Lega e M5S, egli torni a ricollocarsi all’interno del centrodestra. Il vecchio centro destra contro questo nuovo centro sinistra ha però perso in partenza.

LA RETORICA ANTIFASCISTA

È la ricostruzione di questa vecchio centrodestra ciò che sperano i suoi avversari: perché una Lega che si identifichi stabilmente con la destra, diventa molto più facile da combattere (si pensi alla cara retorica antifascista, che già in questi mesi ha provato a tornare alla carica), di una Lega sovranista, indefinibile e non collocabile rispetto alle vecchie categorie della politica. «Se il tuo nemico è di pari forza, lotta, altrimenti sparisci e riconsidera», dice Sun Tzu: Salvini ha lottato, e ha perso – in parte per i suoi errori di calcolo, ma soprattutto perché ha lottato contro un nemico troppo forte.

Ora è il tempo, però, non certo per sparire, ma per riconsiderare la sua posizione. C’è da costruire una Lega veramente nazionale: perché, come mostrano i sondaggi, la Lega non ha ancora stabilmente i voti del Sud, che continuano ad andare e venire. Per questo, a mio avviso, bisogna evitare di rifugiarsi nel Nord – ovviamente questo non significa non insistere sulla lotta per le autonomie, anzi questa diventa oggi prioritaria -, e nella tradizionale opposizione di centrodestra – ovviamente questo non significa non tener conto delle altre forze politiche in campo che possono accettare un progetto sovranista. Perché è da questo progetto che bisogna partire.

Il Capitano deve riuscire a tenere la Lega al di là dell’opposizione destra/sinistra che si va ricostituendo. Solo così potrà spiazzare di nuovo i suoi avversari. Cominciare dai territori a creare anche al Centro e al Sud quella classe dirigente che la Lega ha saputo nel tempo costruire al Nord. Il “sistema” che ormai con Grillo ha definitivamente inglobato il M5s, lavora verticalmente a partire dalle élites, la Lega operi orizzontalmente a partire dai cittadini. Il sistema lavora per gli “stranieri”, la Lega lavori per gli italiani.