Belgio, i jihadisti invitati dal re

23.03.2016

Come ha fatto Salah Abdeslam, il terrorista che non si fece saltare a Parigi, a rimanere latitante per tre mesi nello stesso quartiere di Bruxelles in cui era nato e vissuto? E come hanno fatto i suoi (ex) compagni di militanza Isis a colpire così pesantemente poche ore dopo il suo arresto? Queste le domande che dovremmo farci. Domande che hanno una risposta precisa: perché in Belgio, e in particolare nella capitale, c’è una rete islamista ben radicata. E questa rete si è formata perché gliel’abbiamo permesso. Anzi: li abbiamo invitati noi.

Sembra uno scherzo, purtroppo non lo è. Dobbiamo risalire al 1969, anno in cui re Baldovino del Belgio donò a Faisal dell’Arabia Saudita, in quel momento ministro degli Esteri e principe ereditario ma ormai prossimo a sottrarre il trono al fratello Saud, il Pavillon du Cinquantenaire, in pieno centro di Bruxelles, con un affitto simbolico per un periodo di 99 ani. In poco tempo i sauditi trasformarono il padiglione in una grande moschea e nel Centro islamico e culturale del Belgio, il primo focolaio di diffusione del wahabismo (la forma di islam che in Arabia Saudita è religione di Stato) in Europa.

Erano gli anni del boom economico in Europa e quindi della grande corsa alle risorse energetiche del Medio Oriente. Baldovino organizzò per Faisal, in visita di Stato in Belgio, una grande cerimonia. Faisal, che nel 1962 aveva fondato la Lega islamica mondiale, ovvero il “braccio” caritativo e finanziario dell’islam radicale nel mondo, non perse tempo e cominciò a finanziare le attività della moschea e del Centro, dando il via alla lunga serie di predicatori wahabiti che ne hanno animato le attività. Problemi di fondi non ce ne sono: è stato calcolato che la sola Arabia Saudita abbia dotato la Lega, dal giorno della fondazione a ora, di almeno un miliardo di dollari.

In cinquant’anni si avvicendano le generazioni e si formano tante migliaia di giovani. Tra loro anche quelli che hanno coperto il latitante Salah Abdolesam e si sono fatti saltare nell’aeroporto. Ma anche Abdelhamid Abaaoud, ritenuto la “mente” delle stragi di Parigi. O quelli che fornirono le armi ad Amedy Koulibaly, il giovane francese che nel gennaio 2015 uccise quattro persone nel supermercato kosher di Parigi. L’attentatore che cercò la strage sul treno Amsterdam-Parigi nell’agosto 2015 e fu per fortuna bloccato da due soldati americani. Dal quartiere di Molenbeek erano partiti anche i due finti giornalisti che il 9 settembre 2001, due giorni prima delle Torri Gemelle e degli altri attentati negli Stati Uniti, chiesero un’intervista ad Ahmed Shah Massoud, il leader afghano che si opponeva ai talebani, e lo uccisero facendo saltare una carica esplosiva.

Come si vede, il terrore in Belgio ha una lunga storia. Ed è terribile pensare che a essa abbiamo contribuito anche noi.

Fulvio Scaglione