Dietro l’attacco in Costa D’Avorio, un piano jihadista regionale
Ci scrive Andrea de Georgio:
Aveva ragione l’intelligence francese, purtroppo. Da quando, a gennaio, la Francia ha informato la Costa D’Avorio (e il Senegal) dell’elevato rischio attentati di matrice jihadista sul proprio territorio, questo Stato costiero dell’Africa Occidentale ha rinforzato i controlli e dichiarato lo stato d’allerta. Non è bastato.
Domenica pomeriggio, un attacco a 3 hotel di Grand Bassam, località balneare a 40 chilometri da Abidjan molto frequentata soprattutto la domenica da turisti ed élite ivoriana, ha causato la morte di 14 civili (fra cui 4 occidentali), 2 soldati ivoriani delle forze speciali e 6 assalitori, secondo i dati diffusi dal recentemente rieletto presidente Alassane Ouattara.
La rivendicazione è arrivata puntuale sull’agenzia jihadista saheliana Al-Andalus: al-Qa’ida nel Maghreb Islamico (Aqim) firma l’ennesimo attentato nella regione, dopo gli analoghi attacchi a Bamako (Mali, il 6 marzo e il 20 novembre 2015) e Ouagadougou (Burkina Faso, il 16 gennaio 2016), sostenendo che il commando era formato da 3 kamikaze.
Secondo i testimoni, “giovani subsahariani vestiti in blue-jeans e maglietta”, arrivati dalla spiaggia come a Sousse, in Tunisia, hanno aperto il fuoco dei loro kalashnikov su bagnanti e turisti.
Colpendo al cuore il turismo di una delle più forti e stabili economie regionali, questo atto terroristico dimostra una volta di più la recente regionalizzazione di Aqim – che aveva già mostrato la propria presenza a nord della Costa D’Avorio al confine con il Mali e che esce dal cliché degli attentati perpetrati sempre di venerdì – e il suo progetto di destabilizzazione dell’Africa occidentale.
Aggiunge Matteo Giusti:
Il nord della Costa d’Avorio è sempre stato musulmano, così come lo è l’attuale presidente Alassane Outtara, ma questo non ha mai portato alla violenza o al fanatismo. La parte più ricca e progressista del paese, il sud dove si trova anche l’ex capitale Abidjan, è invece cristiano e animista. Questa divisione fra nord e sud, fra area industriale e area agricola, fra tribù diverse, non è sempre stata pacifica, ma il fanatismo religioso non aveva mai attecchito.
Le elezioni dell’ottobre scorso avevano sancito la schiacciante vittoria del presidente in carica Ouattara, che con oltre l’80% dei voti aveva chiuso anni di incertezza politica dopo la sconfitta e l’arresto dell’ex presidente Laurent Gbagbo, tuttora detenuto e sotto processo all’Aja.
Ouattara non ha minimamente spostato la politica internazionale dello Stato del Golfo di Guinea, sempre saldamente al fianco della Francia, che qui ha enormi interessi economici. Proprio il rapporto con Parigi era stato oggetto di minacce dai vari gruppi jihadisti operanti nella zona, che avevano individuato cittadini e strutture transalpini come obiettivi primari. Un vero e proprio movimento fondamentalista autoctono della Costa d’Avorio non è stato individuato, ma negli Stati vicini al-Qa’ida ha forti radici.
A detta del ministro dell’Interno Hamed Bakayoko, le forze di sicurezza da una decina di giorni si stavano esercitando proprio per un evento simile a quello di Grand Bassam. Sarebbero oltre 100 gli obiettivi sensibili nel paese, fra ambasciate, aziende, caserme e hotel frequentati dai turisti occidentali; impossibile controllare una scala così vasta. Anche gli americani avevano messo in guardia tutta la zona e nella loro esercitazione congiunta con le forze speciali locali in Senegal (Operazione Flintlock) avevano simulato azioni rapide di intervento sospettando che proprio il Senegal e la Costa d’Avorio fossero a rischio.
Ma il ruolo chiave lo gioca Parigi, che qui mantiene una forza di intervento militare. Comunicazioni, trasporti, cacao, petrolio e il porto di Abidjan sono saldamente nelle mani transalpine. Adesso però a Ouattara non basterà più il completo appoggio della Francia: il presidente avrà bisogno dell’unità nazionale per fare fronte al terrorismo superando divisioni politiche, tribali e personali che hanno fatto esplodere la violenza più volte. Il tentativo di rappacificazione con i seguaci di Gbagbo va in questa direzione.
Antonella Napoli commenta la strategia africana di Aqim:
L’episodio di ieri conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, che la morsa del jihad sul continente africano è sempre più forte. Il gruppo terroristico qaidista ha da tempo una presenza significativa nel Sahel, in particolare in Mali, dove ha gettato le basi per la creazione di una vera e propria roccaforte favorito dall’instabilità della regione.
Per mesi sono arrivati nell’area carichi di armi, per lo più provenienti dalla Libia. Secondo analisti ed esperti, i gruppi affiliati ad al-Qa’ida, grazie soprattutto ai proventi dei riscatti pagati per ostaggi occidentali e per il contrabbando di droga, hanno enormemente accresciuto la propria forza e ampliato l’influenza verso sud.
I terroristi di Aqim hanno una strategia chiara: far ‘pesare’ la propria presenza in Africa occidentale attaccando obiettivi facilmente accessibili, con una presenza di potenziali vittime straniere per accrescere la visibilità delle proprie azioni.
Nonostante le intelligence di tutti i paesi dell’area siano in allerta e il sostegno di forze militari occidentali, è impossibile riuscire a prevenire questo genere di atti terroristici.
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