Le armi spirituali del Soggetto Radicale: la Porta del Silenzio e la Discesa nel Profondo

27.01.2023

La Porta del Silenzio

Nel precedente articolo, riservato alla conoscenza delle armi spirituali del Soggetto Radicale e dedicato alla pratica del silenzio interiore, abbiamo enucleato alcune verità attorno al silenzio stesso e alla sua pratica. Intendiamo ricapitolarle sinteticamente, prima di introdurre la seconda tappa nel cammino di conoscenza sperimentale (auto-rivelazione) della realtà dell’anima/coscienza che è data dalla discesa nel suo profondo, rappresentato somaticamente dallo HARA, (letteralmente significa “il ventre”). Lo HARA, corrisponde a un’area circoscritta di gangli neuronali, linfatici, vascolari e neuro-muscolari, presente nell’addome a circa 3-4 cm sotto l’ombelico (kikai tanden) e rappresenta il referente corporeo della profondità della stessa anima/coscienza, in quanto tutto l’essere umano nella sua individualità, quindi anche con la mente e con l’anima vive e si manifesta nel corpo. Nella Antropologia mistica lo HARA viene denominato profondo, ricordando così il Grund, il fondo dell’anima, il fondamento secondo Meister Eckhart.

Per prima cosa abbiamo affermato che il silenzio è parte della struttura ontologica dell’anima/coscienza (intendiamo continuare ad usare qui in modo abbinato, sia il termine filosofico che quello neuroscientifico), in particolare dell’essenza dell’anima, da cui per la filosofia antica scaturiscono le potenze dell’anima (memoria, intelletto, volontà).

Inoltre, dal punto di vista sostanziale e dinamico, abbiamo detto che il silenzio è la porta d’accesso nell’anima/coscienza, il vettore che ci introduce nel centro cosciente dell’essere umano, la Via che realizza l’apertura, il disvelamento e le funzionalità dell’anima/coscienza, conosciuta simbolicamente come apertura del terzo occhio nella tradizione hindu-vedica, apertura del fior di loto nella tradizione buddhista, apertura dell’essenza dell’anima o contemplazione nella tradizione filosofica e teologica cristiana.

Infine, abbiamo sostenuto che la pratica del silenzio necessaria per avere accesso alla realtà dell’anima/coscienza, nella sua sostanza più profonda consiste nel distacco graduale e progressivo dalla realtà dei nostri sensi. Ossia dalle strutture psicologiche che formano la nostra esperienza quotidiana di relazione del nostro Esser-ci (Dasein) nel mondo: percezione, sensazione, desiderio, emozione, affettività, sentimentalità, memoria, fantasia, ragionamento, intelligenza discorsiva, volontà.

Il silenzio quindi è il cammino obbligato, l’unica Via, il sentiero stretto apparentemente difficoltoso ma che conduce alla pace interiore, è il clima della stessa vita interiore, quella in cui l’anima riprende il dominio assoluto, l’Imperium della mente e del corpo, “perché il Regno di Dio è dentro di voi. Ecce enim regnum Dei intra vos est” (Vangelo di Luca 17,21. Trad. dalla Vulgata latina), quindi, per questo motivo non si può pensare ad una Civiltà imperiale, ad una Europa Impero, se prima questo Impero non lo instauriamo dentro di noi con la Grande Guerra Santa del dominio dell’anima sul corpo e sulla mente.

Le Tre Vie del Silenzio

Le Vie spirituali del silenzio che permettono di accedere nella realtà dell’anima/coscienza sono molte. Noi abbiamo però deciso di identificarne tre: la Via dello Zen, la Via dei Dodici Gradi del Silenzio, la Via dell’Esicasmo. Questo, perché la nostra conoscenza sperimentale, la nostra esperienza viva, la nostra pratica assidua ormai quasi cinquantennale, nonché la nostra riflessione critica su di esse cristallizzata nella Antropologia mistica (detta anche Visiologia), si basa solo sulla profonda conoscenza sperimentale di queste tre Vie spirituali. Ci pare infatti assurdo, in un universo così vasto come quello meditativo, che implica conoscenze di antropologia filosofica e di teologia spirituale che possono essere comprese integralmente solo se vissute in prima persona, addentrarsi in altre Vie spirituali di cui non abbiamo conoscenza diretta e auto-sperimentale, ma solo nozioni e informazioni di ordine intellettuale. Riteniamo quindi che altri ricercatori, esperti in ulteriori Vie spirituali del Silenzio, possano ridurre tale divario, dando da parte loro una esposizione di fondamento antropologico riguardo, ad esempio, le pratiche di silenzio praticate nell’Induismo e nell’Islam, così da poter incoraggiare anche i Soggetti Radicali appartenenti a queste religioni storiche, di addentrarsi nella Via del Silenzio a loro più confacente per origine comune, per linguaggio e per costumi, al fine di permettere ad essi di esperimentare la realtà dell’anima/coscienza e la bellezza di incontrare in essa il Divino che li attrae e che li chiama a compiere l’Impresa di edificazione della Civiltà multipolare.

La Via dello Zen

Nell’articolo precedente, abbiamo già diffusamente parlato della Via dello Zen, in particolare dello Zen Training, quale metodologia e tecnologia in cui il silenzio rappresenta l’asse portante di tutto il costrutto meditativo; invitiamo i lettori che non l’avessero letto a cercarlo sul website di Idee&Azione: https://www.ideeazione.com/le-armi-spirituali-del-soggetto-radicale-la-pratica-del-silenzio-interiore/. Vogliamo qui solo nuovamente ricordare, quello che a tal proposito ci ha lasciato come verità condensata di ordine antropologico, il filosofo e maestro Zen Karlfried Dürckheim: “La meditazione è semplicemente l’immersione totale nello stato di silenzio. Dove, per meditazione si intende non il pensare profondo della riflessione, bensì l’esercizio di distacco dalla realtà dei nostri sensi”. (K. von Dürckheim, Lo Zen e noi, Ed. Mediterranee 1992, p. 7).

Dobbiamo comunque ricordare che lo Zen Training, inteso come corpus di tecniche taoiste inserite a pieno titolo nella tradizione buddhista mahayana dello Zen, ci riporta alle fonti stesse di Buddhismo e Taoismo, quelle della loro dimensione primordiale di ordine esoterico e non, come in un secondo tempo, di tipo essoterico confessionale e cultuale, ossia ci riconduce a due sistemi filosofici di antropologia spirituale a forte connotato auto-sperimentale. Queste due filosofie, non ponendosi il “problema di Dio” avevano orientato la loro attenzione esclusivamente sulla natura umana. Il risultato di questo modus operandi – dove il Buddhismo concentra la sua attenzione sulle cause della sofferenza umana e sul modo per liberarsene, mentre il taoismo è alla ricerca dell’immortalità anche fisica attraverso la gestione consapevole dell’energia vitale –, consiste nel fatto che questi due sistemi hanno storicamente sviluppato nel corso dei secoli un corposo tesoro di conoscenze salutistiche, che ancora vengono impropriamente chiamate medicina orientale.

Per questo insieme di motivi, l’Antropologia mistica ritiene che la tradizione dello Zen con la sua Via del Silenzio, abbia consistenza teoretica nel dimostrare l’esistenza dell’anima come vacuità nel qui e ora. Come, altresì, dimostri autorevolezza di ordine auto-esperimentale nel condurre con sicurezza i praticanti nella conoscenza reale dell’anima/coscienza, dando alla sua componente energetica, ossia a quella di anima decifrata come energia vitale, una priorità assoluta nella conduzione delle tecniche meditative. Questa compresenza pratica di vuoto mentale (vacuum state) e di gestione dell’energia vitale, è ciò che più caratterizza la sperimentazione personale nella Via del Silenzio Zen.

La Via dei Dodici Gradi del Silenzio

La Via dei Dodici Gradi del Silenzio, di Suor Maria Amata di Gesù (1839-1874), monaca carmelitana, è parte della viva tradizione contemplativa vissuta principalmente nei conventi, nei monasteri e negli eremi della Cristianità. Sulle orme della via interiore apofatica – ossia una pratica contemplativa assolutamente priva di immagini, di pensieri e di emozioni – additata in particolare dal neoplatonismo cristiano, da Meister Eckhart, dai mistici renano-fiamminghi e dal carmelitano San Giovanni della Croce, la dottrina contenuta nei Dodici Gradi del Silenzio si distingue per la sua radicalità e la sua intransigenza nel perseguire il silenzio interiore.

I Dodici Gradi del Silenzio, aprono uno squarcio di conoscenza auto-sperimentale sulla coscienza, ossia sulla essenza dell’anima. La quale, per percepire in sé la Presenza di Dio manifesta, deve gradualmente dischiudersi attraverso la via del silenzio, la pratica del silenzio e lo stato di silenzio. Superando così l’ostacolo rappresentato dalle potenze dell’anima, ossia il contenuto razionale, volitivo, mnemonico, sentimentale, emozionale, affettivo, sensitivo, percettivo e del desiderio, il quale non permette alla stessa essenza dell’anima di sbocciare, di manifestarsi, di auto-comprendersi. E di essere poi, nelle esperienze mistiche, assorbita e dispersa dalla presenza trascendente di Dio “Uno” vivente in lei, o di gustare la presenza di relazione con Dio “Trino” che in Gesù Cristo vuole familiarmente e sensibilmente amarla come Padre, Figlio e Spirito Santo.

I Dodici Gradi del Silenzio, investono tutta l’individualità umana, soprattutto il lavorio su di essi va a toccare le infinite sfumature delle difese della mente e delle giustificazioni della ragione, atte a preservare e difendere a spada tratta le esigenze corrotte dell’ego personale (l’Io), a discapito del risveglio dell’anima (il Sé). Li esponiamo qui nella loro gradualità: 1° Grado: silenzio della lingua; 2° Grado: silenzio del corpo; 3° Grado: silenzio dell’immaginazione; 4° Grado: silenzio della memoria; 5° Grado: silenzio del dialogo interiore; 6° Grado: silenzio del cuore; 7° Grado: silenzio dell’amor proprio; 8° Grado: silenzio della mente; 9° Grado: silenzio del giudizio; 10° Grado: silenzio della volontà; 11° Grado: silenzio con sé stesso; 12° Grado: silenzio con Dio.

Questo cammino interiore, che preferiamo mettere in evidenza come itinerario di liberazione spirituale lineare e progressivo, muovendo dalle relazioni umane e dal rapporto con il proprio corpo arriva a setacciare e a scandagliare tutta la complessità stratiforme della nostra realtà antropologica, ponendo su di essa il sigillo del silenzio con la sua sofferta ma tagliente efficacia. Partendo dal silenzioso distacco temporaneo nei con-fronti dei contatti col mondo, della propria realtà corporea, delle relazioni interpersonali, Suor Maria Amata quale eccellente discendente della stirpe guerriera dei normanni di Francia, approda con decisione all’interno della realtà mentale e del proprio tessuto psicologico, impiegando nei confronti di essi l’uso risoluto e bellicoso dell’ascia spirituale e della spada del silenzio, utilizzate quali realtà sterminatrici del proprio egocentrismo a favore di una assoluta manifestazione della maestà di Dio nella propria anima. La radicalità di tale pratica viene temperata dal colloquio con Gesù il Divino Maestro, che istruisce costantemente l’anima con la Sacra Scrittura e con le ispirazioni interiori, e che nel 12° e ultimo Grado del Silenzio, che riportiamo per intero, Egli infine dice chiaramente all’anima stessa: «In principio Dio diceva: “Parla poco con le creature e molto con me!”. Ora le dice: “Non mi parlare più!”. Silenzio con Dio è: aderire a Dio, presentarsi, esporsi davanti a Dio, offrirsi, annientarsi davanti a Lui, adorarlo, amarlo, ascoltarlo, comprenderlo, riposarsi in Lui. È il silenzio dell’estremità, è l’unione dell’anima con Dio».

La Via dell’Esicasmo

La Via dell’Esicasmo, rappresenta uno dei fiori più belli all’occhiello della spiritualità ortodossa, che sostanzialmente è in primis una pratica della presenza di Dio nata tra gli anacoreti cristiani, nonché negli eremi, nelle laure e nei monasteri del deserto della Tebaide egiziana, quindi nelle zone desertiche della Palestina, prima di approdare attraverso il monachesimo greco del Monte Athos nella Santa Russia. Ossia, quel mondo contemplativo con la caratteristica singolare di essere il portatore di una ricerca della esychia, ossia la quiete, intesa come tranquillità e pace interiore. Questa spiritualità del “fuge, tace, quiesce”, che puntava e punta tuttora alla deificazione ossia alla trasformazione del fedele in un alter Christus, tuttora viva e fiorente all’interno del cristianesimo orientale e ben consolidata in quello occidentale, rappresenta uno dei segni distintivi della Chiesa ortodossa e della sua gloriosa storia.

L’Esicasmo rappresenta una via del silenzio a forte connotazione psicofisica e nella dialogia dell’invocazione del nome di Gesù. Il clima del silenzio interiore si raggiunge attraverso la pratica del silenzio esteriore, soprattutto nel ritiro momentaneo o definitivo in un ambiente naturale o nell’oscurità di una chiesa davanti ad un’icona, atte a favorire la profondità della preghiera in un clima di quiete. Il coinvolgimento della mente per ridurla al silenzio, si coniuga con la ripetizione continua del nome di Gesù con la seguente invocazione: “Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente, abbi pietà di me peccatore!”, che col tempo può giungere alla sua estrema semplificazione con l’invocazione del solo nome di Gesù. Nella stessa dinamica d’invocazione continua del nome di Gesù viene allineato il corpo, attraverso una serie di tecniche, in postura raccolta o camminando, che riguardano prima l’invocazione a voce di migliaia di volte al giorno, poi l’invocazione silenziosa allineando il respiro in fase inspiratoria ed espiratoria fino a che, terza fase, l’invocazione del nome di Gesù arriva a coincidere spontaneamente con le pulsazioni cardiache, tramite un criterio psicosomatico che ricorda l’adagio la quantità produce la qualità.

Nel caso dell’Esicasmo, vissuto come preghiera del cuore attraverso la ripetizione continua del nome di Gesù, ci troviamo di fronte ad un corollario di vere e proprie tecniche psicofisiche le quali, oltre a rap-presentare un trait d’union tecnologico tra Oriente e Occidente, ci portano ad identificare la coscienza come luogo del cuore. Roberto Rondanina, ci dona una sintesi della spiritualità esicasta, capace di stupire per la sua profondità psicologica circa l’approfondimento della struttura della coscienza come “centro” antropologico e “luogo” di contatto col divino, adesa ad una metodologia antropologica di studio e di superamento dei vizi capitali che originano nell’anima e condizionano per estensione tutta la struttura psicosomatica ed energetica dell’essere umano:

«La storia dell’Esicasmo si confonde con le origini stesse del monachesimo e, stando a quanto emerso da alcuni recenti studi, accanto alla scontata impronta biblica e cristiana dei metodi di preghiera e dei percorsi ascetici che gli sono propri, sembra occorra evidenziare il legame, soprattutto sul piano delle pratiche ascetiche, che unisce l’Esicasmo all’antica filosofia greca. (…) Da qui il legame di affinità e continuità tra la cultura spirituale dell’antica Grecia e l’Esicasmo, il quale è innanzitutto caratterizzato da una particolare forma di preghiera chiamata appunto “preghiera del cuore”. Il termine esychia (quiete – tranquillità – pace – riposo) connota l’Esicasmo come una forma di spiritualità eminentemente contemplativa che tende all’unione con Dio attraverso la ripetizione continua, nel cuore, di una breve formula di preghiera che diviene in tal modo katastasis, ovvero stabile disposizione interiore.

(…) sul piano pratico viene un po’ da tutti riconosciuto che la piena efficacia spirituale dell’invocazione del Nome, ed eventualmente anche di altre giaculatorie, si ha quando la preghiera cessa di essere semplicemente vocale e mentale per essere preghiera del cuore, ossia recitata e celebrata nel cuore. Proprio per questo l’Esicasmo si presenta come una sorta di strategia per scoprire il “luogo del cuore”, per rimanervi dentro, per combattere tutto ciò che impedisce di rimanervi e per passare dalla cosiddetta “preghiera di sforzo”, ancora distratta e deviata dalle passioni, alla preghiera nello Spirito Santo.

(…) La difficoltà a dimorare nel cuore, stando a quanto attestato da tutta la letteratura esicastica, dipende essenzialmente dalle “malattie” dell’anima, dalle passioni non controllate, in ultima analisi dal peccato che soffoca il “germe” di vita divino ricevuto mediante il battesimo. Già i padri del deserto sottolineavano che nel cuore si annidano tre mostri terribili: l’oblio, la pigrizia, l’ignoranza (…) sulla scia di Evagrio che aveva elencato otto pensieri negativi da combattere: gola, lussuria, avarizia, ira, tristezza, accidia, vanagloria, superbia (…) È quindi nella mente che occorre esercitare, attraverso la pratica della preghiera continua, una costante vigilanza, o sobrietà. Teofane ce ne lascia una descrizione in questi termini: “Dopo aver scacciato dalla mente ogni pensiero mediante il ricordo della presenza di Dio, resta sulla porta del cuore e sorveglia attentamente tutto quello che passa di lì (…), non permettere che il cuore si attacchi a nient’altro che a Dio”. Per gli autori esicasti c’è vita spirituale se c’è questo impegno, illuminato dalla Grazia, ad esercitare una continua vigilanza sui pensieri». (R. Rondanina in AA.VV., Per una teologia del cuore, Edizioni Interlinea, Novara, 2001. Stralci pp. 137-157).

La Discesa nel Profondo

La porta del silenzio introduce l’essere umano nell’anima/coscienza e genera lo stato di silenzio. Nello stato di silenzio si scopre che l’anima/coscienza non è qualcosa di distaccato dal corpo e dalla mente. A differenza dell’anima/coscienza che richiede il clima interiore del silenzio e dell’immersione nella natura, la percezione di corpo e mente è immediata a causa del movimento e del pensiero. Per questo motivo – al di là della morte programmata dell’anima iniziata con la Modernità e realizzatasi nel Postmoderno –, quasi sempre non riusciamo a percepire la realtà dell’anima/coscienza per mancanza di condizioni esteriori ed interiori. Risulta quindi necessario riorganizzare la propria vita e il proprio tempo libero, allontanandosi quando possibile dai centri urbani e dall’invasione multimediale per immergersi nel silenzio della natura. La ricerca dell’anima, della spiritualità, del Divino, hanno bisogno di questa pre-condizione di immersione nella natura, senza la quale ogni sforzo resta vano e ogni habitus interiore per vivere sempre più intensamente nell’anima/coscienza non può essere prodotto.

Nello stato di silenzio si percepisce che l’anima è la parte più profonda di sé stessi e, inizialmente, tale percezione coincide con una sensazione di unità e di pace profonda. Unità che mette a tacere il conflitto permanente corpo/mente ossia la contrapposizione emotiva/razionale, unità che genera una profonda pace interiore. La prima verità fenomenologica che si scopre durante l’immersione nel silenzio della natura è l’interdipendenza e la stretta correlazione che lega corpo, mente e anima. Questa verità avviene in tre modi differenti e interdipendenti in base all’input di partenza (corpo o mente o anima) e riguarda la piena acquisizione dello stato di silenzio. A volte, il corpo si immerge nel verde di un bosco o di una prateria, oppure osserva il mare ed entra subito in una condizione di profondo rilassamento (rilasciamento neuromuscolare) e, in tale condizione, avviene anche che la mente pian piano si svuota completamente (vuoto mentale), mentre l’anima si lascia andare completamente diventando una sola cosa col mare, col bosco o con la prateria (abbandono spirituale). Altre volte, è la mente che all’ascolto del vento, del fruscio del fogliame o del richiamo dei rapaci, si svuota completamente, mentre il corpo comincia a rilassarsi e l’anima a lasciarsi andare diventando Uno col vento, con le foglie, coi rapaci. In altri casi, l’anima davanti alla maestosità delle montagne, si abbandona completamente non percependo più la differenza tra lei e le cime che si trova a contemplare, provando una sensazione di unità indifferenziata mentre, in contemporanea, la mente si svuota e il corpo si rilassa.

Tuttavia, questa preziosa triade contemplativa che si attiva durante l’immersione nel silenzio della natura e provoca lo stato di silenzio, è solo il primo passo nella auto-rivelazione sperimentale dell’anima/coscienza. Consolidato nello stato di silenzio, durante il training meditativo, il praticante viene sempre più coinvolto nel senso di unità e di pace profonda, venendo proiettato negli abissi del microcosmo della sua anima/coscienza, attraverso la percezione di una discesa verso il fondamento, verso il fondo della sua anima che sembra non avere fondo, denominata discesa nel profondo e che trova il suo ancoraggio corporeo all’interno dello HARA. Si ha quindi una discesa dell’energia vitale dall’area cerebrale e miocardica fino all’interno dello HARA detta discesa energetica che provoca una seconda tappa nell’auto-rivelazione dell’anima/coscienza denominata stato di immersione.

Questa discesa energetica e il conseguente stato di immersione, avvengono nell’oscurità, in quanto l’anima non ha ancora aperto il suo terzo occhio, il fior di loto, la sua essenza contemplativa. È uno stato meditativo prevalentemente consolatorio alternato a momenti di dura e pura desolazione esistenziale, in cui l’anima/coscienza ha esperienze percettive di ordine cosmico, sentendosi dispersa nell’immensità del cosmo o sentendo l’intero cosmo vivente in lei, come immersa nel liquido amniotico del Chàos primordiale che genera il Kosmos. In questo – per concludere – ci viene incontro la profondità intellettuale di Aleksandr Dugin, attraverso il parallelo stato esistenziale del Soggetto Radicale fatto di caos e di profondo abisso, rispetto al quale il nostro stato meditativo di immersione ne rappresenta a pieno titolo la frazione di maturazione contemplativa:

“È difficile credere che uomini come noi, dalle idee così stravaganti, pungenti e non-conformiste, stiano vincendo, creando un proprio mondo. Per quanto un tempo fosse inimmaginabile, sapevo che sarebbe andata così. Nonostante tutto, contro ogni evidenza. Vorrei concludere esprimendo un’assoluta convinzione del carattere fondamentale, irrevocabile e vittorioso delle nostre idee. Niente e nessuno potrà impedire il trionfo – necessario, inevitabile e, al tempo stesso, impossibile – delle nostre posizioni e della nostra lotta, poiché esse sono radicate nel caos estremo e nell’abisso, nel culmine superiore e in quello inferiore del Soggetto Radicale, il quale non potrà essere compreso se non quando farà la propria comparsa, essendo la sua verità incredibilmente intuitiva”. (Aleksandr Dugin, Teoria e Fenomenologia del Soggetto Radicale, AGA Editrice, Milano 2019, pag. 313).