Unrestricted warfare: dall’iperguerra alla guerra illimitata
Nel febbraio del 1999 usciva per una casa editrice dell’esercito cinese un’opera dal titolo «Guerra senza limiti[1] (超限战)» destinata a segnare il corso del pensiero militare sino ai nostri giorni, oltreché suscettibile di influenzare il corso delle guerre future. Più precisamente, l‘opera scaturisce dalle riflessioni di Qiao Liang (乔良) e Wang Xiangsui (王湘穗), due colonnelli dell’esercito cinese, operanti rispettivamente presso il dipartimento politico dell’aeronautica e presso il distretto militare aeronautico di Guangzhou.
Essi partono dalla constatazione che l’arte della guerra, soprattutto a partire dalla Guerra del Golfo, ha subito una rivoluzione. Si manifesta, si combatte, deve essere pensata secondo logiche e modalità profondamente differenti da come l’abbiamo conosciuta fino ad ora. Accanto alla guerra convenzionale tra uomini in carne ed ossa che si fronteggiano puntandosi a vicenda un fucile, vi sono forme più subdole, trasversali, più silenziose e allo stesso tempo più letali, che possono annientare il nemico in un battito di ciglia o al contrario conquistarlo intero e intatto in ossequio all’arte della guerra di Sun Tzu.
Ma la morale non finisce in questa constatazione, bensì nella consapevolezza finale che l’essere umano, per quanto si forzi di costruire la pace, non si dimostra in grado di terminare la guerra. Essa può essere addomesticata in alcuni suoi aspetti, ma è comunque destinata a rinascere in altre forme. Scopo del presente studio è appunto quello di individuare questi molteplici sensi – come direbbe Aristotele – della guerra odierna, partendo dalle riflessioni e le teorie dei colonnelli Qiao e Wang.
Dalla hyperwar all’unrestricted warfare
Durante le operazioni Desert Storm e Desert Shield nella Guerra del Golfo (1991) l’Iraq subì una disfatta senza precedenti. Le forze militari di Saddam Hussein capitolarono nell’arco di poche settimane, soverchiate dalla netta superiorità tecnologica occidentale, talmente avanzata da rendere possibile per gli americani la tattica “zero kills” (zero morti in casa). Fu una vera rivoluzione nella storia militare. L’ex generale della marina statunitense John Allen coniò il termine “hyperwar” per descrivere il conflitto combattuto attraverso le nuove armi a guida autonoma: missili Tomahawk guidati da intelligenze artificiali, satelliti spia a raggi infrarossi, missili Hellfire a guida laser, caccia Stealth F-117°, cacciabombardieri F-15E, F-111, F-16, aerei radar J-STAR; nel deserto marciavano in contemporanea carri armati M-1A1, coadiuvati dal sistema radar computerizzato Q-37, dotati di un raggio d’azione doppio rispetto a quelli iracheni. Le forze americane ed alleate poterono agire letteralmente indisturbati, telecontrollando le proprie armi da comode sale di controllo, senza dover sacrificare “our boys”. A tutto ciò vanno poi aggiunti i rinforzi alleati del Patto Atlantico e dell’ONU; le pressioni delle istituzioni internazionali, insieme alle contromisure degli stati, i quali non si sono posti troppe riserve nell’attuare embarghi a danno dei civili; una mobilitazione mediatica che ha visto le agenzie di stampa nell’unanime impegno di creare una narrativa a danno del regime di Saddam Hussein.
La velocità d’esecuzione, la potenza delle tecnologie impiegate, la vasta mobilitazione internazionale e la letalità delle contromisure economiche hanno posto all’attenzione dei cinesi e delle altre potenze la seguente domanda: come difendersi ed allo stesso tempo portare avanti una guerra contro un nemico militarmente ed economicamente così potente?
Ivi risiede il concetto di Guerra illimitata (unrestricted warfare): la guerra non va più intesa unicamente nel suo significato classico, ossia un conflitto armato tra governi nazionali, nel corso del quale almeno 1000 persone siano uccise [2]. Nel suo senso più ampio la guerra si può – e di fatto si svolge – su innumerevoli campi di battaglia, del tutto insospettabili ed apparentemente lontani dalla semantica dei conflitti. Esperti economici, finanzieri e banchieri hanno oggi la capacità di provocare crisi economiche a danno di intere regioni globali; un hacker informatico potrebbe causare il blackout della rete elettrica o mandare in tilt le infrastrutture vitali di un paese; un comune cittadino può diffondere su internet materiale diffamatorio o mettere pressione per influenzare un determinato individuo; i gruppi terroristici sono diventati l’incubo degli stati sovrani, eppure lo squilibrio di forze e risorse tra le parti è incommensurabile. La questione coinvolge anche le stesse istituzioni adibite a risolvere i conflitti: organizzazioni internazionali quali l’Unione Europea, il Fondo Monetario Internazionale, le ONG. Nessuno sfugge alle crudeli “conseguenze della pace” come direbbe Keynes. Qiao e Wang hanno individuato ben 24 metodi operativi classificati in tre macroinsiemi[3]; la costante in ciascun elemento è “guerra”:
Militari |
Trans-militari |
Non-militari |
atomica |
diplomatica |
finanziaria |
convenzionale |
di network |
commerciale |
biochimica |
di intelligence |
risorse |
ecologica |
psicologica |
aiuto economico |
spaziale |
tattica |
normativa |
elettronica |
contrabbando |
sanzioni |
guerriglia |
droga |
mediatica |
terroristica |
virtuale (di deterrenza) |
ideologica |
Inoltre, ciò che accomuna i differenti ambiti bellici sono i seguenti «princìpi essenziali» comuni, l’essenza stessa di una guerra senza limiti[4]:
- Onnidirezionalità: osservazione, pianificazione e intervento a 360°
- Sincronia: conduzione di azioni in spazi diversi nello stesso arco temporale
- Obiettivi limitati: definizione dell’azione entro un raggio accettabile per i mezzi disponibili
- Mezzi illimitati: tendenza ad un impiego illimitato di mezzi e criteri, ma ristretto al raggiungimento dello scopo
- Asimmetria: contorni dell’equilibrio
- Consumo minimo: utilizzo della minor quantità possibile di risorse
- Coordinamento multidimensionale: scelta ed assegnazione di tutte le forze che possono essere mobilitate
- Controllo e correzione dell’intero processo
Le guerre di oggi prevedono la combinazione di due o più metodi operativi. La scelta il più delle volte è dettata dalle circostanze, ma di fatto rimane a discrezione delle strategie, della fantasia tattica dei guerrieri. Ad ogni modo, la vera abilità sta nella capacità di sapersi spingere al di là dei limiti imposti dalle convenzioni militari. Muta il concetto stesso di campo di battaglia: esso è di per sé ovunque, in qualsiasi ambito[5]. Non vi sono delle leggi fisse o delle combinazioni sempre perfette; la vittoria dipende dalle singole circostanze, nonché infiniti altri fattori. Gli autori, dopo aver passato in rassegna i successi storici di alcuni tra i maggiori strateghi militari classici[6] sono giunti alla conclusione che in generale vince chi ha saputo ottenere la giusta combinazione[7].
La guerra asimmetrica tra gli Stati Uniti e Bin Laden, per citare alcuni esempi, ha visto la guerra di terrorismo nazionale combinarsi con quelle di intelligence, finanziaria, normativa e di network. La guerra in corso tra l’Ucraina, coadiuvata dall’intero occidente atlantico e la Russia, presenta la stessa identica essenza di guerra illimitata: abbiamo infatti visto l’intervento economico da parte dell’Unione Europea a sostegno degli ucraini + sanzioni finanziarie da parte delle istituzioni finanziarie mondiali + sanzioni politiche targate ONU + sentenze giudiziarie ad opera del Tribunale Penale Internazionale contro Putin, insieme ad una gigantesca guerra di propaganda mediatica da ambo i lati e innumerevoli altri metodi operativi tra i già citati (deterrenza atomica, elettronica, psicologica, diplomatica ecc.). ONU, Tribunale Penale Internazionale, Meccanismo finanziario SWIFT, Unione Europea: seguendo la dottrina dell’unrestricted warfare sono tutte parti in causa di guerre combattute attraverso armi non convenzionali, ma ugualmente letali. Ogni veto politico, ogni hackeraggio, ogni università straniera, ogni dazio pagato dal nemico è un proiettile sparato. Non a caso i colonnelli cinesi definiscono soldati sia Shoko Asahara, terrorista giapponese, che George Soros, squalo della finanza mondiale.
Il terrorismo e la guerra asimmetrica
Il terrorista rappresenta per antonomasia il combattente di una guerra asimmetrica: un conflitto tra avversari sulla carta nettamente impari. Tuttavia, un gruppo terroristico, a differenza di uno Stato sovrano, non ha di per sé scrupoli ad infrangere regole internazionali (anzi, spesso è lo scopo del terrorismo), non si sentono vincolati al rispetto di regole in trincea; pertanto, sono più propensi ad attuare misure non ortodosse, in particolare l’uccisione di civili. Il terrorismo utilizza la carta del diritto come un’arma contro lo stato o l’organizzazione nemica. Al-Baghdadi se ne frega delle convenzioni a tutela dei beni culturali quando decide di deturpare Ninive e Palmira. Anzi, l’ISIS utilizza la carta dell’illegalità per lanciare un messaggio al mondo, o comunque a più orecchie possibili. Per lo stato è impensabile combattere con le stesse armi, qui non funziona la tattica dello spegnere il fuoco col fuoco. Inoltre, uno stato detiene un enorme arsenale rispetto a dei ribelli terroristi, ma proprio per tale motivo i terroristi si vedono bene dal fronteggiare direttamente il nemico statuale; pertanto, l’ingente monopolio della forza diventa inutile, se non addirittura controproducente. Servono altri metodi operativi, quali i mezzi d’intelligence, la guerra psicologica, finanziaria… Impossibile ricorrere ai metodi operativi di carattere strettamente militare.
La setta religiosa Aum Shinrikyo dal 1994 al 1995 terrorizzò il Giappone mediante attentati presso stazioni e metropolitane, disperdendo gas sarin e acido cianidrico tra i civili, mietendo complessivamente decine di vittime. La loro strategia era esattamente quella di scegliere vittime e luoghi pubblici in modo da confondere le inferenze della polizia. A differenza di Al-Baghdadi, il leader giapponese Shoko Asahara non proveniva dall’esercito, non aveva un ruolo militare. Le sue azioni provengono dal pensiero di un intellettuale, che non desta il minimo sospetto sulle capacità letali che ha poi dimostrato. Contro un pericolo di tale natura, il lavoro delle forze dell’ordine è delicatissimo, in proporzione al grado di importanza che viene data alla democrazia e ai diritti civili. Il mantenimento di una società democratica pone infatti ulteriori responsabilità alle istituzioni pubbliche. Al contrario, sarebbe sicuramente più facile per un regime profondamente autoritario intervenire con misure repressive. Il terrorismo utilizza metodi limitati per condurre una guerra illimitata[8]. Il problema dello Stato è esattamente l’opposto.
I soldati della finanza
Le potenzialità distruttive di una crisi commerciale o finanziaria dovrebbero essere note più o meno a chiunque sia vivo da almeno vent’anni. Non a caso il grande classico sull’arte della guerra di Sun Tzu viene insegnato e fatto leggere in molte scuole di corporate finance management. Pochi funzionari di banche o squali della finanza sono in grado di destabilizzare intere regioni del globo.
Uno dei più noti ed importanti, tuttora in azione, è l’ungherese ashkenazita George Soros. Nell’estate del 1992, ad un anno dalla futura stipula del trattato di Maastricht, venne stabilito sulla scia del rapporto Delors che gli stati membri dell’allora Comunità Europea dovessero adattarsi alla banda stretta delle oscillazioni (precisamente al livello del 2,5% rispetto alla parità). La notizia fu di per sé un invito a nozze per gli speculatori finanziari ad approfittare dell’imminente svalutazione monetaria che sarebbe avvenuta per forza di cose nei paesi europei membri del sistema. Soros non si fece scappare l’occasione e speculò sia sulla sterlina inglese che sulla lira italiana, tanto da ottenerci un guadagno plurimiliardario e dall’altro lato causando una crisi drammatica nei rispettivi paesi, tanto che nel settembre dello stesso anno uscirono dal Sistema Monetario Europeo. A Londra quella speculazione viene tutt’oggi ricordata come il “mercoledì nero”, mentre in Italia quell’estate – non a caso – altri samurai dell’economia come Mario Draghi, Ciampi ed Andreatta stavano pianificando il futuro smembramento del patrimonio pubblico italiano.
I grandi detentori di capitali, le agenzie di rating, burocrati e banchieri possiedono nelle loro mani armi infinitamente più pericolose per le sorti di intere nazioni rispetto ad un carro armato Leopard. Nel mondo globalizzato odierno un presentimento (sentiment) di crisi economica in una regione, presso una banca o un settore può instaurare una fuga di capitali in grado di mettere in ginocchio un governo. L’apertura alla mobilitazione dei capitali, infatti, può sia attirare investimenti utili dall’estero sia farli scomparire immediatamente con tutte le conseguenze disastrose che ne derivano. Grossi agenti finanziari come Soros utilizzano volontariamente grossi capitali per mettere in crisi Stati o governi ostili ai propri interessi, ed allo stesso tempo influenzarne altri.
Sempre Soros negli anni Novanta fu tra i responsabili, insieme ai funzionari del Fondo Monetario Internazionale, della forte crisi economica che mise k.o. le c.d. tigri asiatiche. Paesi come Corea del Sud, Malesia, Thailandia, Indonesia erano all’epoca le economie più promettenti. Tuttavia, l’FMI si intromise nella gestione delle rispettive politiche, persuadendo i governi a adottare le proprie raccomandazioni economiche sulla scia del c.d. Washington Consensus, soprattutto in ambito di liberalizzazione del mercato, ristrutturazione aziendale e rivalutazione monetaria. Paesi come la Corea del sud e la Malesia di Mahathir, meno propensi ad accogliere le politiche delle agenzie straniere occidentali, riuscirono a non capitombolare del tutto e continuare a crescere nel lungo periodo; Indonesia e Thailandia invece non resistettero all’infiltrazione dell’FMI guidato da Camdessus e subirono una crisi devastante: nel 1998 l’Indonesia è rimasta con il 75% delle aziende in sofferenza, una caduta del PIL del 13,1% ed una conseguente guerra civile; la Thailandia ha visto scendere la propria produzione del 10,8% insieme al 50% dei prestiti bancari insolventi[9]. Numeri del genere sono solitamente causati da bombardamenti ripetuti e guerre armate di logoramento.
Dal 2008 abbiamo vissuto anche in occidente il crack dell’economia globale, iniziato da una crisi immobiliare negli Stati Uniti. Anche lì, azioni di funzionari in giacca firmata e cravatta, presso agenzie di rating hanno fatto il bello e cattivo tempo della salute finanziaria globale. I burocrati di Moody’s S&P, Mackinsey hanno poi utilizzato le armi delle valutazioni obbligazionarie per sovvertire governi democraticamente eletti e ricattare stati sovrani. Lo abbiamo visto in Italia durante l’ultimo governo Berlusconi, cacciato in fretta e furia affinché cedesse il posto al governo delle riforme neoliberiste di Mario Monti (il governo di Berlusconi è risultato vittima di un attacco combinatorio fortemente finanziario + mediatico). Così come la Grecia di Tzipras, passato nel giro di un anno dai programmi per uscire dall’UE al default economico che ha fatto a pezzi il paese, provocando carestie e morti[10]. A conferma che i mercati finanziari sono la più grande minaccia alla pace[11] va ricordato che l’ex cancelliere tedesco Hellmuth Kohl utilizzò il marco tedesco per abbattere il muro di Berlino[12]. Soros finanzia tuttora ONG, agenzie di stampa, think tank politicamente attivi[13]; la sua Open Society Foundation ha finanziato gruppi di rivoltosi ed esperti politologi per sovvertire regimi a lui ostili. Ci sono i suoi capitali dietro alle proteste di piazza Maidan[14], da cui è iniziata la lunga guerra tra Kiev e russi nel Donbass. Oggi le sue finanze continuano foraggiare le truppe asimmetriche dei vari Azov, Pravy Sektor e Svoboda mandando al macello centinaia di migliaia di giovani ucraini.
E la guerra commerciale? Anch’essa risponde alle fredde, crude logiche belliche universali. Tuttavia, una differenza importante risiede nei soggetti coinvolti: solitamente una guerra commerciale riguarda due stati o regioni economiche (come l’Unione Europea o gli stati del NAFTA); il conflitto si svolge al livello della c.d. alta politica, ossia al rango della politica estera tra enti politici statuali. Si adottano dazi, sanzioni economiche, sussidi per l’esportazione al fine di danneggiare l’hostis sul campo di battaglia economico. Ma è già stato visto che i danni si ripercuotono sulla vita stessa dei singoli cittadini, tanto che un dazio sulle importazioni di un certo bene, come quelle sui prodotti cinesi adottati dal governo americano di Trump[15], possono interrompere la fonte di guadagno di molte aziende cinesi che vivono di export e magari solo di quello con gli Stati Uniti. Così, si mandano comuni lavoratori di un paese sul lastrico. I signori della guerra non portano uniformi e baionette, bensì manuali di diritto internazionale e commerciale.
Cyberwarfare e guerra psicologica
Sopra è stato stato appena accennato alle due forme “classiche” metodi operativi per guerre illimitate – il terrorismo e la finanza – utilizzate per conseguire gli obiettivi in una guerra asimmetrica. Ma nel mondo ipermoderno riguardano soltanto una piccola fetta dei campi ove i conflitti si instaurano. Non soltanto squali della finanza come Soros o leader carismatici alla guida di gruppi terroristici. Anche un ragazzo dotato d’inventiva e un notebook tra le mani è tranquillamente in grado di inserirsi nei sistemi informatici di un ufficio pubblico e mettere in pericolo l’apparato informativo pubblico. Come già anticipato il c.d. cyberwarfare ha la massima priorità nell’arte del muovere battaglia. Le modeste risorse necessarie e, al contrario, l’entità estrema dei danni che un attacco hacker può causare, rende la domanda di questi nuovi soldati informatici in aumento esponenziale. Nel 2007 l’Estonia subì un forte cyber attack, il quale causò un temporaneo collasso del paese, mise k.o. i servizi essenziali, bloccò le transizioni bancarie. Nel 2010 un attacco virus denominato Stutnex mandò in tilt la centrale nucleare iraniana di Natanz. Entrambe le situazioni presentano un minimo comune denominatore: minimo investimento (mezzi informatici comuni) massima resa (compromissione di infrastrutture vitali; ampiezza nazionale).
Negli ultimissimi anni inoltre vanno aggiunte le guerre psicologiche attraverso i nuovi mezzi di comunicazione di massa. Siamo ad un punto ormai nel quale ciascuno di noi, se dotato di uno smartphone, è già di per sé, consapevole o no, volente o nolente, un potenziale soldato. Più precisamente, lo smartphone che teniamo in mano è un’arma capace di infiltrarsi panopticamente nelle vite di tutti. Il nemico oggi, che sia un’azienda in cerca di dati o il collega di lavoro rivale, ci entra dentro casa. Una famiglia preoccupata per l’accessibilità dei propri figli alle influenze del mondo esterno non può più contare sula sicurezza delle mura domestiche. Al contrario, i proprietari dei mezzi di diffusione simbolica ci colpiscono nella psiche dalla mattina alla sera. Attraverso i mezzi di comunicazione smart siamo perennemente attaccati dai segnali provenienti da pubblicità, siti di (dis)informazione, annunci, video di propaganda, musica commerciale ecc. Il tutto correlato per necessità causale al controllo orwelliano delle nostre vite. Big Data è la nuova posta in gioco e i mezzi tecnologici impiegati hanno una pervasività talmente capillare da far impallidire i regimi totalitari del Novecento.
Un’altra caratteristica degna di nota di questa nuova guerra asimmetrica è la sproporzione mastodontica tra gli attori in campo: da una parte colossi plurimiliardari che danno filo da torcere agli stati sovrani, dall’altra comuni cittadini spesso del tutto inconsapevoli di essere oggetti, per non dire vittime, di questo biopotere. Jeff Bezos, Bill Gates, Marck Zuckerberg, Elon Musk ecc. rientrano a pieno diritto tra le file dei soldati sul campo di una guerra psicologica per il “controllo dei cuori e delle menti”, come veniva descritta la dottrina del contenimento alle origini della guerra fredda. Tutti noi siamo in quanto individui:
- Combattenti inferiori di una guerra verticale asimmetrica, contro poteri pubblici o corporativi.
- Combattenti di pari grado in una guerra illimitata orizzontale; ciascun individuo in quanto singolo contro l’altro/i singolo/i
Un altro dettaglio, già anticipato, caratteristico delle guerre illimitate riguarda il venire meno della distinzione tra militare e civile. I confini tra tecnologia o mentalità militare e civile risultano rarefatti. Zhang Yiming, il fondatore di Tik Tok, si muove tra il mercato civile e l’utilizzo dei dati ottenuti da parte del governo per scopi di intelligence[16], così come dal caso Cambridge Analytica emerse che Facebook utilizzava i dati per finalità politiche. Tra l’altro è emerso che la piattaforma di marchio cinese offre servizi personalizzati completamente diversi in patria rispetto al resto del mondo. Un utente di Tik Tok a Los Angeles si ritroverà inizialmente inondato di contenuti spazzatura, senza niente di culturalmente utile; solitamente sono contenuti di puro intrattenimento artistico-popolare o di comicità demenziale. Al contrario, l’algoritmo offre ai cittadini cinesi contenuti più virtuosi, spesso di carattere motivazionale e patriottico, a valorizzare situazioni o personaggi che compiono azioni pubblicamente meritorie. Il messaggio è chiaro: la Cina cerca di attuare una guerra psicologica contro gli americani indebolendoli moralmente. Gli avversari utilizzano le stesse piattaforme allo stesso identico scopo. E va ricordato che le vittime e i carnefici non hanno divise o ak-47 in mano, ma – nella misura in cui sono i singoli individui i content creator – siamo tutti noi direttamente impegnati in trincea.
Conclusione
Esistono infiniti modi di combinare i metodi operativi con i quali condurre le guerre odierne. Non sono da meno le armi biologiche: che cos’è stato il covid-19 se non una bomba patogena, che sia stata rilasciata o che sia sfuggita di mano? Anche le direttive di organismi quali l’OMS vanno a destabilizzare il funzionamento delle macchine statali e di conseguenza delle nostre vite. Se poi aggiungiamo il fatto che l’80% dei finanziamenti che l’Oms riceve provengono non da stati, ma da aziende farmaceutiche private, gran parte di proprietà di Bill Gates, il dado è tratto. I fatti recenti dell’Azovstal di Mariuopol hanno portato alla luce i biolaboratori ucraini nei quali venivano sperimentate armi biologiche di distruzione di massa. Per non parlare dell’ecologismo, di fatto una guerra climatica, con gli attivisti delle ONG impegnati a fare moral persuasion su governi e società civile affinché cambino politiche energetiche i primi e mentalità la seconda. Anche qui, sarebbe da aprire un capitolo a parte sul rapporto tra scienza e guerra.
Per il momento è stato accennato alle modalità “classiche” – terrorismo, finanza, informatica – per condurre una guerra illimitata. Parafrasando Carl von Clausewitz, non è la guerra ad essere la prosecuzione della politica, bensì il contrario: la politica è uno dei modi per proseguire la guerra con altri mezzi. Nonostante a costruzione di istituzioni internazionali di pace in seguito alla Seconda guerra mondiale, siamo ben lontani dal pensiero di una fine della storia che avrebbe realizzato un mondo senza conflitti. L’atto ostile, il sasso lanciato, lo sguardo di sfida, il mobbing sul lavoro, la ricerca di consenso e il mantenimento dei propri interessi, fino alla difesa della propria nazione e la guerra ideologica mondiale per instaurare un “consensus”. Sono tutti elementi connaturati alla natura umana, per lo meno dell’uomo moderno. L’animus dominandi come lo chiamava Hans Morgenthau conferma che i latini avevano ragione quando affermavano si vis pacem para bellum.
«La guerra è sempre il terreno della morte e della vita […] Anche se un giorno tutte le armi dovessero diventare completamente umane, una guerra meno cruenta in cui si possa evitare lo spargimento di sangue resterebbe pur sempre una guerra. Forse se ne potrebbe modificare il processo efferato, ma non vi è modo di cambiarne l’essenza, che è un’essenza di coercizione, e dunque non è neanche possibile modificarne l’esito crudele[17]»
Bibliografia
Qiao Liang Wang Xiangsui, Guerra senza limiti, 2019
Manlio Dinucci, L’arte della guerra, 2015
Jospeh Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori, 2002
Sun Tzu, L’arte della guerra, 2016
Robert Jackson, Georg Sorensen, Relazioni Internazionali, 2018
Luciano Segreto, l’economia mondiale dopo la guerra fredda, 2018
Lotta Harbom and Peter Wallensteen, Armed Conflicts, 1946-2009, 2009
Kerry Liu, Chinese manufacturing in the shadow of the China-US trade war, Institute of economic affairs, 2018
Stelios Stylianidis, Kyriakos Souliotis, The impact of the long-lasting socioeconomic crisis in Greece 2019
Sitografia (v. note)
[1] Qui si fa riferimento all’edizione italiana pubblicata per la prima volta nel 2001 dalla casa editrice LEG: Qiao Liang, Wang Xiangsui, Guerra senza limiti, traduzione di Rossella Bagnardi e Roberta Gefter, 2019
[2] Armed Conflicts, 1946-2009, Lotta Harbom and Peter Wallensteen, Journal of Peace Research, Vol. 47, No. 4 (july 2010), pp. 501-509
[3] Qiao Wang op.cit. p.129
[4] Ivi p.183
[5] Ivi p.74
[6] Re Wu, Alessandro Magno, Gustavo Adolfo di Svezia, Napoleone, Schwarzkopf, ivi p.120-123
[7] ibidem
[8] Ivi p.24
[9] J. Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori, Einaudi, 2002, p.97
[10] https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/05/03/grecia-fubini-non-ho-voluto-scrivere-che-dopo-la-crisi-sono-morti-700-bambini-in-piu.... https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6357520/pdf/S2056474017000319a.pdf
[11] https://www.latimes.com/archives/la-xpm-1998-aug-23-op-15742-story.html
[12] Qiao Wang ivi p.83
[15] Kerry Liu, Chinese manufacturing in the shadow of the China-US trade war, Institute of economic affairs, 2018
[16] https://www.cisecurity.org/insights/blog/why-tiktok-is-the-latest-security-threat
[17] Qiao Wang ivi p.64