Merlino e le visioni del Santo Graal

28.04.2023

«La Terra di Mezzo è la cartografia dell’anima, senza bussola né punti cardinali né direzione certa. Un solo orientamento: la preghiera profonda, l’adorazione, la Divina Presenza. Essa ha due poli: le montagne della libertà e gli oceani della schiavitù. In mezzo infinite foreste dove ardono tentazioni e virtù per gli umani, e infine la grande prateria dove nel suo centro avviene la mischia tra il bene e il male, lotta acuta tra Angeli e demoni, in cui solo pochi eletti umani con le ali, Soggetti Radicali, possono ivi guerreggiare». (Merlino)

La visione del Golgota

     In una notte di tempesta, seduto accanto al fuoco, dentro una grotta nella foresta di Broceliande, Merlino ebbe la prima visione del Santo Graal e, colpito dalla tremenda vista della crocifissione del Cristo, subito innalzò una luttuosa nenia nella lingua oscura dei suoi padri, salmodiando in modo sommesso ciò che con gli occhi della sua anima egli stava vedendo, tra le pieghe oscure e luminose della Terra di Mezzo:

     «Ti ho visto, mio Signore Gesù, appeso a tre uncini, ai terribili chiodi della tua Passione, abbandonato al duro legno della Croce, ruvido e nodoso, come un cencio d’uomo sanguinante, perso nel mare del dolore e nell’oscurità della morte. Occultata hai la tua divinità nell’annientamento umano dell’offerta cruenta, dove spoglio di tutto hai dato la Vita per noi, per riscattarci dal dominio della notte di Satana che affliggeva il tempo. Tutto ora è finito, l’odio dei Giudei, la derisione dei soldati Samaritani al soldo di Pilato, lo stupore del centurione romano che proclama la tua divinità, l’urlo odiatore della folla, le provocazioni dei sacerdoti e dei farisei, la compassione del Cireneo e della Veronica, il dolore di Michele e dei tuoi Angeli. Giuseppe d’Arimatea è corso da Pilato a chiedere il tuo corpo mentre Nicodemo lo aspetta col prezioso unguento per seppellirlo nel Santo Sepolcro, la folla se n’è andata battendosi il petto in segno di pentimento, così i soldati e i capi religiosi terrorizzati dal terremoto che ha squarciato il velo del Tempio da cima a fondo. Ora, non c’è più nessuno sul monte del Golgota, sul Calvario brutale, tranne tua Madre con Giovanni e Maria Maddalena che la sostengono nel suo silente e acuto mortale dolore, dove lei muore senza morire: “…e anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2,35) – accanto alle spoglie di Te suo Figlio morto, mentre il cielo sempre più carico di oscure nuvole e vento tempestoso comincia a gocciolare una lacrimante pioggia…»

     Poi Merlino vide l’Arcangelo Michele col volto afflitto, che nel silenzio più assoluto della terra e del cielo sfilò dal suo mantello il Santo Graal, una grande coppa d’oro tempestata di diamanti, zaffiri, rubini che avvolge preziosamente il più modesto calice dell’Ultima Cena e così facendo lo accostò al sacro costato, mentre i Serafini versavano in esso tutte le gocce di sangue sgorgate dal corpo di Nostro Signore, da loro raccolte in coppe più piccole durante tutto il percorso della Passione, dal Getsemani dove Cristo orante sudò sangue alla flagellazione, dalla coronazione di spine alla sua crocifissione. Lo Spirito Santo discese poi sul Santo Graal, mentre la Vergine Maria cadendo in ginocchio davanti al sangue di suo Figlio aprì le braccia verso l’alto in segno di immolazione e disse al suo Sposo: “Vai mio Signore, vai, e portalo verso dove Tu sai!”. E lo Spirito di Dio, alla voce della Sposa s’innalzò col Sacro Calice e se ne andò verso nord-ovest nelle foreste d’Europa, in luogo puro e non contaminato dalle grida furenti delle guerre e dai clamori dissoluti dell’Urbe, delle città, dei borghi e dei villaggi di un Impero che aveva superato la vampa fiammante di umana gloria del suo solstizio estivo e ora lentamente, tra vittorie, illusioni e sconfitte sempre più cocenti, declinava lentamente verso l’autunno di sua vita come un vecchio bisognoso dell’aiuto di Galli, Germani e Foederati per ridar vigore al sogno di Roma caput mundi e dell’Imperium che non può avere confini.

     Merlino, prostrato dal dolore della Passione del Signore che aveva attraversato in lungo e in largo la sua anima arrecandogli spasimo, mestizia e compassione, alla fine esausto, si addormentò seduto accanto al fuoco che lentamente tramutava in vivida e crepitante brace. Un’aquila nera, un lupo maschio, un gufo reale e un orso femmina entrarono a vigilare il vegliardo mettendosi a quadrato intorno a lui, scrutando con l’olfatto e i loro forti occhi le potenziali insidie della notte oscura.

E vidi il Bardo d’Eurasia

     La morte della figlia del Bardo d’Eurasia sortì come un fulmine a ciel sereno nella vita di Merlino. Pur non conoscendoli di persona, Merlino era molto affezionato al Bardo d’Eurasia e alla figlia Dasha e fece lutto profondo e reale per lui alla morte cruenta di lei. In cuor suo, Merlino pensava all’acerbo dolore del Bardo, che per lui doveva esser più sofferto del rito dello scuoio o dell’immersione nell’olio bollente. Perché a morire ora non era il suo corpo ma la sua stessa anima di cui Dasha non era un’appendice o una parte rilevante, ma era a tutti gli effetti la metà dell’anima del Bardo e la metà del suo cuore. L’interiorità stoica di Merlino affermava impassibilmente: “C’est la guerre!”, ma poi la sua compassione per l’acerbità del dolore provata dal Bardo si scioglieva in lacrime di pietà. Ma nell’uno e nell’altro caso, egli più che pregare per Dasha che sapeva essere già in Cielo felice davanti al trono di Dio come tutti i martiri, mandava continue benedizioni al padre, il Bardo d’Eurasia, pregando intensamente per lui, affinchè Dio attraverso questa terribile prova lo rendesse capostipite di una grande schiera di Soggetti Radicali di cui l’Arcangelo Michele, capo dell’esercito del Signore, è il loro supremo Comandante.

     Merlino sapeva che il Bardo alla morte della figlia avrebbe fortemente vacillato ma non sarebbe infine crollato, anche grazie al suo carattere intellettualmente e sentimentalmente intransigente nonché votato alla morte, due qualità tipiche dei Russi d’antico stampo, di cui il Bardo era singolare e vivente incarnazione. Tuttavia esisteva un rischio reale, e consisteva nel fatto che questa prova luttuosa potesse piegare il Bardo per un tempo indefinito, difficile a quantificare, proprio per la relazione simbiotica che egli aveva spiritualmente con la figlia che fin dalla sua più tenera età era stata parte integrante ed attiva nel percorso di conversione dello stesso Bardo alla religione Cristiana Ortodossa nonché alla visione metapolitica propria dell’Eurasiatismo, e che fino al momento della sua morte aveva sostenuto e condiviso la lotta di suo padre. Pensava a queste cose e a molto altro Merlino, raccomandando nella preghiera il Bardo e sua moglie Natalia ogni volta che la sua attenzione si posava sul loro immenso dolore, immergendoli nella tenerezza della Madre di Dio la Vergine Maria, nella preghiera del Trisagion e nel Sanctus! Sanctus! Sanctus! dei Serafini.

     Un giorno, immerso nella lode del Sanctus, Merlino pareva emettere dal suo corpo spirituale fumo d’incenso e poi nuvole d’incenso, finché anch’egli in spirito divenne incenso davanti all’invisibile gloria di Dio. Davanti a lui apparve allora nella prima oscurità di un tramonto nuvoloso, il Mont Saint-Michel di Normandia. Nella lingua di terra che collega il Monte alla terraferma ormai coperta dall’alta marea, si aprì uno squarcio verticale nella crosta terrestre il quale scendeva nel profondo della Terra, e lì Merlino vide il Bardo d’Eurasia denudato e immerso nella sofferenza per la morte della figlia. I suoi piedi ardevano nel fuoco e nel magma senza consumarsi, mentre la sua anima provava un infinito e insopportabile dolore che il Bardo emetteva dalla bocca con lamento e pianto profondi. Poi Merlino, senza che avesse il tempo di pronunciare i Kyrie eleison per l’amico, vide l’Arcangelo Michele dall’alto rovesciare il sangue del Santo Graal sul capo del Bardo d’Eurasia, che lavò così tutto il suo corpo dolorante, la sua mente confusa, la sua anima afflitta e spense fiamme e lava sottostanti. Tuttavia il Sacro Calice non si svuotò, restò ugualmente pieno e colmo del sangue di Cristo. Il Bardo allora ritrovò un’immensa serenità, molto più grande di quei momenti di gioia che aveva condiviso in vita con Dasha nelle campagne e nelle foreste della Russia o nelle intense affinità dei loro dialoghi intellettuali.

     Ora tutto era diverso, il Bardo conobbe la pace di Dio e, improvvisamente, si trovò tra le sue mani il Santo Graal. Preso da un fremito e impossibilitato a inginocchiarsi a causa delle strettezze del luogo in cui era ancora immerso, il Bardo chiuse gli occhi e chinò il capo nella metania di adorazione verso il Sacro Calice che teneva a sè ben stretto. Ma una voce gli intimò di guardare dentro e aperti gli occhi, egli guardando nelle profondità del Sangue del Cristo che teneva tra le mani, vide il volto beato di sua figlia che gli sorrideva felice e lo incoraggiava, e così egli entrò nella beatitudine della grande consolazione e ritrovò finalmente la felicità. Merlino allora vide il Bardo sospeso in mezzo al mare di Normandia con il Mont Saint-Michel alle sue spalle, riconsegnare all’Arcangelo Michele il Santo Graal della Passione che l’Arcangelo ripose nel posto che solo il Paraclito conosce, mentre il Bardo d’Eurasia pieno di Spirito Santo levò al Cielo un’arcana glossolalia, finché il suo angelo guardiano lo prese e lo condusse in spirito verso la Santa Madre Russia sua terra natale. Poi la visione scomparve e Merlino si ritrovò a raccogliere rami di vischio nei boschi dell’Alta Garfagnana.

Il Cervo Bianco

     Merlino vagava ramingo tra le abetaie di Camaldoli e ogni tanto, scalando il muro dell’Eremo al suono della campana, spiava gli eremiti che si recavano solenni alla liturgia nelle loro cocolle magne – con le maniche che sembran ali d’angelo – verso la Chiesa posta al centro delle loro vetuste celle, casette in pietra grezza con giardino murato che tanto attraggono ancora la sua curiosità pur sapendo bene egli come son fatte dentro, perché nella sua gioventù ci aveva dimorato all’incirca un paio d’anni. Il druido ama fiutare la resina che cola generosa dagli abeti, aspirare il profumo delle erbe aromatiche, dei muschi e dei licheni che s’avvertono al tepore del sole o quando sono schiacciati dalle suole dei suoi scarponi. I pensieri di Merlino in genere non sono mai numerosi, anzi, egli spesso ordinariamente vive in uno stato di perenne vacuità, di adorazione silenziosa, di assenza nel percepire sè stesso, nel silenzio più totale, lasciandosi assorbire dalla natura circostante e forse, anche per questo motivo, la sua anima è sempre vigile e pronta nel ricever le divine visioni. Ma in quel frangente, nel suo girovagare senza meta nella foresta egli stava pensando, e il suo pensiero più ricorrente e finanche ossessivo era quello sul futuro d’Europa, che egli considerava la sua Patria Terra dall’Atlantico portoghese fino agli Urali russi, ma che egli abbracciava con amore fino all’Eurasia, sino al limes dello stretto di Bering in una visione comune.

     «Che ne sarà della mia Terra?» – disse agitandosi nervoso – «Della sua Fede, della sua Tradizione filosofica e teologica, delle sue genti, meravigliosi popoli ed etnie che da millenni hanno costellato questo continente con la loro civiltà e la loro unita diversità sotto l’egida di Roma, di Bisanzio, di Mosca, del Sacro Romano Impero e dei Regni cristiani?» – aggiunse stizzito, cercando una risposta dall’Alto.

     In quel mentre gli apparve un cervo bianco… tra le sue corna compariva un fulgore di chiarissima luce in cui traspariva rarefatta la figura di un calice sormontato da una croce. Il cervo si mosse facendo capire a Merlino di seguirlo con i gesti del capo. Camminarono per circa tre ore, dall’ora sesta all’ora nona, fino a quando giunti su un’altura diradata tra cespugli di mirtilli e basse nuvole il cervo si fermò e stando in piedi divenne lucentissimo, fino a che scomparve e poi comparve il Santo Graal, al vedere il quale Merlino cadde atterrito e prono ai suoi piedi. Alla sua destra stava l’Arcangelo Michele e tutt’intorno la coorte dei Serafini che cantavano: «Santo! Santo! Santo il Signore onnipotente che era, che è e che viene!». Poi gli Angeli scomparvero, Merlino si trovò di fronte al Sacro Calice e si coprì il volto per rispetto ma il Signore gli disse: «Figlio della foresta, guardami!». Merlino alzò turbato gli occhi e vide il Cristo, vide Gesù che stava seduto su un cavallo bianco in armatura guerriera davanti a un pozzo. Era il pozzo di Sichem e lo vide nella sua fattura originale, così come lo avevano creato le mani operose del patriarca Giacobbe. Sul suo mantello e sulla gamba destra, Nostro Signore portava una scritta: Rex regum et Dominus dominantium. Guardava nel fondo del pozzo e da lì vedeva tutto ciò che stava martoriando la Terra, il disfacimento dell’Europa con lo spirito di Davos e dell’immigrazione selvaggia, della open society, del transumanesimo, dei nuovi schiavisti-scafisti negrieri e delle ONG loro alleate. Vide la corruzione dei governi, delle società, delle famiglie e dei bambini che venivano violentati nella loro purezza con l’ideologia gender, vide la pedofilia, la pornografia, il cybersuicidio e ogni genere d’impudicizia. Poi guardando intensamente Merlino, quasi fosse responsabile di un futuro tremendo e glorioso per la sua Terra d’Europa, gli disse:

     «Ancora un poco, un poco appena, fino al tempo in cui colui che si deve rivelare si rivelerà e dopo aver fatto scempio sulla Terra con la sua iniquità si innalzerà nei cieli come un dio e allora la mia spada lo sterminerà insieme al profeta e alla bestia che gli daranno potere e  lo adoreranno».

     Disse anche: «A Te o Merlino, ho donato nel corso degli anni diverse spade: per prima la spada spiedo degli Apostoli Pietro e Paolo, quando ti allontanasti dal Monte della solitudine. Poi, dalle mani di Giovanni Paolo Santo Pontefice, ti diedi la spada del serpente del deserto, nel giorno in cui lui ti investì cavaliere in Piazza San Pietro. Sempre lì, dalle mani dello stesso Santo Pontefice a poche settimane dalla sua morte hai ricevuto il terribile stocco mandoble, dalla lunga lama sottile, brunita e acuminata, coi draghi sull’elsa a croce e col pomo ottagonale col grande rubino incastonato. Ancora ti ho dato lo spadone assemblato, nei Palazzi Vaticani quando Benedetto e Francesco ancora camminavano insieme e ti guardavano spauriti. Infine, negli ultimi tempi, la Santa Vergine nelle vesti della Auxilum Christianorum ti ha lanciato il terribile tridente, che Tu hai afferrato con bravura. Nel corso di questi lunghissimi decenni, non mi hai mai chiesto a cosa servissero queste armi. È arrivato il tempo che Tu capisca questo, per poter usare ogni tipo di arma nel giusto momento. Lo Spirito Santo ti illuminerà».

     Poi la visione ebbe termine, Merlino tornò verso Camaldoli felice e nello stesso tempo un po’ inquieto. Per scacciare le preoccupazioni si mise a danzare, componendo sull’aria di una ballata irlandese il seguente versetto che lo accompagnerà fino al capanno di rami di ginestre in cui egli solitario al momento dimorava:

     «Il Re sta tornando che cosa farà?

      Combatte per Europa e la sua libertà!

      La spada al suo fianco, la guerra sarà.

      Dragone e Anticristo, Lui sterminerà…».

     Quindi, colto dalla fame, prese una manciata di mirtilli dalla sua bisaccia e si mise a mangiarli, erano i mirtilli che aveva raccolto tra i cespugli quando vide sull’altura il cervo bianco trasformarsi nel Santo Graal e poi nel Cristo guerriero.

Il Graal e l’Europa

     Perso nella Foresta Nera del sud ovest germanico, Merlino raccoglieva licheni dai faggi secolari e dagli abeti per curare le forme broncopolmonari secondo un’antichissima tradizione druidica, mentre una volpe coi suoi tre cuccioli si divertiva a seguirlo e lui, accarezzandola di tanto in tanto, le offriva un po’ di pane secco estratto dalla sua bisaccia, che la volpe ammorbidiva con la sua saliva per donarlo ai suoi piccoli. Venuta l’ora del desinare, Merlino decise di fermarsi presso il lago montano che gli stava di fronte perché il gerlo era ormai pieno di licheni, quando, improvvisamente vide che lui, la volpe e i suoi cuccioli erano seguiti a distanza da un’enorme lince che aspettava solo l’occasione di cibarsi con la tenera carne di uno dei tre volpacchiotti. Merlino levò le braccia al cielo, guardo intensamente la lince, la quale vedendo una luce intensissima e bluastra uscire dai suoi occhi e venire verso di lei se la diede a gambe fuggendo terrorizzata, mentre la volpe più saggia e prudente strusciò per tre volte la veste di Merlino in segno di amicizia e tornò accorta verso la vicina tana coi suoi cuccioli. Colto da fame improvvisa, il Figlio della foresta, così come lo aveva chiamato il Cristo guerriero, si tolse i calzari ed entrò nelle acque basse del lago vicine alla riva, deciso ad afferrare una delle trote che facevano capannello in una pozza leggermente più profonda, aspettando che qualche insetto si posasse a filo d’acqua per inghiottirlo.

     Ma come egli si avvicinò alla pozza, un grosso pesce che Merlino non riuscì a identificare ma che aveva ai due lati la scritta greca del Cristo ΙΧΘΥΣ (acronimo di Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore), salto fuori dalla stessa pozza e a velocità frenetica puntò verso il centro del lago lasciando una profonda e larga scia sulle calme acque del lago. Resosi conto di avere una visione, Merlino arretrò sulla terra ferma e si accovacciò seduto in ginocchio, col busto eretto, guardando verso il centro del lago e invocando la Madre di Dio, la Vergine Maria, di proteggerlo e di difenderlo dalle illusioni delle false visioni, pronunciando l’orazione di protezione marziale dei primi Cristiani di Roma:

     «Sub tuum præsidium confugimus, Sancta Dei Genetrix.

      Nostras deprecationes ne despicias in necessitatibus,

      sed a periculis cunctis libera nos semper,

      Virgo gloriosa et benedicta».

     Nel suo cuore, Merlino ebbe all’istante una grande pace e da questo segno capì che avrebbe visto con verità ciò che stava accadendo nella visione, perché essa procedeva da Dio.

     Ed ecco, il cielo si aprì, apparve sulla cuspide del mondo l’Arcangelo Michele mentre Merlino poteva contemplare attraverso il lago tutta la rotondità della Terra come da lontano. Sulla superficie del lago poi apparvero in successione alcuni simboli. Merlino vide l’Aquila di Roma che afferrava tra gli artigli il ΧΡ (Chi Ro prime due iniziali della parola Cristo) di Costantino con l’Alfa Α e l’Omega Ω al suo fianco. Poi vide tre Aquile imperiali bicefale, ossia a due teste, che procedevano in sequenza stazionando alquanto: quella di Bisanzio, quella del Sacro Romano Impero, quella della Santa Madre Russia e infine gli stendardi dei Regni cristiani d’Oriente e d’Occidente.

     Poi dalle profondità del lago, enorme uscì il Leviathan, rosso come il fuoco, viscido come la bava delle lumache e orribile come la notte oscura del mare. Egli divorò tutte le Aquile e tutti gli stendardi con tutta la loro Storia, quindi divenne il dominatore del mondo tenendo il suo cuore e la sua testa nella Grande Mela e la sua violenta coda arrotolata nelle fondamenta della Tour Eiffel. Ora il dragone voleva divorare l’Islam, la Santa Madre Russia e tutto l’Oriente ma ci riuscì solo in parte perché il Katechon gli opponeva violenta resistenza e alla fine ebbe la meglio.

     Poi Merlino vide una grande pace, poi di nuovo una falsa pace e sospeso in mezzo al lago stava un uomo in tight con il volto sadico, astuto e dall’aspetto luciferino. A lui venne dato ogni potere dal Leviathan, sopra la terra, nel mare e sull’etere, in ogni attività e opera che l’uomo compie dal sorgere del sole al suo tramonto ed egli divenne il padrone della scienza, del sapere, dell’impero finanziario, di quello dei media e delle grandi multinazionali. Ormai nulla sfuggiva al suo controllo: lui era l’Anticristo, il Signore del Mondo. Allora Merlino, si ricordò di un’antica visione che all’alba dell’estate dell’anno 1994 gli fece vedere il mistero dell’iniquità, che poi così trascrisse:

     «Meditare il domani tra le selve. Su un ceppo acquattato guardare lontano. Visioni d’Europa in fiamme sotto il ferro di un’Orda feroce, poi pace. Non persecuzione violenta l’Anticristo. Paziente ma di segno malefico, abilmente getterà le sue reti. Persuaderà sottilmente con la lasciva seduzione dei sensi. Molti cadranno… Anche Pietro vacillerà ingannato… Fino al ritorno del Giusto Giudice, del Re supremo Cristo Signore».

     Quando l’Anticristo si elevò al Cielo per essere adorato in toto orbe terrarum, da tutto il mondo quale figlio della falsa luce che è Satana Lucifero, allora una violenta reazione si scatenò contro di esso da una parte d’Europa, dalla Russia, dall’Islam, da Israele e dal Giappone. In quel momento lo Spirito Santo consegnò all’Arcangelo Michele la coppa del Santo Graal che egli versò dal cielo sulla Terra d’Europa creando panico, distruzione e sterminata violenza contro i figli di Belial che venivano distrutti nel fuoco dal cieco furore degli Angeli e dalle asce bipenni dei Cruciferi. Infine apparve il Cristo guerriero che trafisse in un solo colpo il Leviathano, il profeta di Davos e l’Anticristo, gettandoli nello stagno di fuoco dove resteranno per sempre in sæcula sæculorum… “e il mondo avrà la Pace – disse a Merlino l’Arcangelo Michele – e il Cristo Gesù tornerà ad essere il Re dei popoli, delle nazioni, del mondo e di tutto l’Universo”.

     Di colpo, tutto scomparve. Merlino rivide il lago quieto, si rialzò in forze, non esausto ma carico di zelo per il Signore degli eserciti, mentre alla sua destra si accorse che stava un fuoco acceso circondato da dodici pietre e tre grandi trote poste in loco dalla mano caritatevole di Dio, il quale pensa in ogni istante ai suoi figli e li soccorre sempre e in tutti i loro bisogni. Il druido aguzzò tre ramoscelli, vi infilzò i grossi pesci e li mise uno dopo l’altro ad arrostire sul fuoco crepitante, appesi da una parte e dall’altra a due rami intagliati, appuntiti e infilati nella sabbia lacustre, che fungevano da sostegno all’inatteso pranzo di Merlino. Egli gustò molto il dono di Dio, accompagnandolo con sale e pane raffermo estratti dalla sua bisaccia. E mentre la volpe ritornava da lui coi suoi cuccioli, attratta dal gustoso profumo del pesce posto sulle braci, Merlino improvvisò una canzone di ringraziamento a Dio, usando le parole dello scrittore Liam O’ Flaherty, militante dell’I.R.A., che nel 1930 così scrisse, con grande impeto visionario:

     «Aspetto sulle montagne d’Europa, e tutta la Cristianità sta aspettando il giorno della resurrezione, quando gli idoli del denaro e del piacere sensuale saranno ridotti in cenere e Cristo, il nostro Salvatore, sarà di nuovo incoronato Re del Re. Allora vi sarà la pace fra tutti gli uomini, non vi saranno più né fame né malattia, e l’unica sofferenza sarà il desiderio di tutte le anime di unirsi a Dio».

     Poi Merlino si mise a danzare continuando a cantare nella lingua oscura dei suoi padri, con grande gioia ed armonia, al ricordo dell’indescrivibile bellezza del Santo Graal, che ancora vedeva con gli occhi dell’anima e che ora adorava con le movenze arcane della Danza Sacra. Merlino così sembrava elevarsi al cielo come in un vortice di luce e di energia, mentre le creature della foresta attorniandolo, danzarono e cantarono con lui la lode al Dio vivente.

Fonte: Idee&Azione