INTRODUZIONE A NOOMACHÌA. LEZIONE 6. LA CIVILTÀ EUROPEA

05.10.2019

Quella che segue è la sesta di dieci lezioni tenute dal Professor Aleksandr Dugin a Belgrado (marzo 2018) nell’ambito della scuola di geopolitica serba e dedicate all’introduzione al progetto Noomachìa. Trascrizione e traduzione a cura di Donato Mancuso. Fonte: https://www.geopolitica.ru/en/studio/introduction-noomahia-lecture-6-european-civilization. Video: https://youtu.be/eBjtkifEK9Y.

Metteremo ora da parte le altre società indoeuropee, per concentrarci sull’analisi della storia e della cultura europea. Risulta ormai chiaro che la civiltà europea si fonda sulla sovrapposizione di due orizzonti esistenziali. La storia europea si caratterizza per una continua titanomachìa o Noomachìa, iniziata con la discesa della cultura indoeuropea turanica nel campo della civiltà della Grande Madre. Nella precedente lezione [1] abbiamo inoltre identificato Dioniso come il problema principale di questa civiltà, rappresentando il terreno stesso di scontro in cui si sviluppa tale titanomachìa.

1. L’Urheimat balcanica

Per iniziare l’analisi noologica della civiltà europea, sarà opportuno partire da uno dei suoi poli principali, costituente la vera e propria Urheimat delle tradizioni agricole europee, cioè l’Europa orientale, a torto considerata periferica.

Il primo popolo indoeuropeo a farvi la sua comparsa è stato quello tracico. I Traci sono discesi nei Balcani prima degli Slavi, attorno al 1200 a.C., insediandosi inizialmente nei Balcani settentrionali, per poi occupare pressappoco la grande area dell’Europa orientale. Ciò che è importante rilevare è che i territori in cui la civiltà tracica si espanse erano i centri o poli della civiltà della Grande Madre – Lepenski Vir, la cultura di Vinča, la cultura di Cucuteni-Trypillia, ecc. – la quale andò così a costituire il sostrato dell’orizzonte esistenziale tracico. Per inciso, noi non possiamo affermare con certezza che i Traci siano stati i primi popoli indoeuropei a fare la loro comparsa in quei territori, ma essi sono i più antichi di cui abbiamo conoscenza.

La cultura indoeuropea tracica ha rappresentato dunque il campo in cui ha avuto inizialmente luogo l’incontro tra l’orizzonte apollineo e l’orizzonte di Cibele. Le tribù slave che giunsero molto più tardi nei Balcani, assimilarono tali elementi tracici includendoli nella loro struttura. Anche Dioniso era considerato dai greci un dio tracico. E, sia che fosse realmente tracico, sia che fosse pre-tracico – ripeto, non possiamo saperlo con certezza – Dioniso giunse in Grecia provenendo da nord, così come Orfeo e la dea Bendis, sostanzialmente un altro nome per denominare la Grande Madre.

È possibile che le tribù traciche siano più antiche di quanto immaginiamo e forse siano state addirittura le prime tribù indoeuropee ad apparire. Ciò che possiamo affermare con certezza è che esse costituivano una società indoeuropea molto antica, con tratti nomadi molto sviluppati, giunta prima degli Slavi, la cui cultura assimilò la tradizione paleo-europea – direttamente o indirettamente per il tramite di una qualche altra società indoeuropea, in merito a cui tuttavia non possiamo dire nulla di affermativo.

Ad ogni modo, il dato saliente è che nello spazio est-europeo, prima che divenisse predominante l’orizzonte slavo a seguito delle invasioni del V e VI secolo d.C., sussisteva una civiltà tracica indoeuropea in cui verosimilmente ha avuto luogo per la prima volta l’incontro tra i Logoi  di Apollo e Cibele. Se così fosse, ciò significherebbe che il mondo agricolo sedentario europeo ha avuto origine e si è espanso a partire dallo spazio balcanico, il quale dunque costituirebbe la patria originaria – l’Urheimat – non solo del contadino est-europeo ma di tutto il mondo rurale europeo, dacché la tradizione agricola si sarebbe venuta a sviluppare anzitutto nei territori balcanici, abitati da una società matriarcale ben prima che vi giungesse la cultura turanica.

Pertanto, l’Europa orientale, comunemente ritenuta periferica e marginale per la civiltà greco-romana e più tardi per quella occidentale, andrebbe ritenuta al contrario un polo centrale della civiltà Europea. È nell’Europa orientale infatti che l’evento chiave nella storia ontologica e semantica europea – l’incontro tra i due orizzonti esistenziali paleo-europeo e indoeuropeo – ha avuto luogo. Occorrerebbe prestare maggiore attenzione al Dasein est-europeo, cioè al complesso orizzonte esistenziale dell’Europa orientale, dacché in tale prospettiva esso acquista una nuova dimensione divenendo di cruciale importanza. Ciò è ancor più vero se si considera che Dioniso, che abbiamo visto essere la figura chiave per decifrare l’ontologia della storia europea, è di origine tracica.

La cultura matriarcale paleo-europea non è pertanto sparita a seguito della discesa dei Traci. Essa ne ha costituito il sostrato, si è quindi diffusa insieme alla cultura tracica nel mondo rurale est-europeo e, da lì, si è espansa insieme alla classe contadina attraverso tutta l’Europa. Possiamo dunque parlare di Dasein rurale, un tipo particolare della terza funzione duméziliana che ha conservato tratti culturali della tradizione preindoeuropea. E una delle prime società indoeuropee che ha integrato questi elementi è stata proprio quella dei Traci, cui hanno fatto seguito tutte le altre. Un altro popolo cui prestare particolare attenzione è quello degli Illiri, i quali abitarono i Balcani occidentali assieme ai Traci, e il cui spazio secondo alcuni storici raggiunse il Mar Baltico, ragion per cui si può credere che essi abbiano vissuto in terre molto più a nord prima delle invasioni slave. Conosciamo molto poco di questi popoli, ma possiamo dedurne alcuni aspetti interpretando correttamente le tradizioni slave meridionali, essendo queste ultime in continuità culturale con tali popoli, dacché tutte le tradizioni agricole a noi note risultanti da migliaia di anni di indoeuropeizzazione erano originariamente balcaniche – in altri termini, il Dasein rurale è nelle sue radici balcanico.

Fatta questa premessa circa l’Urheimat balcanica, patria originaria del Dasein rurale europeo, possiamo passare ad analizzare gli orizzonti esistenziali inferiori o sotto-spazi che costituiscono il Großraum europeo.

Come abbiamo già detto nella terza lezione, esiste l’enorme spazio turanico indoeuorpeo che include sostanzialmente tutta l’Eurasia, dalle isole britanniche all’India, e che costituisce l’immenso orizzonte esistenziale indoeuropeo. Ad ovest di tale orizzonte si estende il Grande spazio europeo ma, scendendo ad un livello noologico e geosofico inferiore, incontriamo al suo interno diversi sotto-spazi. Si tratta delle singole società indoeuropee, le cui specifiche culture derivano da come ciascuna di esse ha risolto il problema di Dioniso. Nel tentativo di comprendere ermeneuticamente una o l’altra cultura europea, noi individuiamo precisamente l’equilibrio noologico e il momento della Noomachìa che caratterizza ciascuna società.

2. La tradizione greca

Inizieremo questa disamina partendo dalla tradizione greca [2].

La tradizione greca si basa sulla piena vittoria del Logos di Apollo. Tuttavia, tale vittoria, come ho accennato nella quarta lezione, non è stata immediata. Le tribù elleniche degli Ioni e degli Eoli giunsero attraverso le prime ondate migratorie nei Balcani e nel Peloponneso sopraffacendo la civiltà matriarcale esistente. Ma, mentre alcuni territori greci mantennero la struttura indoeuropea verticale trifunzionale puramente patriarcale, altri la persero del tutto o in parte. Nelle culture minoica e micenea si venne pertanto a creare una commistione tra elementi patriarcali e matriarcali. Fu solo con l’ultima ondata migratoria delle tribù elleniche dei Dori – provenienti dal nord, dai territori macedoni, e portatori di essenziali elementi apollinei e pastorali – che la cultura micenea venne distrutta e fu introdotto uno stile puramente turanico. Tutto questo si riflette nel dualismo della cultura greca tra la dorica Sparta e la ionica Atene, un dualismo che rispecchia l’equilibrio della Noomachìa all’interno dello spazio esistenziale greco, dato che il Logos apollineo si manifesta in Sparta in modo chiaro e marcato a differenza che in Atene e nelle colonie greche anatoliche, dove invece esso è meno preponderante. Tale dualismo per inciso ha un ruolo chiave anche nella geopolitica.

Il Logos apollineo si manifesta non solo nella mitologia e nella religione, ma anche nella filosofa. Esso si riflette in modo assolutamente perfetto nella filosofia platonica, così come nella logica di Aristotele.

In un’altra parte dell’insegnamento aristotelico invece, nello specifico nella fisica – per la quale tutto ciò che esiste è unico e al contempo duplice possedendo forma e materia (due cose in una, puro Dioniso!) – così come nella filosofia di Eraclito – basata sul ciclo, sulla dialettica tra ciò che è eterno e ciò che è corruttibile – si riflette invece il Logos di Dioniso. Ma nello spazio esistenziale greco è presente anche il terzo Logos, il Logos di Cibele, rappresentato filosoficamente da Democrito, Epicuro e Lucrezio, tipici esponenti di un’antica tradizione materialista e immanente, dal momento che essi condividono una concezione atomistica per cui tutto è composto da atomi, e professano l’idea titanica del progresso e dell’evoluzione secondo la quale tutto cresce dal basso verso l’alto, dal negativo al positivo.

Nella filosofia greca, troviamo dunque presenti tutti e tre i Logoi. Ma è importante sottolineare come il Logos normativo sia quello di Apollo – platonismo su tutto, ma in parte anche Aristotele ed Eraclito (sebbene in quest’ultimo si rifletta principalmente il «Logos oscuro» di Dioniso). Logos apollineo che viene però rigettato da Democrito, Epicuro e Lucrezio. Non è un caso che Platone suggerisse di bruciare i libri di Democrito, considerandoli espressione di una pericolosa eresia. In tutto ciò vediamo chiaramente la continuazione della titanomachìa o Noomachìa indoeuropea. Il momento della Noomachìa greco si basa in definitiva sulla vittoria del Logos di Apollo coadiuvato dal Logos apollin-dionisiaco o del «Dioniso apollineo», sul Logos materialistico di Cibele.

3. Il Dasein ellenistico

È sostanzialmente questa la lettura noologica della tradizione ellenica. Le cose però cambiano in era ellenistica. Sotto Alessandro Magno, i greci espandono il proprio dominio su uno spazio esistenziale completamente nuovo.

L’orizzonte esistenziale iranico viene inglobato nella cultura mediterranea greca e ciò crea il fenomeno dell’ellenismo.

La differenza fondamentale tra cultura ellenica ed ellenistica risiede proprio in questo: mentre la cultura ellenica consiste nella tradizione greca di cui abbiamo discusso finora, la cultura ellenistica scaturisce dalla fusione delle culture greca e iranica. Questo passaggio va sottolineato: ad essere inglobate non è una qualche cultura orientale, asiatica, semitica, come comunemente si ritiene, ma precisamente iranica. La quale non corrispondeva però alla sola cultura dell’Iran ma a quella dell’impero achemenide, che aveva assorbito anche le tradizioni egiziane, babilonesi e semite, metabolizzando tutte queste antiche culture nel suo Logos iranico [3]. Ecco perché, così come distinguiamo ellenistico da ellenico, in questo caso suggerisco utilizzare il termine iranistico piuttosto che iranico. In tal modo, l’impero achemenide non è da considerarsi puramente iranico ma piuttosto iranistico, poiché esso includeva altre tradizioni, trasformate semanticamente nel contesto del Logos iranico; detto altrimenti, aveva assimilato tutte le culture pregresse trasformandole nel contesto della propria dominante concezione zoroastriana-mazdeiana.

La cultura greca entrò pertanto in contatto con i mondi egiziano, semitico, babilonese, ma nella loro versione «iranizzata» – non fu un contatto diretto ma mediato dalla cultura iranica. In era ellenistica, l’impero macedone di Alessandro ricevette il patrimonio culturale iranistico, la cui essenza – il Logos iranico, che dovremmo in effetti includere in ciò che intendiamo per civiltà europea – si basa sul principio fondamentale della «guerra della luce». Si tratta, come abbiamo visto in conclusione alla terza lezione, di una forma di platonismo dualistico, in cui il Logos di Apollo confligge con il Logos di Cibele ma riconoscendone il potere, la sostanza e la natura autonoma. Mentre nel platonismo advaita (non dualistico) l’oscurità è assenza di luce, nella concezione iranica è qualcosa di vivente, di potente e anche di vincente. Per Platone la vittoria del male sul bene è assurda, assolutamente impossibile, poiché nel mondo puramente apollineo vi è l’eterna vittoria della luce e l’oscurità non esiste; al contrario, nella versione dualistica iranica l’oscurità esiste, potremmo definirla una potente divinità di segno opposto. La notte è, e può vincere. Così, per la prima volta, la guerra tra luce e oscurità diventa qualcosa di serio e di drammatico, se comparato alla versione non dualistica del platonismo, poiché basata sul riconoscimento della sostanza, della realtà e della potenza del Logos di Cibele da parte di Apollo.

Essere iraniani significa infatti essere latori di luce, figli della luce mandati nel campo dell’oscurità al fine di combatterla. L’autocoscienza e l’identità iranica zoroastriana si basano precisamente sul concetto che solo gli iraniani sono il popolo puro della luce, mentre tutti gli altri sono popolo dell’oscurità – una sorta di razzismo metafisico che tra l’altro crea le basi per legittimare il matrimonio fra consanguinei e l’incesto come vie per salvaguardare la purezza del sangue e dello spirito dei figli della luce. Questa è la tradizione iranica; una tradizione che tuttavia nell’evoluzione iranistica diventa meno esclusivista poiché l’inclusione dei popoli semiti, egiziani, babilonesi, ecc., segna la transizione della qualità di essere figli della luce ad un livello meno materiale e più simbolico o metaforico, dimodoché il concetto di «guerra della luce» viene accettato in senso più ampio.

Un altro concetto chiave della tradizione iranica, sconosciuto ai greci, è quello di tempo e di storia. Nella visione platonica la storia non esiste – accanto alle idee hanno rilevanza solo gli esempi degli eroi del passato, fungenti da paradigmi. Il tempo non assume un ruolo rilevante dacché vi è sempre e solo lo stesso ciclo di nascita e morte del medesimo, l’eterno ritorno delle cose.

Non esistono i concetto di progresso e di sviluppo, né tantomeno di regresso. Si proviene dall’origine e si fa ritorno ad essa. Questo è tutto.

E ciò che avviene in questo ciclo sublunare non ha alcuna importanza, è privo di significato, di direzione. Non ha tempo né storia. Detto altrimenti, la storia platonica è la «storia dell’eternità»: nel tempo si riflette l’eternità, dunque esso non esiste nel senso a noi familiare.

Al contrario, nella tradizione iranica il tempo acquisisce un senso, poiché tale tradizione afferma che all’origine la luce domina sulle tenebre; in un secondo momento dell’istoriale iranico, l’oscurità invade il campo della luce, il reame solare, e inizia a distruggerlo e a pervertirlo; in un terzo momento, le tenebre sopraffaranno la luce; ma al termine della dominazione delle tenebre ci sarà la grande restaurazione, la resurrezione e la comparsa del prescelto, che diventerà il Re e il Salvatore dell’umanità, lo Saoshyant zoroastriano. Così, mentre in Platone il tempo non ha importanza dacché non ha un senso, qui esso assume un ruolo rilevante. Ed è qui che fanno il loro ingresso l’idea della storia, del tempo escatologico e del messianismo. Appare la figura del Messia, dell’Ultimo Re del mondo chiamato a restaurare il regno della luce come ultimo risultato della «guerra della luce», e si introduce il concetto della resurrezione, della restaurazione della perfezione perduta propria della creazione della luce.

Questo è l’iranismo, ed è effettivamente qualcosa di molto prossimo a noi. Ma tutto ciò – la storia, il senso del tempo, la resurrezione, l’escatologia – costituiva una prospettiva totalmente nuova e fino a quel momento estranea ai greci. Fu solo dopo le conquiste di Alessandro Magno che questo patrimonio spirituale, filosofico e metafisico fece il suo ingresso nella cultura greca mediterranea. Ciò che era esterno divenne interno.

Per inciso, è opinione diffusa che le idee di tempo, storia, messianismo, ecc., siano state portate dai semiti, dalla Bibbia. Ma noi conosciamo la Bibbia solo dopo la fine dell’esilio babilonese, il quale ebbe termine sotto l’impero achemenide che pertanto aveva diffuso questo Logos iranico anche tra i giudei. Il tardo giudaismo, quello a noi noto e che è legato ai concetti di Messia, Fine dei Tempi, Resurrezione, ecc., è dunque una sorta di riduzione iranica del giudaismo originale.

In realtà, i concetti di tempo, di storia e di escatologia così come di «guerra della luce» costituivano il cuore della cultura iranistica. La quale, dopo Alessandro Magno, si fuse con la tradizione ellenica generando il fenomeno dell’ellenismo. Il mondo ellenistico in sintesi si regge dunque su due pilastri, ellenico e iranistico, ed è di cruciale importanza per ogni cultura europea poiché rappresenta l’orizzonte esistenziale che partorì il Dasein ellenistico, il quale costituì da quel momento in avanti il fondamento della civiltà europea.

4. Il Logos latino

Con il passaggio dalla dominazione greca alla dominazione romana, il Dasein ellenistico si diffuse nel resto d’Europa.

L’antica Roma era in origine puramente apollinea. Tuttavia, conquistando la Grecia e lo spazio mediterraneo, essa conquistò il mondo ellenistico aprendosi alle sue influenze culturali, e ciò determinò un mutamento nella sua stessa struttura, un mutamento iniziato nella tarda Repubblica e che si andò consolidando con l’avvento della forma imperiale – il mitraismo insieme a molti altri aspetti dell’impero romano vennero mutuati proprio da queste fonti ellenistiche. La Roma puramente apollinea cedette il passo alla Roma ellenistica, ed è a questa cultura che in effetti facciamo comunemente riferimento quando discutiamo della tradizione romana.

Successivamente, il fenomeno ellenistico nella sua versione romana – potremmo definirlo ellenismo greco-iranico-romano – si espanse di pari passo con l’espansione dell’impero romano. Tutte le conquiste romane – nei Balcani, in Europa nordoccidentale, ecc. – nella loro dimensione culturale rappresentarono conquiste ellenistiche. Le legioni romane portarono l’ellenismo ovunque esse giunsero. Potremmo dire che culturalmente l’impero romano fu un impero ellenistico.

Dal punto di vista noologico, tale ellenismo era caratterizzato dal Logos di Apollo riflesso nella tradizione greca platonica, dal Logos di Dioniso riflesso nella tradizione greca misteriosofica eraclitea, dal Logos di Apollo nella sua versione iranica dualistica – con i concetti di tempo, di escatologia e di «guerra della luce» – e infine da un nuovo Logos di Cibele, presente nelle profondità di questo spazio esistenziale ma non rappresentato chiaramente. Possiamo rintracciare quest’ultimo forse in qualche profezia legata alla pietra nera di Pergamo appartenente a Cibele nel contesto delle guerre puniche [4], ma si tratta di aspetti marginali. Esisteva una sorta di culto matriarcale nell’impero romano ellenistico ma esso non era dominante. A dominare erano le culture apollinea greca, apollinea iranica e dionisiaca greca.

Questo spazio esistenziale ellenistico romano subì successivamente un processo di cristianizzazione. Il cristianesimo fu eretto su questa cultura e ne rappresentò la logica continuazione. E gli aspetti iranici vi giocarono un ruolo cruciale. Questo punto è molto importante, ma lo tratteremo nella prossima lezione, che sarà per l’appunto dedicata al Logos cristiano.

Tale forma di ellenismo romano, con la dominazione del Logos di Apollo unito ad alcuni tratti culturali dionisiaci, rappresenta precisamente il Logos latino [5], e si è preservato sostanzialmente intatto fino alla Modernità. Il Logos latino, ossia il Logos dell’Impero Romano, è romano nel suo livello più profondo, cui si aggiunge un soprastato ellenistico con alcuni aspetti dualistici correlati all’iranismo e al manicheismo – Agostino di Ippona fu manicheo, e il manicheismo è una forma di iranismo, il quale è di natura dualistica come abbiamo visto –, questi ultimi presenti a Roma in maniera più marcata che a Bisanzio, dove invece esisteva una forma di platonismo non dualistico – nell’Ortodossia identifichiamo una forma non dualistica di platonismo, al contrario del Cattolicesimo romano che ne rappresenta invece una dualistica.

Comunque sia, l’Impero romano cattolico si è basato sul Logos di Apollo, con aspetti più dualistici e forse anche meno dionisiaci di Bisanzio, ma nonostante ciò puramente indoeuropeo. E questo è stato il destino dell’Italia. Fino all’età contemporanea, essa ha mantenuto questo Logos, conservando questo specifico momento della Noomachìa italiana. L’Italia è stata il luogo dove ha avuto origine Roma, è stata il centro dell’Impero romano, è stata invasa da tribù germaniche indoeuropee, ha creato nuovi stati, ma rimanendo fedele a questa versione cristianizzata dell’ellenismo fino alla fine. L’ultima forma di questo Logos, in una versione molto modernizzata e in un certo senso perversa, è stata quella del Fascismo. Nel Fascismo vi sono stati certamente aspetti caricaturali della tradizione romana – tutto nella Modernità è caricaturale – ma allo stesso tempo esso ha rappresento la continuazione di questo approccio sostanzialmente apollineo, verticale, gerarchico. Il Fascismo ha rappresentato l’ultima nota di una medesima melodia. E prima di esso ci fu il Concilio di Trento, dove il Cattolicesimo rifiutò di intraprendere la via protestante. La difesa di questa identità apollinea romana ha rappresentato dunque il destino dell’orizzonte esistenziale italiano.

5. Il Logos celtico

Dal Medioevo in poi, i poli principali della costruzione dialettica della civiltà europea diventano Francia e Germania. Sono stati questi due poli infatti a determinare la semantica storica, politica e culturale dei processi più importanti della storia dell’Europa occidentale dell’ultimo mezzo millennio. Il prossimo orizzonte esistenziale europeo che andremo ad esaminare è dunque quello francese o più in generale della tradizione celtica.

La particolarità dell’orizzonte celtico è la potenza che in esso possiede il principio femminile, la potenza della Madre. La tradizione celtica affonda le sue radici nel matriarcato, è soggetta ad una forte attrazione verso un potente polo cibeliano. Così, il Cristianesimo celtico si caratterizza per una maggiore vicinanza ad aspetti femministi. Troviamo inoltre nella tradizione celtica molti miti e leggende riguardanti l’isola delle madri. La morte stessa viene considerata essere donna.  In parte, anche la concezione dell’amor cortese presso i cavalieri-poeti medievali si basa su questo tipo di tradizione celtica. A tal proposito, rimando alla lettura dell’autore francese Denis de Rougemont, il quale nella sua opera L’amore e l’Occidente [6] ha studiato le fonti e le radici della tradizione della glorificazione dell’amore nella cultura cavalleresca medievale. In sostanza abbiamo a che fare con influenze celtiche caratterizzate da una presenza molto forte della Grande Madre.

Il libro della Noomachìa dedicato alla cultura francese l’ho intitolato Il Logos francese: Morfeo e Melusina [7]. Studiando le strutture del Logos francese, sono giunto alla conclusione che le sue componenti principali sono le due figure fondamentali (Gestalt) di Orfeo e della fata dalle sembianze di drago semifemminile Melusina.

La figura di Orfeo, peraltro origine tracica, è molto importante nella cultura francese, poiché  l’idea ad esso correlata di discendere nel mezzo degli inferi per incontrarsi con il principio femminile che vi risiede – una sorta di «viaggio al centro della Terra» al fine di rintracciare la femminilità, la Madre – costituisce il destino della cultura francese, sia nei suoi aspetti migliori che in quelli deteriori. Anche la figura di Melusina assume una notevole rilevanza, dacché il paradigma della Modernità, nelle sue radici mitologiche e culturali, può essere ricondotto alla sua Gestalt.

6. Il Logos germanico

A differenza del Logos celtico, il Logos germanico [8] è di tipo apollineo ma ne costituisce una versione eroica, guerriera. Qui ritroviamo la lotta contro le forze ctoniche che caratterizza la tradizione iranica. Essere germanico significa essere in preda ad una perenne lotta: la guerra degli eroi germanici contro i giganti ctonici. Si tratta di una cultura di tipo paranoico nell’accezione che abbiamo dato a questo termine discutendo nella precedente lezione dei regimi dell’immaginario in Gilbert Durand, con tratti fortemente patriarcali e caratterizza da una spiccata aniliginia – le donne germaniche possiedono caratteristiche culturali più prossime agli uomini che in altre culture (si pensi alle valchirie, a Brunilde).

Abbiamo dunque a che fare con una società eroica destinata a combattere i Titani. Tuttavia i germanici, nel seguire il loro fato, combattono così sentitamente che non riescono a rilevare il momento in cui la loro lotta diventa a sua volta titanica. Essi sono così devoti alla loro causa, che travalicano i limiti naturali – iniziano a distrugge chiunque intorno a loro, e infine loro stessi – e ciò costituisce qualcosa di titanico. Questo aspetto titanico dello spirito germanico è evidente in Hitler: se creare la Grande Germania può essere di per sé una buona idea, non lo è invece il tentativo di annientare ogni cosa intorno a sé per poi, alla fine, distruggere la Germania stessa. C’è un termine greco per questo genere di attitudine: ὕβϱις (hybris), che significa sostanzialmente eccesso, assenza di misura. Ad esempio il guerriero che uccide i suoi nemici in battaglia ha un ethos eroico, ma se egli dopo averli uccisi si accanisce sui loro figli e violenta le loro donne, nello sforzo di proseguire questa guerra e di umiliare i nemici sconfitti, diviene preda della hybris. Si tratta sempre di una componente della guerra, ma non è più eroica.

Nel caso germanico osserviamo dunque uno spirito guerriero puramente apollineo che tuttavia a volte supera i suoi limiti, cosicché i nemici dei Titani diventano essi stessi titanici. Pur essendo combattenti del Cielo contro la Terra, essi iniziano a combatterla in modo ctonico. Questo è il destino e il Logos germanico.

Nella tradizione iranica vi è l’idea che l’esercito della luce sia più debole dell’esercito delle tenebre. E che la sconfitta dell’esercito della luce sia un elemento necessario per la resurrezione e la vittoria finale. Così, al fine di vincere, si dovrebbe sopportare una sconfitta. Detto altrimenti, se la luce dovesse morire, è preferibile perire con essa che vincere schierandosi con le tenebre, dacché l’ultima parola non l’avrà la forza delle tenebre ma la verità della luce. Ne consegue che se travalichiamo il confine, superiamo il limite, oltrepassiamo la misura lottando in modo titanico, saremo infine condannati alla disfatta e finiremo col distruggere ogni cosa, compresi noi stessi.

Un altro esempio di questo aspetto titanico del Logos germanico è rintracciabile nel Protestantesimo. L’idea originaria del Protestantesimo è che Cristo non rappresenta solo qualcosa proveniente dall’esterno, attinente al culto, ma è anzitutto qualcosa di interiore all’uomo, che proviene da dentro. Al cuore, nelle sue radici, questa idea originaria rimanda al platonismo così come alla mistica tedesca di Meister Eckhart. Ma coltivata senza misura, portata alla hybris, questa idea si è tradotta in qualcosa di completamente differente: individualismo, razionalismo, assenza di mistero, mancanza di umiltà al cospetto di Dio. Il Protestantesimo – in particolar modo il Calvinismo e altre forme radicali, a dirla tutta affatto cristiane – è così diventato la versione titanica del Cristianesimo, discostandosi da Cattolicesimo e Ortodossia che invece ne rappresentano forme apollinee.

7. La schizofrenia albionica

Veniamo all’Inghilterra e all’orizzonte britannico [9]. Dopo aver studiato la storia inglese, sono arrivato alla conclusione che non avrei potuto intitolare il libro della collana Noomachìa dedicato a questo spazio «il Logos britannico», poiché non ho in effetti rinvenuto alcun Logos. Ho al contrario scoperto una profonda e instabile dualità nella cultura inglese. In essa sono presenti sostanzialmente due poli. Il primo è il polo celtico rappresentato da Galles, Irlanda, Scozia, nazioni celtiche e dunque parte dell’orizzonte esistenziale celtico, caratterizzate dalla stessa fascinazione del principio femminile, dalla stessa idea di discesa agli inferi, dallo stesso romanticismo nero e così via. Ma gli elementi celtici non sono rintracciabili unicamente in Irlanda, Galles e Scozia; essi sono parte anche della società inglese e dell’identità inglese – ad esempio la dinastia degli Stuart era celtica – poiché in effetti la maggior parte della popolazione delle isole britanniche è costituita da celti nel corso del tempo germanizzati. Il secondo polo è dunque quello germanico.

La commistione di elementi celtici e germanici non ha però dato luogo ad una sintesi. Non si è pertanto generato un nuovo Logos o orizzonte esistenziale; è scaturita invece quella che potremmo definire schizofrenia o bipolarismo inglese. Abbiamo a che far con una commistione non bilanciata, malata, una confusione di elementi contraddittori che non ha generato un’identità unitaria ma una società bipolare, al suo interno molto problematica.

Un esempio diverso di relazione tra identità celtica e germanica è dato dalla Svizzera. In Svizzera vi è un sottile equilibrio tra queste due identità. Più che di sintesi, è corretto parlare di armonizzazione. Ciò che invece vediamo in Inghilterra è un’assoluta mancanza di armonia. Vi è una parte germanica piuttosto aggressiva accanto ad una parte celtica estremamente depressa. Esse non formano un ὅλος (hólos), una struttura olistica, ma un’entità bipolare con un profondo conflitto interiore che non può sanarsi internamente, e che dunque si espande all’esterno. Da ciò ha avuto origine l’impero britannico, la cui espansione è assimilabile all’esplosione di una miscela instabile fatta da due elementi tra loro contraddittori. Se il Logos celtico ha tratti più dionisiaci ma presenta anche molti aspetti del «doppio nero» di Dioniso, se il Logos germanico è apollineo ma c’è sempre la possibilità di una traslazione verso il campo titanico, la cultura inglese mette insieme in maniera estremamente conflittuale il doppio nero di Dioniso e gli aspetti titanici del Logos germanico, e li espande sul globo. Il risultato è l’espansione dell’impero britannico – capitalismo, imperialismo, liberalismo, ecc. –, cioè il contagio su scala globale di una malattia che non è stata e non può essere in alcun modo curata internamente.

Questa relazione instabile e contraddittoria alla base della schizofrenia inglese si manifesta nel principale mito inglese: la lotta tra il drago rosso e il drago bianco. I due draghi rappresentano rispettivamente le identità celtica e germanica, ed essi sono tuttora in battaglia dacché la fine dell’impero britannico non ha prodotto alcun cambiamento nella mente inglese, non l’ha curata. Essa resta malata, bipolare, e oggi come ieri si trova immersa in questo conflitto.

8. Il Nuovo Mondo

A ridosso del sedicesimo secolo gli europei hanno scoperto e iniziato a colonizzare il continente americano, da essi ribattezzato «Nuovo Mondo» [10]. Pertanto, sebbene Nordamerica e Sudamerica presentaino due Logoi diversi, in entrambi i casi abbiamo a che fare con Logoi che nella loro origine sono coloniali, poiché rappresentano proiezioni transatlantiche dell’Europa che hanno trasformato i tratti originari delle culture locali.

Nello specifico, in Sudamerica troviamo oggi una propaggine del Logos latino, dal momento che i suoi territori furono conquistati principalmente da Spagna e Portogallo, latori insieme all’Italia precisamente del Logos latino. Il Logos iberoamericano presenta infatti una struttura apollinea, che tuttavia ha inglobato le popolazioni pre-europee non senza problemi ma generando comunque una sintesi.

Lo stesso non può dirsi per il Nordamerica. Qui gli anglosassoni hanno portato con sé la loro malattia. Come conseguenza, anziché integrare nella loro società i popoli autoctoni, essi hanno iniziato a distruggere gli indiani e hanno dato vita ad una società nordamericana malata, per molti aspetti affetta dalle stesse problematiche anglosassoni. Tuttavia, a differenza della Gran Bretagna, qui possiamo individuare un Logos.

Il Logos nordamericano può essere identificato nella filosofia pragmatica, la quale costituisce la principale corrente filosofica del Nordamerica. Alla base di questa filosofia vi è l’idea che non esista una conoscenza normativa circa il soggetto e l’oggetto, ma che esista solo la loro interazione nella pratica. Volendo semplificare, non esiste la prescrizione di ciò che il soggetto o l’oggetto dovrebbero essere – cosa dovrebbe essere la materia, la natura, il cosmo, o l’anima dell’uomo. Puoi teoricamente fingere di essere chi vuoi, anche Elvis Presley o un marziano. Solo se qualcosa funziona, esso è. Se funziona, ottimo; se non funziona, peggio per te, sarà per la prossima volta. I filosofi americani pragmatici credono solo in ciò che costituisce l’interazione pratica. Da ciò discende la libertà pragmatica di considerare il mondo in qualsiasi modo vogliamo. Se ad esempio desideriamo costruire una macchina del tempo, siamo liberi di farlo perché nel costruirla succederà qualcosa; magari non viaggeremo nel tempo, ma probabilmente faremo qualche scoperta scientifica, o acquisiremo una conoscenza che si rivelerà utile in campo commerciale – magari troveremo un nuovo elemento per costruire una nuova lattina di Coca Cola! Si è completamente liberi di tentare ciò che si vuole poiché non ci sono limitazioni di sorta relative al soggetto o all’oggetto, o meglio non esistono affatto soggetto e oggetto, esiste solo l’interazione tra loro.

Questo è il Logos nordamericano. Tuttavia oggi, nell’era della globalizzazione, stiamo assistendo alla sua scomparsa. La globalizzazione di cui l’America è promotrice rappresenta infatti una forma di colonizzazione, ma il colonialismo ha in sé uno scopo, un fine ultimo, una prescrizione, e ciò snatura l’America stessa poiché il Logos americano pragmatico non può tollerare alcun fine o prescrizione. In prospettiva pragmatica, si può tentare di tutto, qualcosa accadrà, qualcos’altro no, ma non si può prescrivere nulla a nessuno. Il politically correct ad esempio, con i suoi dettami su ciò che si può e non si può dire, è antipragmatico e dunque antiamericano, poiché dal punto di vista pragmatico si deve poter essere liberi di dire qualsiasi cosa e di agire in qualsiasi modo si preferisce, dal momento che non esiste nulla internamente o esternamente – come ho già detto, non esistono concezioni normative su soggetto e oggetto ma solo la loro interazione pratica. Questo è il puro Logos nordamericano, qualcosa certamente di diverso rispetto all’America globalista di oggi.

9. Il Logos slavo

Al termine di questa analisi noologica per sommi capi dei differenti orizzonti esistenziali costituenti la civiltà europea, ci resta da trattare lo spazio slavo.

Anzitutto, gli slavi costituiscono senza dubbio una società indoeuropea; nell’ultimo secolo i popoli slavi hanno subito una grande influenza da parte dell’Occidente, pertanto in parte condividono con tedeschi, francesi, britannici, greci, latini, alcune problematiche metafisiche, ma in parte posseggono caratteristiche peculiari.

Cosa possiamo dire sul Logos slavo? Esso è chiaramente parte dello spazio culturale ellenistico, così come lo sono tutti gli altri Logoi che abbiamo descritto, i quali scaturiscono tutti dal cristianesimo ellenistico di cui rappresentano differenti combinazioni; tuttavia, è allo stesso tempo evidente che il Logos slavo a differenza di altri Logoi non costituisce qualcosa di compiuto. Si tratta cioè di un Logos aperto, e questo costituisce una sfida per noi slavi.

Per quanto concerne il Logos russo, o meglio la sua possibilità, ad esso sono dedicati gli ultimi libri della collana Noomachìa (ad oggi non tutti ancora pubblicati) [11], ma ho studiato anche in altri libri esterni al progetto Noomachìa la possibilità di una filosofia russa, basandomi su Heidegger [12]. Circa il Logos slavo esteuropeo [13], esso è sicuramente possibile e in alcuni momenti storici gli slavi vi si sono avvicinati – ad esempio sotto l’imperatore serbo Stefano Dušan, nel Primo e nel Secondo Impero Bulgaro, in alcuni frangenti nella Confederazione polacco-lituana, così come nella Grande Moravia, in alcune tendenze filosofiche particolari – ma noi slavi finora non siamo mai riusciti a raggiungere la versione definitiva di questo Logos slavo, né in Europa Orientale né in Russia.

L’orizzonte esistenziale slavo non è ultimato, non ha ricevuto la sua formalizzazione definitiva, e questa forse è la sfida storica che ci si prospetta. I filosofi slavofili hanno osservato che noi slavi abbiamo fatto il nostro ingresso nella storia più tardi rispetto ad altri popoli, cosicché mentre gli enormi edifici della filosofia tedesca, francese, romana, greca, ecc., sono già stati eretti insieme alle relative storie politiche, la nostra filosofia è ancora relativamente acerba. Vi è stata di recente una grande esplosione di ricchezza intellettuale da parte di alcuni pensatori di grande valore come ad esempio il russo Dostoevskij, ma tutto questo ha rappresentato più la preannunciazione del Logos che il Logos stesso. Ce ne rendiamo perfettamente quando studiamo il nostro passato; esso è pieno di imprese eroiche, ma in nessuna di esse si manifesta il Logos slavo nella sua forma definitiva. Personaggi come San Sava, anticipatore della missione storica serba, o Ivan il Terribile in Russia, hanno costituito una sorta di anticipazione del Logos slavo.

Questo rende per noi slavi più difficile descrivere il nostro Logos che studiare i Logoi di altre culture, poiché tale attività richiede un’analisi introspettiva della nostra stessa cultura molto profonda e impegnativa.

Volendo comunque abbozzare una descrizione sommaria del possibile ma ancora incompiuto Logos slavo, possiamo affermare che gli slavi presentano tratti marcatamente dionisiaci e cibeliani, per la vicinanza al polo del matriarcato nei Balcani. Il contadino europeo è infatti di origine balcanica, come abbiamo visto all’inizio di questa lezione, e di questo aspetto bisogna tenere conto. Come pure occorre riconoscere che in alcuni secoli noi slavi abbiamo subito l’influenza di altri orizzonti esistenziali, i quali hanno definito molti aspetti della nostra coscienza attuale. Questo per inciso rende lo studio approfondito degli orizzonti esistenziali che ci circondano una condizione necessaria affinché noi slavi possiamo comprendere dove ci troviamo, con chi ci relazioniamo – chi va considerato amico e chi nemico, chi per noi è un salvatore e chi un oppressore – e, la cosa più importante, chi siamo dacché senza conoscere gli altri non possiamo conoscere noi stessi.

Tuttavia, nonostante le influenze esterne, abbiamo preservato la nostra identità, abbiamo mantenuto il cuore del nostro orizzonte esistenziale slavo sostanzialmente inalterato, e questa è una verità scientifica. Forse esso è sepolto nelle profondità, ma esiste e batte ancora. E la tenace resistenza serba alla globalizzazione ne è stato un esempio. Sì, essa si è risolta con una sconfitta. Come pure la battaglia per il Kosovo è stata persa. Ma è su queste sconfitte che verrà costruita la vittoria finale; è sulla capacità di resistere che si fonderà la futura resurrezione.

In sincerità, sono molto pessimistico per quanto concerne lo stato della società slava moderna, ma allo stesso tempo nutro molto ottimismo in relazione alla possibilità di questo Logos slavo. Esso è ancora incompiuto, ma ciò costituisce la sfida principale per una nuova generazione dell’élite intellettuale slava, che è chiamata a compiere il passo finale portando a compimento tutta l’esperienza istoriale della nostra presenza ontologica nel mondo.

[1] Di seguito, l’indice di tutte le lezioni precedenti di Introduzione alla Noomachìa:
• Lezione 1. Noologia https://www.geopolitica.ru/it/article/introduzione-noomachia-lezione-1-noologia-la-disciplina-filosofica-delle-strutture
• Lezione 2. Geosofia https://www.geopolitica.ru/it/article/introduzione-noomachia-lezione-2-geosofia
• Lezione 3. Il Logos della civiltà indoeuropea https://www.geopolitica.ru/it/article/introduzione-noomachia-lezione-3-il-logos-della-civilta-indoeuropea
• Lezione 4. Il Logos di Cibele https://www.geopolitica.ru/it/article/il-logos-di-cibele
• Lezione 5. Il Logos di Dioniso https://www.geopolitica.ru/it/article/introduzione-noomachia-lezione-5-il-logos-di-dioniso
[2] Aleksandr Dugin, Noomahija: vojny uma. Jellinskij Logos. Dolina istiny (Noomachìa: guerra della mente. Il Logos ellenico. La valle della verità), Academic Project, Mosca 2016.
[3] Id., Noomahija: vojny uma. Iranskij Logos. Svetovaja Vojna i Kul’tura ozhidanija (Noomachìa: guerra della mente. Il Logos iranico. Guerra della Luce e Cultura dell’Attesa), Academic Project, Mosca 2016.
[4] Cfr. Giovanni Filoramo, La croce e il potere, Editori Laterza, 2011: «La politica romana, guidata dal senato, era profondamente legata, secondo modelli ampiamente diffusi, alla pratica della divinazione. I principali strumenti erano all’epoca i Libri sibillini, di origine etrusca. In linea con tale politica, quando la guerra contro il generale dei Cartaginesi, Annibale, stava prendendo una brutta piega, il senato scoprì una profezia che predicava che un invasore straniero si sarebbe ritirato dall’Italia se la Grande Madre dall’Ida fosse stata portata a Roma. Un’ambasceria di cinque persone fu dunque inviata a Pessinunte (o forse a Pergamo) per trasferire la pietra nera di forma irregolare simbolo della dea. Il simulacro fu ricevuto con grandi onori da P. Scipione Nasica e posto all’interno dei confini della città nel tempio della Vittoria.» [NdT]
[5] Aleksandr Dugin, Noomahija: vojny uma. Latinskij logos. Solnce i krest (Noomachìa: guerra della mente. Il Logos latino. Il Sole e la Croce), Academic Project, Mosca 2016.
[6] Denis de Rougemont, L’Amour et l’Occident, Plon, Parigi 1939. Trad. italiana: L’Amore e l’Occidente, BUR, 1998.
[7] Aleksandr Dugin, Noomahija: vojny uma. Francuzskij Logos. Orfej i Meljuzina (Noomachìa: guerra della mente. Il Logos francese. Orfeo e Melusina), Academic Project, Mosca 2015.
[8] Id., Noomahija: vojny uma. Germanskij Logos. Chelovek apofaticheskij (Noomachìa: guerra della mente. Il Logos germanico. L’Uomo apofatico), Academic Project, Mosca 2015.
[9] Id., Noomahija: vojny uma. Anglija ili Britanija? Morskaja missija i pozitivnyj sub’ekt (Noomachìa: guerra della mente. Inghilterra o Gran Bretagna? Missione marittima e soggetto positivo), Academic Project, Mosca 2015.
[10] Id., Noomahija: vojny uma. Civilizacii granic. Civilizacii Novogo Sveta (Noomachìa: guerra della mente. Civiltà di frontiera. Civiltà del Nuovo Mondo), Academic Project, Mosca 2017.
[11] Id., Noomahija: vojny uma. Russkij Logos I. Carstvo Zemli. Struktura russkoj identichnosti (Noomachìa: guerra della mente. Logos russo I. Regno della Terra. Struttura dell’identità russa), Academic Project, 2019. Id., Noomahija: vojny uma. Russkij Logos II. Russkij istorial. Narod i gosudarstvo v poiskah sub’ekta (Noomachìa: guerra della mente. Logos russo II. Istoriale russo. Popolo e Stato in cerca del soggetto). Id., Noomahija: vojny uma. Russkij Logos III, (Noomachìa: guerra della mente. Logos russo III), prossimamente (2020).
[12] Id., Martin Hajdegger: vozmozhnost’ russkoj filosofii (Martin Heidegger: la possibilità di una filosofia russa), Academic Project, Mosca 2011.
[13] Id., Noomahija: vojny uma. Vostochnaja Evropa. Slavjanskij Logos. Balkanskaja Nav’ i sarmatskij stil’ (Noomachìa: guerra della mente. Europa orientale. Logos slavo. Nav balcanico e stile sarmata), Academic Project, Mosca 2018.