La Brexit sfida la NATO economica e l’Unione Europea
Una vulgata storica comune ha presentato il processo di integrazione europea come una fase politica ed istituzionale storicamente inedita, con il pregiudizio storiografico “whig” di una progressione lineare, irreversibile e unidirezionale delle relazioni internazionali. Come ricordava Hedley Bull nel suo The Anarchical Society (1977), le istituzioni in ambito internazionale non sono “necessariamente un’organizzazione o un meccanismo amministrativo, ma piuttosto un insieme di pratiche e di costumi” adottati da più attori per fini condivisi (1).
Westfalia (1648), Utrecht (1713), il Congresso di Vienna (1815) e il Concerto Europeo hanno scandito la storia dell’istituzione dell’equilibrio di potere in Europa. Ogni progetto ‘unionistico’ o federativo parziale o integrale della regione europea che ha sfidato tale istituzione, seppur su basi ideologiche diverse, ha storicamente fallito. Da Carlo V a Hitler, da Napoleone alle istituzioni euro-atlantiche anti-sovietiche della Prima Guerra Fredda (CECA, CEE e UE), dall’ottimismo del ‘momento unipolare’ fino allo scoppio della Seconda Guerra Fredda con il successivo tentativo di allargamento di queste istituzioni all’est Europa (balcanizzazione della Jugoslavia, ampliamento progressivo dell’Alleanza Atlantica e rivoluzione colorata ucraina), vi è sempre stata un’impronta antigemonica reattiva che ha connotato la politica moderna europea di equilibrio e bilanciamento tra i suoi Stati.
L’hic Rhodus, hic salta dei movimenti politici di oggi, in questa congiuntura internazionale di transizione dall’unipolarismo al multipolarismo, è la loro posizione di fronte alla questione nazionale, intesa come momento strategico di secessione dal blocco unipolarista. Nel referendum consultivo greco del 2015 la Grecia poteva scegliere di tentare di riformare l’euro-unionismo riducendo ulteriormente il suo potere negoziale entro l’attuale ortodossia geopolitica (UE a guida tedesca, euro, NATO, FMI), o accrescere la sua capacità negoziale in una prospettiva di eterodossia geopolitica (referendum per l’uscita dall’euro, smarcamento dalla NATO, avvicinamento diplomatico alla Russia, interesse strategico-economico verso i BRICS), certo gradualmente e affrontando dei rischi. Entro la prima opzione quella greca è stata una tragedia annunciata (2).
L’esito del referendum inglese non potrà certo portare alla seconda opzione, ma introdurrà un elemento di multilateralismo nelle dinamiche diplomatiche, economiche e politiche della regione europea, costringendo ad una revisione del progetto liberale di integrazione euro-atlantica in maniera più radicale di altre proposte avanzate dagli movimenti “diversamente euro-unionisti” di diverso orientamento. La convergenza tra il fronte conservatore del “leave” e le esplicite posizioni del Partito Comunista Britannico guidato da Liz Payne (2), attestano che è sul piano strategico, e meno ideologico, che dev’essere valutata dall’opinione pubblica la questione “Brexit”. Come ha ricordato Jacques Sapir, “la vittoria dell’uscita è stata possibile in Gran Bretagna perché parte dell’elettorato operaio ha votato contro le disposizioni impartite dai capi del suo partito” (3).
Molte regioni del mondo si avviano all’integrazione regionale (l’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico, o la più recente Alleanza bolivariana per le Americhe nel 2004, e ancora l’Unione Economica Eurasiatica nel 2014), ma con una struttura istituzionale più snella e nel quadro di ordine internazionale multipolare che è ostacolato dallo stesso blocco BAO. L’élite dirigente europea potrà guardare alla Turchia e all’Ucraina come potenziali candidati membri futuri, ma non tardare la crisi dell’infrastruttura istituzionale unipolarista europea. La sua origine e il suo sostentamento nel secondo dopoguerra poté contare sull’eccezionalismo economico statunitense, il cui solo prodotto interno lordo era pari al 50% di quello mondiale, la cui diretta espressione geoeconomica nella regione europea fu il Piano Marshall.
La “dottrina Truman” ne costituì il corollario geopolitico con la prescrizione di una politica di contenimento del fronte sovietico in Europa, successivamente replicata in modo analogo negli anni 50’ con la “dottrina Eisenhower” in Medio Oriente per ostacolare la promozione di legami di solidarietà tra Mosca e i movimenti anti-coloniali panarabi. È in tale contesto storico che il regionalismo europeo, a differenza delle esperienze federative anti-coloniali del mondo extraeuropeo, si presentò in una condizione di vassallaggio rispetto all’alleato americano.
Le critiche liberali e riduzioniste dell’esperienza statuale-nazionale peculiare alla regione europea, come quella mossa nel celebre Manifesto di Ventotene rivolte ad una generica e oscura “ideologia dell’indipendenza nazionale”, da un lato ne offuscano la matrice rivoluzionario-giacobina sul piano genealogico, dall’altro forniscono una giustificazione puramente ideologica ad un pragmatismo delle elité euro-atlantiche che non lascia alcun margine politico di revisione. Se per il prof. Danilo Zolo nessuno specifico contributo proveniente dalla filosofia politica o dalla teoria sociale sembra aver assistito i fautori politici delle principali istituzioni internazionali (4), la storia dell’integrazione europea appare in una luce analoga.
L’esplicito rigetto contenuto nel manifesto europeista di Ventotene della geopolitica come “pseudo scienza”, e la sua riduzione “a veste teorica della volontà di sopraffazione dell’imperialismo”, è rivelativo della sua impotenza teorica. Lo stesso Karl Haushofer, a cui polemicamente si allude, in una lettera a M. Mertens del 1930 sosteneva piuttosto che la geopolitica fosse “la coscienza dei potenti, per indurli ad agire in favore dei deboli e degli oppressi nella loro lotta per i diritti all’esistenza ed allo spazio sulla Terra, (vedi la lotta per l’autodeterminazione in Asia orientale e la cooperazione di tanti cinesi, indù, malesi)”.
Le contingenze politiche che imponeva la nuova mappa geopolitica del secondo dopoguerra avevano relegato in secondo piano gli esponenti teorici dei precedenti progetti irenici di regionalizzazione dell’area europea (Pierre Dubois, Émeric Crucé, il Duca di Sully, l’abate di Saint-Pierre). La politica di integrazione europea fu perseguita in modo funzionale agli interessi “di campo” anglo-americani nel contesto bipolare: come ha sostenuto Thierry Meyssan, “quel che allora veniva definito il ‘progetto europeo’ non consisteva nel difendere presunti valori comuni, ma nel fondere lo sfruttamento delle materie prime e delle industrie della difesa di Francia e Germania per essere certi che questi paesi non potessero più farsi la guerra (teoria di Louis Loucheur e del conte Richard Coudenhove-Kalergi)” (5).
Documenti desecretati e pubblicamente presentati nel marzo di quest’anno da Ambrose Evas-Pritchard sul ‘Daily Telegraph’, hanno inoppugnabilmente dimostrato il carattere eterodiretto di tale integrazione con gli sforzi economici e di intelligence profusi dalle amministrazioni statunitensi: la stessa “Dichiarazione di Schuman che diede il tono della riconciliazione franco-tedesca portando alle tappe verso la Comunità europea, – ha commentato il giornalista inglese – fu ideata dal segretario di Stato Dean Acheson in una riunione a Foggy Bottom” (6). L’American Commitee for United Europe (ACUE) [Comitato Americano per l’Europa Unita], presieduto da Bill Donovan, ex membro dell’Office of Strategic Services (OSS) attivo durante la Seconda Guerra Mondiale, nel 1958 avrebbe fornito il 53,5 % dei fondi al Movimento europeo.
La minaccia di un ritorno ad un “nazionalismo” xenofobico e reazionario, che è oggi agitata dalle élite europee contro l’opzione di secessione dal fronte euro-atlantico, costituisce un artificio retorico già impiegato nel vecchio arsenale ideologico all’indomani della Prima Guerra Fredda. Già agli nel 1947, Andrej Aleksandrovič Ždanov poté osservare che: “una delle direttive della ‘campagna ideologica che accompagna i piani di asservimento dell’Europa è l’attacco contro il principio di sovranità nazionale, l’appello all’abbandono dei diritti sovrani dei popoli e la contrapposizione ad essi dell’idea di un ‘governo mondiale’.
Il significato di questa campagna – aggiunse – consiste nel presentare sotto una luce favorevole l’espansione sfrenata dell’imperialismo americano che colpisce sfrontatamente i diritti sovrani dei popoli, e nel presentare gli Stati Uniti in veste di difensori dell’umanità e coloro che si oppongono alla penetrazione americana quali fautori di un sorpassato nazionalismo ‘egoistico’” (7).
A circa un anno di distanza della ratifica del 17 marzo 1948 Trattato di Bruxelles, che dava vita all’Unione Europea Occidentale (UEO) tra Regno Unito, Francia, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi, il giudizio espresso dall’allora direttore de quotidiano “Avanti” Sandro Pertini era nettamente negativo: “l’Unione Europea [Occidentale] e gli organismi derivanti dal Piano Marshall non sono l’espressione spontanea della volontà e delle esigenze dei popoli europei, bensì sono stati artificiosamente creati con lo scopo politico di fare d’un gruppo di nazioni europee uno schieramento in funzione antisovietica, e con lo scopo economico di fare dell’Europa Occidentale un campo di sfruttamento della finanza americana” (8).
Alle parole di Pertini sulla politica europea degli organismi liberali sovranazionali avrebbero fatto eco quelle pronunciate da Palmiro Togliatti nel 1963: “L’europeismo, qui, non è altro che la NATO, cioè un blocco militare che rompe in due il continente ed è uno strumento, prima di tutto, della politica americana. Non ci risulta che, fino ad oggi, o dall’assemblea di Strasburgo o da uno qualunque dei centri della propaganda europeistica, sia uscita una proposta di politica estera che tendesse a dare all’Occidente europeo una sua personalità, in questo campo, diversa da quella della Nato. […]” (9).
Recentemente Lord Lawson, capo dei Conservatori per la Gran Bretagna, ha riferito che l’interesse primario degli Stati Uniti “è poter influenzare tutta l’UE avendo il suo più stretto alleato, la Gran Bretagna, nel blocco” (9); è in tale quadro che il caso Brexit potrebbe compromettere la realizzazione di una “Nato economica” (10) per l’area euro-atlantica segretamente perseguita attraverso il progetto del TTIP. La Seconda Guerra Fredda in corso, le preoccupazioni di Washington per l’integrità della sua sfera di influenza europea e l’interesse per spingere ulteriormente Bruxelles ad un’ulteriore integrazione neo-liberale dei mercati euro-atlantici attestano la continuità degli imperativi geopolitici che hanno sotteso la creazione del progetto europeo a partire dal secondo dopoguerra. La Brexit costituisce indubbiamente uno spartiacque nella dominante narrazione “whig” che ha sorretto la sua storia.
Fonti:
1. Hedley Bull, The Anarchical Society: A study of Order in World Politics, Macmillan, London-Basingstoke 1977; trad. it. La società anarchica. L’ordine nella politica mondiale, Vita e Pensiero, Milano 2005.
2. Spartaco A. Puttini, Tragedia greca, “Associazione Marx XXI”, 16 luglio 2015, http://www.marx21.it/…/internaz…/europa/25876-tragedia-greca#.
3. Communists urge ‘Leave vote’ and criticise pro-EU ‘pessimists and defeatists, 20 giugno 2016,http://www.communist-party.org.uk/…/2272-communists-urge-le….
4. Jacques Sapir, BREXIT (et champagne), 24 giugno 2016, http://russeurope.hypotheses.org/5052; trad. it. di A. Lattanzio, BREXIT (e champagne), “Sito Aurora”, 25 giugno 2016, https://aurorasito.wordpress.com/…/06/25/brexit-e-champagne/.
5. Danilo Zolo, Cosmopolis. La prospettiva del governo mondiale, Feltrinelli, Milano 1995, p. 34.
6. Thierry Meyssan, Derrière la dette grecque, “Rete Voltaire”, 6 luglio 2015; trad. it. di M. Yagi, Dietro il debito greco, 7 luglio 2015 http://www.voltairenet.org/article188073.html.
7. Ambrose Evans-Pritchard, The European Union always was a CIA project, as Brexiteers discover, “The Daily Telegraph”, 27 aprile 2016, http://www.telegraph.co.uk/…/the-european-union-always-was…/
8. Andrej Aleksandrovič Ždanov, Politica e ideologia, Rinascita, Roma 1949, p. 45.
9. Sandro Pertini, L’Europa e il Piano Marshal, “Avanti!”, 30 giugno 1949, reperibile al sito del Centro Espositivo Sandro Pertini: http://www.pertini.it/cesp/doc_73.htm.
10. Palmiro Togliatti, in “Rinascita”, a. 20, n. 6, 9 febbraio 1963; cit. in https://www.azioneculturale.eu/…/palmiro-togliatti-contro-…/ .
11. Finnian Cunningham, Why Washington Fears Britain Quitting EU, “strategic Culture Foundations, 8 febbraio 2016; trad. it. di A. Lattanzio, Perché Washington teme che la Gran Bretagna abbandoni l’UE, “Sito Aurora”, 8 febbraio 2016, https://aurorasito.wordpress.com/…/perche-washington-teme-…/.
12. Manlio Dinucci, Il TTIP e la “NATO economica”, “Il Manifesto”, 2 maggio 2016,http://ilmanifesto.info/ttip-la-nato-economica/.