La geopolitica del Terrore è una lezione mai imparata
Ora che Bruxelles viene colpita con azioni terroristiche organizzate quanto sanguinose, la storia si ripete e trascina con sé l’opinione pubblica nella spirale delle emozioni. Nonostante gli scorsi attacchi di Parigi il circo politico-mediatico commette gli stessi errori di valutazione: c’è chi continua a cantare il ritornello bellicista del “siamo in guerra” e chi invece già prepara marce – reali o virtuali – per la solidarietà. La verità è che in questi cinque mesi le alleanze dell’Occidente in Medio Oriente non si sono ridimensionate così tanto rispetto al passato. Perché dopo qualche leggera apertura nei confronti di Iran (fine dell’embargo e accordi economici con l’Europa), la Russia (le sanzioni dovrebbero restare in vigore fino al 31 luglio del 2016) e la Siria (nei tavoli di pace a Ginevra Assad non viene menzionato) questo è rimasto ancora troppo legato agli interessi di Turchia e Arabia Saudita, due dei maggiori sponsor di Daesh.
Se il capo dell’Eliseo François Hollande ha consegnato poche settimane fa, nel silenzio più totale, la legion d’onore al principe ereditario Muhammad bin Nayef Al Saud, vice presidente del consiglio dei ministri e capo degli Interni del Regno, per il suo impegno nella lotta al terrorismo (sic!): se Angela Merkel ha ceduto più volte alla strategia del presidente Erdogan che utilizza l’esodo dei rifugiati siriani come ricatto e allo stesso tempo come arma puntata verso l’Europa; se John Kerry viene al vertice anti-Daesh a Roma per spiegare ai suoi alleati che Assad è il male assoluto; se Israele minaccia i candidati in corsa per la Casa Bianca sugli accordi di cooperazione con Teheran oppure non vi diamo nessun sostegno elettorale; se su ordine saudita, prima il Consiglio di cooperazione del Golfo (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar) poi la Lega Araba hanno dichiarato ufficialmente la milizia sciita libanese Hezbollah, sì la stessa che combatte Daesh in prima linea da oltre cinque anni, come “organizzazione terroristica”. Se questo è l’andamento della politica estera occidentale non c’è poi da stupirsi se le bombe esplodono di nuovo nel cuore dell’Europa.
Gli imbecilli cantano e gli stolti piangono, ma di geopolitica del Terrore non se ne sente proprio parlare perché l’equazione è troppo scomoda agli occhi di chi deve raccogliere consenso: c’è chi il terrorismo lo esporta, i nostri alleati, e chi invece lo combatte. Bisogna scegliere da che parte stare e chiedersi: la crociata statunitense in Medio Oriente iniziata nel 2001 ci ha resi più sicuri?