La visita israeliana di Biden: “sistemare il mondo”

19.07.2022
Dopo la sconfitta di Donald Trump alle elezioni americane, molti hanno visto il futuro della cooperazione USA-Israele sotto una cattiva luce. Sembrava che il tempo “d’oro” della solidarietà senza precedenti di Trump fosse finito per sempre e lo Stato di Israele stesse attraversando tempi difficili senza il precedente aiuto del “Grande Fratello”. Ma la visita di Joe Biden in Israele la scorsa settimana ha chiarito che gli Stati Uniti non sono ora nella posizione di trascurare il loro principale avamposto in Medio Oriente.

Israele, America e americani

Storicamente, c’è stata una peculiare dualità nelle relazioni tra gli Stati Uniti e Israele. Da un lato, Israele è essenziale per il dominio degli Stati Uniti in Medio Oriente, e quasi nessun politico americano di qualsiasi orientamento oserebbe discuterne. D’altra parte, tra gli stessi americani, ci sono opinioni molto diverse su Israele e il suo sostegno, sia tra i repubblicani che tra i democratici.

Israele è la roccaforte più affidabile dell’egemonia americana in Medio Oriente, un alleato devoto e un figlio amato. Collocato inizialmente in un ambiente ostile, Israele, secondo tutte le leggi geopolitiche, non è riuscito a trovare alleati organici tra i vicini che lo odiano con tutto il cuore o nascondono il loro odio per il momento. Questo lo ha costretto a cercare un mecenate esterno e lo sceriffo mondiale non è stato lento a offrire i suoi servizi a Israele. Israele è anche saldamente legato all’America dall’economia, dalla diplomazia, dall’ideologia politica e persino dal sionismo (dopotutto, come tutti sanno, i sionisti più astuti rimangono ancora negli Stati Uniti).

Gli altri tradizionali alleati americani nella regione – Turchia, Arabia Saudita e altri paesi arabi – non possono competere con lo Stato di Israele in termini di lealtà. L’attuale situazione nella regione illustra chiaramente questo fatto. Sullo sfondo degli eventi ucraini, la Turchia sta giocando con successo un “doppio gioco”, lavorando con entrambi. Anche gli sceicchi sauditi non vogliono perdere i loro profitti petroliferi per sostenere la pressione americana sulla Russia – questo è eloquentemente dimostrato dal rifiuto dei principi sauditi di parlare al telefono con Biden a marzo. A ciò si aggiunge una significativa riduzione delle truppe statunitensi in Iraq e il ritiro dall’Afghanistan, e quindi la necessità del più diretto sostegno di Gerusalemme per gli Stati Uniti diventa estremamente ovvia.

L’opinione della società americana non è così inequivocabile. Ci sono molti fan e haters del progetto israeliano negli Stati Uniti. O almeno quelli che non sono pronti a pagare le tasse per il complesso di difesa israeliano. Paradossalmente, questi due gruppi esistono sia tra i Democratici che tra i Repubblicani.

Il periodo del governo di Trump è spesso definito “l’era d’oro” delle relazioni USA-Israele: è stato per il bene di Israele che Trump si è ritirato dall'”accordo nucleare” con l’Iran nel 2018, ed è stato per il bene di Israele che Kassem Soleimani fu eliminato durante il suo mandato. Tra i motivi della simpatia di Trump per Israele vi sono il sostegno alla capitale ebraica americana, la lobby ebraica del Partito Repubblicano, l’ideologia protestante e l’amicizia personale del presidente degli Stati Uniti con l’ex Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Molti patrioti americani sono ancora pronti a “pagare” Israele per il predominio esterno degli Stati Uniti.

D’altra parte, i sentimenti isolazionisti e persino l’antisemitismo sono tradizionalmente forti tra i repubblicani. A molti non sono piaciute nemmeno le politiche impulsive di Trump, che sono costate agli Stati Uniti un forte ritiro del contingente militare in Iraq e relativi costi aggiuntivi.

I democratici, che vedono Israele come una “roccaforte della libertà e della democrazia” nella regione, hanno tradizionalmente sostenuto il progetto israeliano. Tutto è cambiato radicalmente negli anni di Barack Obama, che ha cercato di dare più morbidezza alla politica americana in Medio Oriente, cercando di risolvere più pacificamente la situazione con Iran e Palestina. Nelle condizioni moderne, molti “democratici di sinistra” considerano già il sionismo una dottrina conservatrice e nazionalista, quasi un fascismo. È noto che George Soros finanziò il BDS e cercò di interferire nelle elezioni israeliane, per le quali si guadagnò l’odio tra i sionisti.

Comunque sia, nel campo della politica estera, il pragmatismo americano di solito ha la meglio sull’ideologia e sull’opinione pubblica. Per evitare che qualsiasi posizione personale saboti “l’amicizia e l’assistenza reciproca” con i partner israeliani, gli Stati Uniti a volte adottano misure piuttosto serie, a volte contrarie alla libertà di parola americana. Quindi, ad esempio, l’attività del BDS [1] sopra menzionata è già vietata in trenta stati degli Stati Uniti e i rappresentanti statali sono tenuti a firmare un accordo secondo cui non “boicotteranno Israele” in ogni caso.

Ovviamente, la visita di Biden in Israele non è stata dettata dall’opinione pubblica o dal sentimento interno del partito. L’America ha davvero bisogno di rafforzare le sue posizioni – e nelle condizioni di un mondo unipolare al collasso, Israele rimane lo strumento più affidabile per questo rafforzamento. Inoltre, questo “tour del Medio Oriente” di Biden è il primo nella carriera del 46° Presidente degli Stati Uniti. Il suo destino come leader dello stato dipende in gran parte dal successo ottenuto nel rafforzamento internazionale dell’egemonia americana.

“Dichiarazione di Gerusalemme”, Iran e Netanyahu

La visita del Presidente degli Stati Uniti in Israele, in generale, ha soddisfatto pienamente le aspettative riposte su di lui: nessuna ambiguità, si parla di partnership strategica e confronto aperto con l’Iran.

L’evento principale della visita è stata la firma della “Dichiarazione di Gerusalemme”, forse uno dei documenti più “candidi” del suo genere. Dopo le parole generali sul sostegno degli Stati Uniti alla sicurezza di Israele, il documento afferma esplicitamente che gli Stati Uniti e Israele sono pronti a lavorare insieme per contrastare l’influenza destabilizzante dell’Iran e i suoi tentativi di acquisire armi nucleari. Inoltre, Biden ha affermato che Washington è pronta a utilizzare “tutti gli elementi della sua potenza militare” per questo. È stato anche menzionato che gli Stati Uniti intendono “cooperare con altri partner per contrastare l’aggressione e le misure destabilizzanti da parte dell’Iran, condotte direttamente o indirettamente attraverso forze controllate e organizzazioni terroristiche”.

L’ultima osservazione è particolarmente importante. In sostanza, offre alla leadership di Israele nuove opportunità di lotta repressiva contro le forze filoiraniane, sciite e palestinesi nel loro Stato: gli Stati Uniti hanno così chiarito che in caso di tale repressione non si opporrebbero.

Secondo alcune fonti, durante la visita, si sarebbe parlato anche di un possibile “Piano B” nel caso l’Iran acquisisse armi nucleari. Ebbene, dato l’ambiguo status nucleare di Israele stesso, si possono fare alcune ipotesi sul contenuto di questo “piano”.

Alcune parole sono state dette anche sulla riconciliazione di Israele con l’Arabia Saudita. Naturalmente, una tale riconciliazione sarebbe altamente desiderabile per l’America, ma dato lo stile piuttosto arbitrario della politica estera del Regno, una tale riconciliazione potrebbe non aver luogo.

In generale, molti dettagli di questa visita diplomatica suggeriscono che il presidente americano di tanto in tanto ha dovuto anche “placare” un po’ Israele con ogni sorta di garanzie, gesti ed esortazioni. Ad esempio, Biden ha promesso al Primo Ministro israeliano Yair Lapid che il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche Iraniane (IRGC) sarebbe sicuramente rimasto nell’elenco americano delle organizzazioni terroristiche. Anche i negoziati tradizionali con il leader dell’opposizione israeliana (l’attuale Benjamin Netanyahu) questa volta sono andati in modo sorprendentemente rapido e poco costruttivo. A quanto pare, Biden ha quindi cercato di mostrare la sua lealtà all’attuale governo di Lapid e alla sua linea politica. Il roboante discorso di Biden sulla “memoria dell’Olocausto”, trasformatosi in un noto scandalo, infatti, è stato anche un gesto di massima solidarietà con Israele nella sua lotta contro ogni tipo di minaccia esterna.

In breve, Biden ha effettivamente agito in modo abbastanza pragmatico. In questo periodo tutt’altro che migliore per l’egemonia americana, gli alleati che sicuramente non si allontaneranno dagli Stati Uniti in nessuna circostanza sono di particolare valore – e questi alleati devono essere protetti, curati e amati in ogni modo possibile. Inoltre, l’aumento della pressione sull’Iran è, di fatto, anche un aumento indiretto della pressione sulla Russia. Sembra che anche l’élite democratica molto dubbia degli Stati Uniti capisca cose così ovvie.

Tikkun Olam di un mondo unipolare

Una certa profondità ontologica della “Dichiarazione di Gerusalemme” è aggiunta dal concetto di “Tikkun Olam” in essa menzionato, le cui radici risalgono alla tradizione cabalistica. Citiamo:

“Gli Stati Uniti e Israele affermano che tra i valori condivisi da entrambi i paesi c’è un impegno incrollabile per la democrazia, lo stato di diritto e l’appello al tikkun olam, che ripara il mondo”.

Letteralmente dall’ebraico, “Tikkun olam” è tradotto come “correzione del mondo”. Questo è il processo cosmico di restaurare l’armonia perduta; tikkun olam ha preceduto la creazione del mondo dal caos pre-creato e si concluderà con la venuta del Messia nel mondo dopo la caduta. Ma che tipo di “armonia primordiale” ristabiliranno gli Stati Uniti e lo Stato di Israele, e in quale tipo di “irregolarità” è impantanato il Medio Oriente moderno?

Naturalmente, stiamo parlando del sistema-mondo, della civiltà globalista, dell’egemonia americana. I demoni e le entità caotiche sigillate da Joe Biden e Yair Lapid sono i germi di un nuovo mondo multipolare, sia esso Iran, Turchia o Russia. È improbabile che gli autori della dichiarazione abbiano compreso appieno queste cose. Ma “per amore delle parole” hanno aggiunto questo concetto filosofico esotico al testo del patto americano-israeliano.

La Kabbalah è un insegnamento profondo e sottile. Il fatto è che la “correzione del mondo” non è un destino umano. Questo è un processo divino, che una persona deve accettare umilmente come Provvidenza di Dio. La Kabbalah insegna la Torah e la preghiera, non i missili balistici e le portaerei strategiche. E sembra che gli americani e i loro amici in questo processo divino, per loro incomprensibile, siano ben lungi dall’essere dalla parte della “correzione del mondo”.

Note:

[1] BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) è un’iniziativa internazionale filo-palestinese che proclama il suo obiettivo di combattere Israele con l’aiuto del boicottaggio internazionale, della censura e delle sanzioni.

Traduzione di Alessandro Napoli