Caucaso: la polveriera Armenia & l’Azerbaigian che fa storia (e non solo)
Uno scontro che, come in Ucraina, lambisce l’Occidente politico e dovrebbe portare ad una profonda ridefinizione strategica e geopolitica le élite che lo governano. Prima che si arrivi al punto di non ritorno (ahimé sempre più dietro l’angolo).
Questa ebollizione dell’area caucasica è dovuta a una molteplicità di fattori, fra i quali i più significativi sono i seguenti:
1) storica mancata risoluzione delle controversie (in primis di natura etnica e religiosa) derivanti sia dall’Impero Ottomano che dall’URSS. In quest’ottica, di grande rilevanza per il passato, il presente e certamente anche il futuro vanno segnalati almeno due fatti:
- Quello che in Armenia viene considerato a tutti gli effetti come un genocidio (“Meds Yeghern” – Grande Catastrofe) perpetrato ai loro danni dall’Impero Ottomano e che ha avuto il suo fulcro nel 1915.
- Le divisioni drammatiche “cristiani armeni – musulmani azeri” sviluppatesi anche dopo la Rivoluzione russa del 1917 e che lasciarono profonde lacerazioni sia nelle anime delle popolazioni interessate che a livello territoriale, con il Nagorno Karabakh e il territorio del Nakchivan come punti caldi del conflitto.
2) Scontri armati mai risolutivi negli ultimi anni del ‘900, in primis fra Armenia e Azerbaigian. Scontri sviluppatisi in primis proprio in quel Nagorno Karabakh tornato alla ribalta anche nel III Millennio.
3) Tentativi di alcune Grandi Potenze, e di altre più regionali, di scontrarsi “per procura”, utilizzando dunque le storiche incomprensioni e le secolari diatribe circoscritte per attaccarsi e mettersi in difficoltà. Se infatti Stalin aveva cercato un dialogo con la Turchia di Ataturk anche avendo in qualche modo un “occhio di riguardo” per l’Azerbaigian sovietico (comunque a maggioranza islamica e filo – turca) assegnandoli il Nagorno – Karabakh e il Nakchivan (con grande disappunto di Yerevan), dal crollo dell’URSS l’instabilità del Caucaso si è sviluppata con tutta la sua forza (leggasi anche Cecenia) certamente per l’incapacità delle Potenze del posto di toccare le corde giuste della pacificazione ma anche per ingerenze esterne interessate a mettere “zizzania” in un’area delicata (per la Russia in primis).
Una polveriera, dunque, rinfocolatasi con la Guerra del settembre – novembre 2020 (dove l’Azerbaigian si prese il 75% del territorio chiamato Artsakh dagli armeni) e poi nel 2023 con Baku che con una guerra lampo si è ripreso tutto il Nagorno – Karabakh.
Guerra lampo che ha visto da un lato l’impossibilità oggettiva dell’Armenia di combattere ad armi pari con l’Azerbaigian e dall’altro la capacità di quest’ultima Nazione di sfruttare il momento favorevole.
Basti pensare, a titolo di esempio, alla spesa per la difesa dell’Azerbaigian rispetto all’Armenia (circa 4 volte in più).[1]
Con strascichi dunque “esplosivi” per il presente e il futuro.
Momento favorevole per Baku dovuto in primis a questioni internazionali con riverberi positivi per le sue aspettative:
- Forte alleanza con la Turchia (Paese NATO), sia per motivi di storica vicinanza (in primis a livello religioso) che per l’ambizione di Ankara di estendere la sua influenza sull’Asia Centrale con forte presenza islamica e turcofona. Influenza più facilmente estendibile grazie alla continuità territoriale garantita da Baku.
- Il conflitto in Ucraina ha oggettivamente posto la Russia di fronte ad un impegno epocale e dunque il sostegno all’Armenia e al Governo Pashinyan (peraltro da tempo ai ferri corti con Mosca) non è vissuto dal Cremlino come “esistenziale”. In più, le relazioni Russia – Azerbaigian sono tutt’altro che negative, ad esempio con Baku che acquista armi da Mosca.
- L’equilibrio Turchia – Russia è molto delicato ed è caratterizzato da concessioni reciproche che talvolta scontentano gli alleati “minori”. Vedesi, ad esempio, Assad in Siria (inviso alla Turchia).
Al contrario, momento sfavorevole per Yerevan, con l’Armenia che cerca di districarsi fra una relazione comunque ancora presente con Mosca (per l’economia in primis) e il tentativo di avvicinarsi all’occidente politico (Francia e USA in primis).
Un gioco molto pericoloso e denso di ostacoli, quello del Governo Pashinyan (peraltro sostenuto anche da una parte di opposizione, la quale anzi chiede proprio la rottura delle relazioni con Mosca e l’apertura completa ai Paesi NATO), in quanto non va dimenticata la relazione positiva che “volente o nolente” l’occidente ha con Baku, in primis per i seguenti motivi:
- Il sostanziale embargo alle materie prime russe (anche se ampiamente “auto – aggirato” comprando da Paesi terzi) ha portato ad un approvvigionamento esistenziale per l’Europa dei prodotti azeri.
- La vicinanza di Baku alla Turchia (pedina fondamentale nell’ottica del tentativo di contenimento occidentale dei russi nella regione) comporta che anche volendo sarebbe impossibile per l’Occidente “rompere” con Baku, pena il rischio di andare oltre la soglia di guardia con la Turchia.
Una situazione deleteria e pericolosa, dunque, per l’intera regione e oltre.
Una situazione molto rischiosa e che ha portato ad una situazione sostanzialmente di “militarizzazione generale” in tutte le zone più calde dei territori contesi Armenia – Azerbaigian, come ho potuto constatare anche durante l’ultimo viaggio che ho fatto lì nel 2024.
Una situazione che sarà realisticamente impossibile pacificare in via definitiva, in primis per le lunghe e sostanziali incompatibilità nella ricostruzione della storia di quelle terre e delle popolazioni che vi abita(va)no, nonché dei fatti occorsi e che vengono letti in modi diametralmente opposti dalle varie parti in conflitto.
Ma una “normalizzazione” della situazione è quanto mai necessaria sia per evitare sofferenze ai popoli che abitano queste magnifiche terre che per garantire la giusta capacità di sviluppo ad un’area che ha molto da offrire a sé stessa e al mondo intero.
Normalizzazione che deve necessariamente passare da un tavolo di discussione dove possano partecipare i protagonisti diretti di questa tensione perenne (Armenia e Azerbaigian) e gli attori regionali interessati alla questione (Turchia, Iran, Georgia e Russia).
Con uno o più mediatori capaci di toccare le “corde” giuste. Come ad esempio fatto dalla Cina nella “normalizzazione” avvenuta fra Iran e Arabia Saudita nel 2023.
E come “non fatto” dall’Unione Europea,[2] la quale continua da un lato ad ospitare dialoghi poco fruttuosi Armenia – Azerbaigian (senza avere il peso politico e di “do ut des” necessari in quell’area) e dall’altro proponendo o accodandosi a decisioni che infiammerebbero quella parte di mondo invece di “rilassarla” (ad esempio promettendo improbabili ingressi in UE).
[1] https://www.sipri.org/databases/milex.
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