Clinton VS Trump. Sessismo e russofobia
I due candidati alla presidenza Usa hanno offerto, con il loro secondo faccia a faccia televisivo, uno spaccato disgustoso della società di cui sono espressione e che rappresentano. Accuse triviali, risposte scabrose. Come è ormai vizio inguaribile della politica mediatica e dell’informazione politica in Occidente, le debolezze umane, il chiacchiericcio, le categorie ipocrite del politicamente corretto e le imposture hanno completamente occultato gli elementi concreti del dibattito: non si parla di economia, di occupazione, di modelli di sviluppo, di energia, si parla di pruriti sessuali e parrucchini. Come in Italia, d’altronde.
Eppure, nel pantano del trivio, un elemento importante che dia un’indicazione abbastanza chiara delle reali differenze di visione politica tra il tycoon e la moglie dell’ex presidente idolo delle stagiste ha fatto timidamente capolino. Hillary ha accusato Trump – oltre che di essere un satiro sboccato – di guardare con favore alla Russia e di aver avuto rapporti economici con il presidente Putin. Trump ha risposto che la Russia e l’esercito di Assad sono attualmente il miglior alleato nella guerra per sconfiggere il sedicente Califfato, ossia l’Isis. Non si è avuto il tempo e lo spazio per ricordare le critiche che la stessa Clinton ha rivolto in passato all’amministrazione democratica e ad Obama e cioè l’accusa di aver favorito o addirittura perorato la nascita e il potenziamento dell’Isis in Iraq, in funzione anti-iraniana.
Comunque sia, dalle poche parole dei dibattiti recenti, sembra che Hillary si sia chiarita meglio quali sarebbero le priorità della “sua” America in caso di vittoria: tra la Russia e l’Isis sembra ritenere che i tagliagole siano il male minore.
Gli Usa, per loro natura, hanno la necessità vitale di indicare al mondo un “nemico dell’umanità” di cui si propongono come alternativa, giustificando così la loro auto-conferita missione di tutore e poliziotto planetario. Senza un terribile nemico che voglia distruggere il pianeta, gli Usa potrebbero apparire agli occhi dei cittadini del mondo come una potenza imperiale che vuole imporre e giustificare il proprio interessato dominio economico con brutalità e cinismo.
Dopo l’implosione dell’Unione sovietica – e prima della “scoperta” della minaccia islamista – la fabbrica dell’immaginario di Hollywood, pur di tenere alto il senso di insicurezza dei cittadini, ha dovuto rispolverare addirittura le invasioni aliene degli anni Sessanta con il grottesco colossal Indipendence Day del 1996.
Poi, con Lo scontro delle civiltà di Samuel Huntington, dello stesso anno, ogni cosa è tornata al suo posto. Neo-con, teo-con e quant’altro hanno trovato in un nuovo spirito crociato in salsa calvinista la ragione di esistere della super potenza nord-americana.
Ma gli analisti economici erano in allerta e non hanno abbassato la guardia dinanzi ai nuovi fastidiosi competitor: India, Cina, Brasile, Iran, Europa e - dopo un periodo di assestamento - la nuova Russia.
Frenare la crescita dei Paesi del Sud America (Brasile e Venezuela) favorendo l’ingovernabilità è stato facile, seguendo un modello di intervento già rodato dagli anni Sessanta. Con l’Iran non sono bastati decenni di sanzioni, guerre e tentativi di colpo di Stato. Con la Cina si è combattuta una guerra soprattutto valutaria, intorno al controllo da parte dei cinesi del debito estero americano e alla sua svalutazione. L’Europa si è dimostrata il proverbiale topolino con cui il gatto gioca senza necessariamente ucciderlo. I “mercati”, le agenzie di rating, le centrali dell’informazione, hanno azzoppato ogni tentativo di rafforzamento dell’Unione o dei suoi singoli membri e infine, con l’emergenza profughi, si è scatenato sul Vecchio Continente un vero e proprio bombardamento umanitario che ha paralizzato ogni pianificazione economica e riforma sociale, alterando profondamente anche gli equilibri di politica interna.
Ma la Russia si è dimostrata un osso più duro. Sin dall’allargamento dell’Unione europea ad Est, gli Usa hanno giocato la loro partita, costituendo, con aiuti economici volti a creare legami di dipendenza, un cordone sanitario di Paesi ex comunisti tra la Russia e la Germania, al fine di compromettere qualunque speranza futura di realizzare una fusione infrastrutturale euroasiatica, in particolare interrompendo il flusso delle risorse energetiche. Poi hanno investito sulla destabilizzazione dell’Ucraina al fine di privare la Russia degli sbocchi al mare, dopo che con la crisi siriana la flotta russa aveva perso l’unica base d’appoggio nel Mediterraneo. Poi hanno imposto ed esteso progressivamente sanzioni economiche e commerciali.
Gli italiani in particolare dovrebbero essere consapevoli che alla provocata caduta di Berlusconi non sono stati estranei i legami personali e politici con Putin, Erdogan e Gheddafi e gli accordi siglati con Russia, Turchia e Libia per trasformare l’Italia nell’hub di distribuzione energetica e snodo dei gasdotti dal Sud e dall’Est.
La Russia, più volte data per moribonda, è però ancora in piedi e, anzi, si è rafforzata. Paradossalmente, la politica delle sanzioni, nella quale l’Europa ha con atteggiamento suicida eseguito i diktat Usa, ha realizzato un circuito economico e commerciale parallelo in cui tutti gli esclusi hanno fatto rete, potenziandosi a vicenda: Cina, Iran, India, Russia e molte altre economie emergenti che cercavano partnership forti.
Con l’intervento militare in Siria la Russia è tornata ad essere a tutti gli effetti un attore globale. E a nulla sono valsi i tentativi di scatenare un conflitto tra Russia e Turchia con l’abbattimento del caccia russo accusato di aver violato lo spazio aereo turco il 24 novembre scorso. In occasione del fallito Colpo di Stato contro Erdogan – per il quale gli ambienti vicini al presidente sospettano una regia statunitense – si è scoperto che il pilota golpista che ha bombardato il Parlamento di Ankara e mitragliato la folla – dopo aver fatto rifornimento in una base Nato - fosse lo stesso che ha abbattuto il caccia russo, gettando il proprio Paese sull’orlo di una guerra.
Nulla di nuovo. Si tratta di fatti noti per tutti gli osservatori più o meno attenti. Tra questi ovviamente non si annoverano i milioni di cittadini Usa che saranno chiamati tra breve a eleggere “l’uomo (o la donna) più potente del mondo” alla guida del Paese “leader del mondo libero”.
Mai come in questa era difficile e confusa, l’inquilino della Casa Bianca potrà forse fare ben poco per i problemi dell’occupazione e della sanità dei suoi cittadini ma molto per determinare un nuovo corso nella geopolitica dei conflitti. I Democratici, come sempre, sembrano indirizzati verso il mantenimento di una conflittualità permanente e una politica del Caos che impedisca a qualunque eventuale concorrente di crescere e consolidarsi, mantenendo così la leadership planetaria agli Usa; i repubblicani, come già in passato, sembrerebbero più propensi a ripiegare sul terreno domestico e concentrarsi sulla politica economica e commerciale.
Le due opzioni determineranno necessariamente una scelta radicale nei rapporti con l’altro da sé, oggi nuovamente rappresentato dall’”Orso di Mosca”. Gli sceneggiatori di Hollywood stanno probabilmente rispolverando i costumi di scena, per una nuova serie sul ritorno dell’Impero del Male.