Aleksandr Dugin e la strategia di organizzazione e comunicazione geopolitica della Tradizione
La mission di Aleksandr Dugin
Sostanzialmente, il compito filosofico e metapolitico di Aleksandr Dugin in questo tormentato XXI Secolo, consiste nella capillare diffusione dell’ideale spirituale e metapolitico della Tradizione, attraverso la difesa ad oltranza e la valorizzazione delle Civiltà etnosociali e dei popoli che ancora si oppongono al totalitarismo liberale dell’Occidente. Come pure il proselitismo e l’appoggio intellettuale di quei gruppi e di quelle élite minoritarie che, all’interno dei paesi occidentali e occidentalizzati, oppongono resistenza culturale e fattiva all’unipolarismo postulato dal nuovo ordine mondiale, nel nome di uno spirito anticapitalista e di un ritorno ai valori perenni della Tradizione.
Dugin vive la Tradizione sia come un costruttore di cattedrali sia come uno spirito libero, legato fortemente al suo retroterra culturale ortodosso e contemporaneamente ad una verve sciamanica tipicamente eurasiatica che avvince i cuori, cattura gli uditori, lo rende ieratico e molto spesso impetuoso, imprevedibile e dotato di quel sano realismo proprio di chi intuisce il fosco avvenire dei popoli sottomessi al diktat dei signori dell’oro di Davos.
Aleksandr Dugin è un valorizzatore di tutte le culture e le civiltà tradizionali o di ciò che di esse resta ancora in piedi tra le rovine del totalitarismo liberale. È un insuperabile comunicatore, un creatore di “rete”, quel network d’élite multipolare che ha saputo estendere ai quattro lati del pianeta con la tenacia e la passione simile a quella tipica del pensatore russo a cavallo tra il XIX e il XX Secolo. Una passione – più che rivoluzionaria, direi controrivoluzionaria – per un ritorno purificato al mondo della Tradizione, che non appare scandaloso accostarla alla stessa passione del barone controrivoluzionario Roman Ungern von Sternberg, almeno per quanto riguarda la sua tensione per il ritorno dell’Ordine Divino sulla Terra.
Tradizione come Rivelazione
La Tradizione, nella sua essenza è la Rivelazione dell’Ordine Divino del mondo. È una Rivelazione con la erre maiuscola perché in primis ha valenza teologica, in quanto procede appunto dall’Alto, dal disegno d’amore divino che pone l’essere umano come centro del suo Amore e mirabile sintesi della creazione. Struttura fondamentale di tutte le religioni storiche, la Tradizione ci viene comunicata in modi e credo differenti, a volte antitetici, spesso complementari, ma uniti sostanzialmente dalla lex naturalis ossia quel diritto naturale strutturato e identificato nella philosophia perennis, la quale ci tramanda le eterne verità sull’esistenza di Dio, l’essere umano, la famiglia naturale, il clan, la tribù, il popolo, i corpi intermedi, la terra, la proprietà collettiva e privata, le istituzioni dello Stato, la Patria, l’Impero.
La Tradizione ha quindi una valenza filosofica e più specificamente metafisica quale risposta di contenuto totale e collettivo, alle domande fondamentali della filosofia proprie dell’individualità umana: Chi sono? Da dove vengo? Verso dove vado? Ma la Tradizione non è soltanto un principio metafisico, è anche una realtà ontologica che procede da Dio e si incarna realmente nelle nostre membra. La Tradizione é il nostro Dasein, il nostro esser-ci nel mondo. La Tradizione siamo Noi organicamente strutturati come Popolo.
Ma qual’é il valore aggiunto di Aleksandr Dugin al pensiero tradizionale e ciò che lo caratterizza come filosofo della Tradizione, posto il fatto che consideriamo René Guenon come il cantore della Tradizione e Julius Evola come l’animatore metapolitico della Tradizione? Essenzialmente l’apporto di Dugin alla realtà della Tradizione, consiste nella visione geopolitica multipolare capace di rimettere in pista il concetto tradizionale di Impero, attraverso una rivisitazione e un estensione del significato di Dasein proposto da Martin Heidegger.
Ritengo, personalmente, Dugin un autorevole interprete di Heidegger, come ne esistono altri di Gramsci, Nietzsche etc. Il Dasein con cui Dugin viene continuamente ispirato da Heidegger, in Dugin stesso – pur mantenendo ferma l’accezione metafisica del Dasein – assume però contorni epistemologici non tanto legati all’individuo/soggetto singolo ma alla comunità/soggetto collettivo e questo ci fa capire il radicamento di Dugin nella Tradizione, l’assonanza con Evola e lo sviluppo della sua personale prospettiva etnosociologica, senza la quale il realismo della sua visione e attuazione geopolitica multipolare imperiale risulterebbe incomprensibile. Dugin afferma che devono ancora rinascere degli Imperi nel mondo, i quali superando la visione razzista e riduttiva dei nazionalismi sviluppatisi in Occidente e spiaggiati nell’attuale fase totalitaria e unipolare del liberalismo, sappiano essere collanti armoniosi, difensori e moderatori nei rapporti tra etnie e popoli presenti in determinate aree geopolitiche, così come avvenne con il sogno imperiale di Roma perpetuatosi poi a Bisanzio, Aquisgrana, Mosca, Vienna e Berlino. Questa visione imperiale essenzialmente indoeuropea, fondata sulla natura dell’uomo e della comunità, nel pensiero e nella strategia comunicativa e organizzativa di Dugin risulta applicabile – pur con correttivi propri di ogni civiltà – ad ogni singola realtà geopolitica che aspira a diventare sovranazionale.
Gli archetipi sociali della Tradizione
La Tradizione si identifica in archetipi che diventano simboli della sua realtà. In primis la figura di Dio come Padre creatore , poi la Madre, la madre Terra, i messaggeri angelici e molte altre figure archetipiche. Una particolare rilevanza rivestono gli archetipi formanti la società tradizionale secondo la tripartizione tipologicamente arioeuropea: il sacerdote/sciamano/guaritore, il guerriero/cavaliere/difensore, il contadino/artigiano/produttore, i quali nel loro insieme garantiscono l’Ordine Divino del mondo.
Nella Storia millenaria della Cristianità celtica e romano-germanica e nell’evoluzione della sua struttura da tribale a feudale, dall’archetipo guerriero emergono due figure simboliche che trascendendo il periodo storico in cui erano vissute, diventeranno riferimento perenne della Tradizione per coloro che faranno resistenza al male presente nella società. Si tratta di Re Artù quale difensore dell’Ordine Divino presente nella società e di Robin Hood quale difensore della giustizia sociale. Ad essi, potremmo aggiungere due figure simboliche minori che sono Alberto da Giussano e Guglielmo Tell quali difensori del diritto territoriale e della sua autonomia dai soprusi di un potere imperiale diventato esoso e accentratore. Queste tematiche sociali della Tradizione ossia difesa dell’Ordine divino-sociale, difesa della giustizia sociale, difesa delle autonomie locali e dell’indipendenza dal potere ingiusto, che dalla fine del XIX Secolo troveranno spazio anche nelle riflessioni del Magistero sociale della Chiesa, li ritroviamo anche nella strategia comunicativa multipolare di Aleksandr Dugin.
Contemplata aliis tradere
Trasmettere ciò che si è contemplato. In questa affermazione tratta da San Tommaso d’Aquino sta tutta la dinamica di comunicazione della Tradizione, che etimologicamente significa appunto trasmissione, il trasmettere, il comunicare la verità dell’Ordine Divino del mondo ossia di un mondo ordinato a immagine di Dio.
Conoscere ed approfondire la verità della Tradizione significa in primo luogo contemplarne i suoi archetipi attraverso il silenzio della meditazione e della preghiera profonda. Un silenzio capace di generare intuizione e, attraverso l’intuizione, operare infine una riflessione critica tesa a sviluppare e ad approfondire un discorso organico sulla Tradizione stessa.
La trama del pensiero di Dugin, dalla Quarta Teoria Politica al Grande Risveglio è intrisa di questo silenzio contemplativo che genera intuizioni estremamente ricche per profondità e vastità, capaci di scuotere le anime alle verità della Tradizione, aprirle alla conoscenza del male sociale rappresentato dal totalitarismo liberale, approfondirle nella percezione delle strutture dell’Ordine Divino nella creazione, nelle comunità e nella società civile.
Ad esempio, nella critica del liberalismo, Dugin – come già scrivevo in un precedente articolo – ha toccato profondità abissali di smascheramento epistemologico, metodologico e tecnologico, frutto di continue intuizioni di una mente metafisica che trova alimento dalla contemplazione. In un suo intervento sui social, così egli mirabilmente scrive a tal proposito:
“Nella New Age appare qualcos’altro. Appare un individuo ibrido. Non un eroe, un aristocratico, un prete-guerriero che ha un rapporto personale con la morte. Né un coltivatore di grano, un contadino, un gruppo etnico – con un Antenato collettivo e un’identità comunitaria.
Bourgeois (il borghese) è un mutante, un incrocio tra un guerriero codardo, un cavaliere avido e un contadino pigro e sfacciato. L’archetipo di un lacchè, un individuo bastardo.
In un primo momento, questo bastardo distrusse l’Impero, la Chiesa e le comunità rurali e, nella forma del Terzo Stato, creò una nazione. Una nazione è un agglomerato di individui, bastardi borghesi, vili commercianti. Pertanto, il nazionalismo è sempre un abominio. Ho paura di combattere, non voglio lavorare. Speculerò e scambierò.
Una nazione non è un gruppo etnico, non è un popolo, non è una società arcaica, non è una società tradizionale, non è un’aristocrazia. Questa è la modernità.
È qui che inizia la cosa più disgustosa: l’apparizione di das Man (l’Uomo). Das Man è sempre stato lì, ma non ha dominato. La questione è sempre stata risolta in modo autentico o non autentico.
Lo Stato-nazione borghese è il consolidamento legislativo dell’inautenticità. Invece di una lingua viva – idiomi; invece di comunità – ognuno è diverso!, cittadini stereotipati, cittadini, borghesi. Questo è il Logos alienato, il vuoto razionalismo, la pseudo-ontologia politica.
La nazione ha commesso il crimine più terribile: ha stabilito un individuo, non una personalità eroica e comunitaria.
Affinché non si sfaldassero, per loro fu inventata una falsa identità: furono dichiarati discendenti di romani, sumeri, antichi tedeschi, ecc. Il nazionalismo è originariamente anti-Impero, anti-Chiesa. Il nazionalismo è das Man.
Ma poi la nazione non era più necessaria e gli individui iniziarono a essere liberati dalla nazione. La forza di das Man crebbe. Il globalismo borghese post-nazionale è il limite dell’alienazione. La cultura moderna – con idoli, mode, palese idiozia – è l’esatto opposto dell’esistenza autentica.Tutto questo poi finisce con la distruzione della persona: il genere e quindi l’intelligenza Artificiale (IA).
Perché l’IA è das Man. Se il Re spirituale – il capo della gerarchia degli spiriti – è il Selbst di Dasein, (il Sè di Esserci) allora l’IA è Selbst das Man, (il Sè dell’Uomo) cioè das Man stesso.
Questa è pura alienazione e l’esistenza qui è del tutto assente. Una macchina intelligente differisce da un essere umano solo in assenza di Dasein.
La politica esistenziale è possibile solo nell’Impero e in una società tradizionale. Allo stesso tempo, il Logos dell’élite dovrebbe basarsi sull’esistenza del popolo, del gruppo etnico.
L’élite dovrebbe essere il culmine di un’esistenza autentica. La società dovrebbe essere guidata da quegli Einige (Individui) che incarnano l’esperienza filosofica della Profondità. Vale a dire, essere ciò che Hegel chiamava die Offenbarung der Tiefe, la Rivelazione dell’abisso.
Dobbiamo superare tutta la modernità dal nazionalismo attraverso il liberalismo e il globalismo e fino all’IA. Ecco perché eurasiatismo e tradizionalismo sono così importanti”.
Non è una requisitoria questa, ma una magna ouverture contemplativa…
La dottrina dei coaguli
Pur avendo radici antiche, riferibili alle riflessioni filosofiche sull’empatia presenti in Socrate, Platone, Aristotele, la dottrina dei coaguli – di cui ne parla anche Plinio Correa de Oliveira in più punti del suo saggio Rivoluzione e Contro-Rivoluzione – trova il suo esordio tra i figli di Sant’Ignazio, la Compagnia di Gesù nel XVI Secolo. Con i Gesuiti, l’evangelizzazione entra in un periodo di riflessione teologica nuovo. Da una parte essi guardano con simpatia al modo di evangelizzare praticato fino al Secolo XI dal monachesimo celtico e da quello benedettino. Esso consisteva nel chiedere ai popoli tribali convertiti dall’annuncio del Vangelo solo due cose: l’abbandono del politeismo e la rinuncia alla pratica dei sacrifici umani, incorporando nella fede cristiana tutta la loro cultura e i loro costumi. Dall’altra parte, i figli di Sant’Ignazio sono in genere contrari alla evangelizzazione sulla punta delle spade, come sta avvenendo nelle Americhe dopo la scoperta del nuovo mondo. I Gesuiti sono uomini colti, filosofi, scienziati, inventori, artisti, destinati dai Papi alla conversione delle élite cristiane e alla evangelizzazione di quelle non cristiane. Il leitmotiv della loro evangelizzazione è l’inculturazione della fede, per questo motivo quando arriveranno in Cina con il padre Matteo Ricci – ancora oggi considerato eroe nazionale e annoverato tra i padri della Patria cinese – essi vestiranno prima i panni dei bonzi buddhisti per poi abbandonarli a favore delle vesti dei sacerdoti confuciani, divenendo in tempi brevi consiglieri dell’Imperatore, usando la loro diplomazia e la loro scienza a servizio dell’Impero del Figlio del Cielo.
Nel concreto, la dottrina dei coauguli, così come oggi vediamo inverarsi nella strategia organizzativa e comunicativa di Aleksandr Dugin, prevede due fasi distinte e concatenate tra loro. La prima fase, di ordine sociopsicologico e più propriamente umanistica organizzativa, prevede l’instaurazione di un rapporto interpersonale e comunitario con gli interlocutori metapolitici, basato sull’empatia che sfocia poi in amicizie profonde e condivisione di ideali e destini necessari alla realizzazione della lotta multipolare. La seconda fase, di natura metapolitica e quindi di comunicazione delle verità di Tradizione, è posta ad evidenziare il coagulo che emerge nella realtà geopolitica di riferimento, per usarlo poi come chiave di apertura all’integralità della lotta permanente per la Civiltà multipolare.
In questo secondo e particolare contesto, risulta chiaro come l’approccio di Dugin sia un approccio differenzialto nella individuazione del coagulo, ossia egli è portato a focalizzare ciò che del diritto naturale viene maggiormente violato dall’aggressione totalitaria mondialista in un determinato contesto geopolitico. Ad esempio, l’attenzione di Dugin e l’incoraggiamento per la lotta contro le ingiuste disuguaglianze e per la giustizia sociale in America latina, evidenziano il coagulo e la struttura portante su cui far passare successivamente l’integralità della Quarta Teoria Politica. In Occidente, in Europa e in Italia, il coagulo identificato da Dugin è stato la lotta contro la decadenza post moderna con tutto il portato satanico dei signori dell’oro di Davos, fatto di finis Storiae, grande reset, disgregazione familiare e individuale, IA e transumanesimo a cui va opposto il grande risveglio. Così in Russia, Turchia, Iran, India e Africa, il coagulo individuato da Dugin è la lotta contro il colonialismo dell’Occidente a favore delle proprie tradizioni e della propria cultura attraverso il netto rifiuto di una morte programmata e dello sfruttamento finanziario multinazionale propinato loro dalla strategia unipolare a trazione yankee.
Infine resta emblematico il caso della Cina, che al dire di Rainaldo Graziani che ce lo ha raccontato, ha accolto con entusiasmo Dugin tra i suoi professori universitari, dopo che un dirigente cinese politico di altissimo livello gli pose una domanda che spaziava tra l’enigma tipicamente cinese e il trabocchetto
di chi la politica con le sue trappole e i suoi delicati equilibri la conosce a fondo. “Professor Dugin, qual’é secondo lei il futuro della Cina?”. Risposta: “il futuro della Cina è Mao più Confucio!”.
La dottrina dei coaguli è una materia strategica di ordine organizzativo e comunicativo di prim’ordine che Aleksandr Dugin padroneggia con eccellenza e che andrebbe approfondita attraverso seminari da lui gestiti, affinché il bonum diffusivum sui della “Tradizione permanente” – per usare un analogo metapolitico con la rivoluzione permanente di Trotsky – possa essere esportato in tutto il mondo: “Uomini della Tradizione di tutto il mondo, unitevi!”.