Il Welfare, la chiave di tutto
Nel nostro Paese si va pericolosamente allargando l’area del disagio e della povertà.
Questo allargamento è particolarmente intenso nei periodi, come l’attuale, di diffusa crisi economica la quale, pertanto, si ripercuote di più sui ceti già disagiati. È chiaro allora che c’è qualcosa che non funziona nel nostro meccanismo di produzione e distribuzione del reddito se è vero, come è vero, che si verifica esattamente il contrario di quel che dovrebbe accadere: la crisi, infatti, dovrebbe mordere di più i ceti già favoriti (che perderebbero così in tutto o in parte solo il superfluo) e dovrebbe proteggere i meno abbienti evitando che le risorse su cui essi possono contare scendano al di sotto del livello di sussistenza.
Questi squilibri sono ormai insostenibili e chiamano in causa tutti coloro che credono nei doveri di cittadinanza e sentono cioè il dovere di non assistere passivamente al crescente disagio di molti loro simili ma di fare qualcosa.
Sotto questo aspetto non vi è sostanziale differenza tra chi s’ispira ai valori della cultura cristiana e chi s’ispira ai valori di una bene intesa cultura laica perché entrambe le culture, sia pur con motivazioni e per strade in parte diverse, conducono alla medesima conclusione.
Pur avendo fatto molto nei decenni scorsi non ci siamo mai posti con la dovuta chiarezza il problema del posto che deve avere la spesa del Welfare nella gerarchia della spesa pubblica.
Ne è scaturito un sistema che potremmo definire residuale nel senso che le spese per il Welfare vengono calibrate non tanto in funzione delle necessità delle persone ma in funzione dell’esigenza di tenere in qualche modo in ordine i conti pubblici: con il prevedibile risultato che spesso sono proprio le spese per il Welfare ad essere tagliate all’insorgere dei primi squilibri dei conti pubblici.
Non possiamo continuare così. Chi vuole una società coesa e solidale deve adoperarsi perché il Welfare sia costruito con chiarezza e – per usare un termine di moda – con trasparenza, affinché sia chiaro che cosa si fa per i cittadini effettivamente bisognosi e quale posto la relativa spesa occupa nel novero delle spese pubbliche.
Come si può procedere per costruire una rete protettiva a favore di chi ha veramente bisogno?
Dobbiamo crescere di più perché la crescita crea occupazione e, come sappiamo tutti, l’occupazione è il primo e più sicuro modo per contrastare il disagio sociale. Inoltre la crescita genera, a parità di altre condizioni, un aumento delle risorse statali con cui si può finanziare il Welfare. Per crescere di più dobbiamo accantonare l’idea che la ripresa è legata a fattori esogeni sui quali non possiamo agire sicché non ci resta altro da fare che disporsi in fiduciosa attesa della ripresa. È una strada sbagliata, questa, che come l’esperienza degli ultimi anni insegna ci porta a crescere sistematicamente meno dei nostri partner europei e comunque meno di quel che dovremmo e potremmo. Serve il coraggio di dare un diverso ruolo allo Stato con buona pace di quelli che pregiudizialmente sono contrari sempre e comunque all’intervento pubblico.
Dobbiamo, in particolare:
- far leva sui punti di forza del nostro Paese (e non sono pochi);
- renderci conto del valore insostituibile dell’impresa e fare nei suoi confronti, senza tentennamenti, un’adeguata politica.
- ridiscutere su base europea la logica del Welfare.
Su quest’ultimo punto è opportuno riconsiderare le parole, ad esempio, del Presidente Putin quando nel 2013 affermò che la responsabilità della crisi economica si concentra anche sulla deriva del Welfare europeo, piuttosto che sulla messa in discussione del principio dello Stato sociale.
”La tutela della popolazione, la sua protezione sociale è una delle funzioni chiave dello stato. E l’eventuale rinuncia a questo mette a repentaglio la stessa esistenza dello stato come tale. Lo stato orientato socialmente non è un capriccio, ma una necessità. Il Welfare è fondamentale nella sua attitudine verso la popolazione”.
In questo quadro si può procedere al riordinamento del Welfare ispirato a chiari criteri di razionalità, efficacia, efficienza, semplicità ed equità. Probabilmente il riordinamento del Welfare imporrà anche l’esigenza di qualche cambiamento nella struttura del bilancio statale allo scopo di dare alle spese per il Welfare (o a talune di esse) uno dei primi posti nella gerarchia della spesa pubblica e per evitare che esse possano essere tagliate per riportare i conti in ordine. Il Welfare deve dare a chi veramente ha bisogno e lo deve dare con semplicità senza procedure macchinose e senza appiccicare addosso al destinatario l’etichetta di povero.