IL COMPLOTTO CONTRO IL M5S E' RIUSCITO: HANNO VINTO A ROMA E NON SANNO CHE FARE
Mentre il Presidente del Coni, Giovanni Malagò, faceva anticamera in Campidoglio, aspettando invano l’arrivo del Sindaco, Virginia Raggi pranzava serenamente in una trattoria del centro di Roma, dando indicazioni al suo portavoce su come intrattenere l’ospite: “digli che sto incontrando il ministro Delrio e per questo arriverò un po’ in ritardo”. Quando l’ospite, vista l’ora, ha capito che l’incontro sarebbe saltato se n’è giustamente andato. A quel punto, come per magia, il Sindaco è arrivato e ha potuto affrontare, in piena tranquillità, la conferenza stampa che ha annunciato il NO alle Olimpiadi. Con tanto di claque e di applausometro (un inedito assoluto per le conferenze stampa).
Questa vicenda appare – almeno a chi riesce a leggere “tra le righe” – come la cartina di tornasole dell’amministrazione a 5 Stelle. Per una serie di ragioni, che vado a elencare:
1. Il No ideologico. È nota la contrarietà di massima del M5S alle Olimpiadi, come a tutti i grandi eventi e tendenzialmente a tutte le grandi opere. È un mix di pauperismo – “la gente vuole il reddito di cittadinanza e l’ordinaria amministrazione, non le opere faraoniche” – e di retorica negativa, tale per cui ogni grande appalto finisce per essere automaticamente una “mangiatoia dei soliti noti”, un trionfo dei “signori del mattone”. Come è noto ed evidente, questa retorica populista funziona alla grande in termini di costruzione del consenso. Agli italiani tutto sommato piace, da sempre, essere anti-italiani. Sono i primi a dire che in Italia non siamo in grado di far nulla che funzioni e rispettando le regole. Tanto più dopo anni di inchieste sovraesposte mediaticamente che hanno delegittimato un intero sistema dei partiti, questa posizione è diventata automaticamente vincente.
2. Il No strumentale. Alcuni retroscena raccontano di una posizione molto meno netta del duo Raggi-Frongia (sindaco e vicesindaco) che avevano intuito l’utilità delle Olimpiadi per Roma: circa 4 miliardi di investimenti in arrivo dal governo al fine di realizzare gli ammodernamenti necessari. Tuttavia, sembra evidente che dall’alto (Grillo-Casaleggio jr.) e dal basso (gruppo consiliare e mini direttori vari) sia arrivata una sorta di ultimatum che ha trasformato il “ni” tentennante e l’ipotesi di referendum lanciata in campagna elettorale in un No senza se e senza ma. Decisiva, a tale proposito, sembra essere la presenza annunciata di Virginia Raggi alla festa del M5S che si terrà a Palermo il 24 e il 25 settembre. Come avrebbero potuto spiegare un Si alle Olimpiadi, dopo tutta quella sequela di No alle “Olimpiadi del mattone?”. Il No ricompatta tutti, fino alla prossima rogna.
3. La delusione delle élite, gli applausi del popolo. La rassegna stampa del giorno dopo è impietosa: una sequela di articoli contro la scelta di Virginia Raggi. Tuttavia, si legge anche che mentre era a pranzo – in attesa che Malagò se ne andasse dal Campidoglio – ha ricevuto diversi complimenti dai cittadini. E sui social network il suo No è diventato (quasi) un trionfo. È evidente una scollatura tra élites e masse, sempre più profonda, alimentata dal fatto che un bel pezzo delle élites continui a cavalcare temi populistici e antipolitici. Molti cittadini sono convinti che il M5S sia cresciuto nonostante l’accanimento dei media contro il MoVimento stesso. La realtà è ben diversa: tutta la cronaca e gli approfondimenti che fanno a brandelli i partiti tradizionali è, di fatto, campagna elettorale per il M5S. Risvegliarsi oggi, per criticare la scelta di non candidare Roma alle Olimpiadi, è un po’ tardivo. Avete creato il mostro, ormai bisogna farci i conti.
4. La gestione approssimativa della vicenda. La questione “candidatura olimpica” è nata male ed è cresciuta ancora peggio. In campagna elettorale è stata gestita, buttando la palla in corner: “se i cittadini me lo chiederanno, faremo un referendum”. Il che è di per sé, curioso: come possono chiederlo i cittadini? Si fa un referendum per sapere se vogliono un referendum? Poi, una volta vinte le elezioni è iniziato il “balletto”: amministrazione sempre più tentennante, MoVimento sempre più deciso per il No. Nel giorno fatidico della conferenza stampa poi si è toccato l’apice: Malagò chiede lo streaming dell’incontro e viene negato proprio dai promotori dello streaming a tutto campo. L’incontro non si terrà affatto, in realtà, perché il sindaco farà di tutto per farlo saltare, inventando di sana pianta ragioni inesistenti pur di non incontrare la delegazione del Coni, svelate da una foto impietosa e da interviste al proprietario di quella trattoria che ha fatto le veci del ministro Delrio come alibi per evitare l’incrocio “imbarazzante” con i vertici dello sport italiano.
5. Ordinario vs. straordinario. “Roma ha bisogno di mettere a posto le strade, non di grandi eventi”, questa è la tesi gridata a voce alta da mesi e mesi all’interno del M5S. A fatica e senza la giusta enfasi si riesce a controbattere che lo straordinario spesso porta con sé anche l’ordinario. Se fossero arrivati 4 miliardi di investimenti per la candidatura olimpica, sarebbero serviti anche per l’ordinario, ossia la città ne avrebbe tratto beneficio. Ora invece tocca trovare altri fondi, in un ente già di per sé sconquassato dal punto di vista finanziario. Ma a proposito di ordinario, la cosa più interessante da rilevare è un’altra: mentre si discute sulla candidatura olimpica, Roma Capitale è senza assessore al bilancio, senza capo di gabinetto, senza alcun dirigente esterno, senza city manager, con segretario e ragioniere generale da rinnovare e con 500 posizioni organizzative (gente che firma gli atti…) scadute da fine luglio. Questi dati non fanno notizia, ma dietro questi numeri c’è il motore dell’amministrazione. Evidentemente mancante di numerosi pezzi essenziali.
Il trade-off dunque sembra chiaro: governare la città o governare l’opinione pubblica, come se le due cose fossero del tutto scollegate. Sull’opinione pubblica qualcosa si sta facendo, anche grazie alla “luna di miele” e a una strategia di comunicazione unidirezionale: una sola conferenza stampa in 3 mesi, quasi nessuna intervista e comunicazione intensa via social network (senza contraddittorio). Il problema è che se ignori del tutto i media tradizionali, dai loro carta bianca. E, se vogliono, ti fanno male. Cosa che sta evidentemente accadendo.Sul governo della città, siamo ancora più indietro. Mancano le fondamenta, sia in termini di risorse umane, sia di idee, visto che numerosi dirigenti hanno già scritto al sindaco che non hanno indicazioni sulle cose da fare. Il che, per un dirigente, significa non poter far nulla.
C’è una via d’uscita? C’è luce in fondo al tunnel? Poca, direi. Roma ha tritato tutte le amministrazioni recenti, fatte di politici di professione e di classi dirigenti “allenate”, buone o cattive che fossero. Nessuno ha il tempo di rodarsi e fare esperienza governando la capitale. Si è sempre nell’occhio del ciclone e le aspettative sono enormi. Ogni errore diventa notizia di livello nazionale, quando non internazionale. E ogni errore porta con sé una perdita di credibilità che complica le cose anche in chiave di reclutamento: è più facile trovare un assessore al bilancio oggi o era più facile tre mesi fa, prima di questa serie di scivoloni? È partita una spirale di delegittimazione che sarà difficilmente superabile, anche perché le porte di eventuali collaboratori competenti saranno sempre più chiuse.
Morale: per fare opposizione ci si può improvvisare. Per governare, no.Tanto più se si prova a governare l’ente più complesso e messo male d’Italia. D’altronde Paola Taverna l’aveva detto pubblicamente: il complotto contro il M5S è riuscito. Hanno vinto a Roma loro malgrado e ora tocca salvare il salvabile. Impresa titanica.