La «sudamericanizzazione» della malavita napoletana

21.09.2016
Non più clan, ma bande e «paranze». Ma c'è chi ancora non ammette che la camorra è stata sconfitta

La camorra, come l'abbiamo conosciuta per trent'anni e oltre, non esiste più. Malgrado i professionisti del pessimismo giudiziario e i portatori di interessi editoriali e di consenso, non si può negare che l'autorità giudiziaria abbia smantellato le organizzazioni criminali campane con una perseveranza e risultati ammirevoli.

Non c'è oggi gruppo malavitoso che possa essere paragonato alla Nco di Raffaele Cutolo o alla Nf di Carmine Alfieri. Sono stati consegnati alla memorialistica processuale clan come i Mariano dei Quartieri Spagnoli, i Licciardi di Secondigliano, i Di Lauro di Scampia, i Contini del Vasto-Arenaccia, i Misso del rione Sanità, i Giuliano di Forcella, i Mazzarella di San Giovanni a Teduccio, gli Aprea di Barra, i Lo Russo di Miano, i Baratto di Fuorigrotta, i Lago di Pianura, i De Luca Bossa e i Sarno di Ponticelli. Lo stesso vale per i Casalesi della provincia di Caserta

La lista sarebbe ancora lunga ma nulla aggiungerebbe all'analisi in termini di contenuti.

Resistono metastasi difficili da raschiare ma il tumore, la massa informe sono stati estratti con interventi chirurgici diretti ed efficaci. Ci vorrà un altro po', soprattutto per colpire gli ingranaggi del riciclaggio che hanno consentito a queste cosche una perfetta mimetizzazione nel già disastrato tessuto produttivo e socio-economico locale; ma le indagini sono già a buon punto.

Che cosa resta, ora?

Questo è probabilmente l'aspetto su cui meno si sono concentrate le Istituzioni quando hanno ingaggiato la battaglia contro la Bestia. Perché non serve solo arare, è necessario anche seminare.

In mancanza di una struttura mafiosa in grado di esercitare il controllo militare del territorio in maniera specifica e capillare, assistiamo a Napoli a una «sudamericanizzazione» del crimine. Non esistono più clan strutturati e gerarchicamente organizzati, ma esistono e proliferano bande di giovanissimi che controllano pochi isolati o, addirittura, una singola strada. La banda più famosa di questi tempi è stata soprannominata da un giudice, con evidente fiuto letterario, la «paranza dei bambini» perché composta da ragazzini poco più che maggiorenni. Un'altra piccola ma agguerrita formazione è nota col nickname di «Barbudos». Chi ne fa parte porta la barba hipster e sfoggia singolari tatuaggi.

Le favelas napoletane - le Vele di Scampia, i bipiani di Ponticelli, i vicoli sporchi e oscuri del centro storico - sono il terreno perfetto per queste «monadi» criminali che, come atomi eccitati, collidono fin troppo spesso tra loro. Sprigionando quel disordine pubblico (sparatorie, agguati, «stese» e quant'altro capita di leggere sui quotidiani di questi mesi) che ci restituisce l'immagine di una camorra dura a morire.

Ma questa non è camorra nel senso ortodosso del termine.

La Bestia è stata abbattuta. Solo che ora ci sono i figlioletti che fanno danni. Forse, più danni ancora.

Avrebbero potuto e dovuto pensarci che sarebbe andata a finire così, nelle stanze dei bottoni. Non era difficile da immaginare l'esito della guerra giudiziaria. Solo che né l'Amministrazione centrale né quelle periferiche hanno ritenuto utile affiancare allo strumento investigativo e giudiziario un serio programma di riconversione sociale e scolastica sul territorio. Il risultato - usando un eufemismo brutale – è che, adesso, al posto di dieci squali nella vasca, abbiamo un migliaio di piranha.